giovedì 21 Novembre, 2024

Astigiani 9 – settembre 2014

Ciao Giorgio

di Sergio Miravalle

Astigiani è una rivista trimestrale, o meglio stagionale. Arriva ai suoi lettori quattro volte l’anno: una per stagione. Questo numero di settembre (il nono della serie) ci prepara all’autunno e ai suoi riti, a cominciare dal ritorno a scuola che raccontiamo con la memoria intatta di chi non ha dimenticato i nomi dei maestri , il colore dei fiocchi, il suono della campanella del 1° ottobre.

Ma in questa estate 2014 stramba e piovosa, una data non la vogliamo dimenticare: l’8 luglio. Era martedì. Sotto un sole pallido una città si è ritrovata in piazza per salutare un amico. Uno che si incontrava al bar o sotto i portici. Uno che aveva condiviso con molti astigiani scorci di vita, risate e nottate. Uno che non si era montato la testa nonostante il successo.

Quel giorno le migliaia di persone che hanno sentito il bisogno salutarlo, che hanno gremito la Collegiata di San Secondo, ascoltato le sue canzoni e le testimonianze degli amici, gli hanno detto grazie con un applauso. Lo stesso applauso che lo aveva avvolto tante volte nella sua vita. Quell’uomo, che se n’è andato altrove troppo presto a 63 anni, aveva conosciuto anche il silenzio e la paura. Lo aveva raccontato in un’intervista che si celebrò in un Teatro Alfieri gremito nel febbraio 2003. Erano i mesi del successo crescente di “Io uccido” il libro che lo fece scoprire come scrittore di fama internazionale.

Fuori soffiavano paurosi venti di guerra. Quell’intervista a “cuore aperto” Astigiani la ripropone ai suoi lettori nel Dvd allegato alla rivista. È un documento vivo, intenso, che racconta del legame tra quell’uomo e la sua città con la gente che lo ha visto crescere e che è cresciuta insieme a lui. Nelle pagine successive abbiamo chiesto al suo amico Massimo Cotto un saluto in più.
Astigiani lo saluta così.

Con quella faccia un po’ così

di Luciano Nattino

Astigiani dedica le pagine centrali del nostro album di famiglia alle facce da sindaco. Sono 118 primi cittadini dell’Astigiano incorniciate come le vecchie figurine dei calciatori della Panini. Una galleria di volti, che mi sono divertito a scrutare. Solo alcuni sono conosciuti. Molti i giovani, in numero crescente le donne. Sono i rappresentanti della nostra terra, i volontari della democrazia. Hanno un compito arduo, da loro ci aspettiamo fantasia e concretezza, ma non dovranno essere lasciati soli.

Nella mia “carriera” ho conosciuto da vicino quattro sindaci di Asti: Guglielmo Berzano, Gianpiero Vigna, Guglielmo Pasta e Giorgio Galvagno. Quattro facce da sindaco diverse come le loro caratteristiche personali. Il primo ha la faccia da furetto. Ne ho apprezzato la verve democristiana poiché mi toccò da giovane il ruolo di presidente di quartiere a San Pietro, che era un borgo “rosso”. Con lui ricordo il faccione da gatto di Gabriele Vercelli, assessore al decentramento che lo accompagnava nei momenti più delicati. Non mancarono gli scontri, ma il rispetto reciproco non mancò mai.

Il secondo, Vigna, ha una faccia da cerbiatto ignaro: ho collaborato per anni prima come consigliere e poi anche come assessore comunale all’istruzione e ai servizi sociali. Era il 1975. Si formò una nuova maggioranza di centro sinistra. Tentammo di cambiare il rapporto tra cittadini e ci è toccato anche decidere la chiusura del Teatro Alfieri per avviarne i restauri. Ricordo che organizzai l’ultima rassegna prima della chiusura con il Magopovero e la intitolammo “5 sbarrato”. Purtroppo ci vollero più di vent’anni per veder ripassare la corriera del teatro.

Di Guglielmo Pasta, faccia da pitbull mansueto, ricordo nottate passate in pizzeria dopo esserci azzuffati a parole in consiglio comunale. Da avvocato liberale amava discutere sulle cose e gli eventi più disparati e poi a notte inoltrata metteva mano al portafogli e pagava il conto, con sollievo delle mie povere tasche.

Poi toccò alla faccia da puma americano di Giorgio Galvagno. Con lui avevo felicemente collaborato quando era vice sindaco. Noi criticavamo il suo voler apparire, il voler metterci sempre la faccia sorridente e abbronzata (appunto). Stava cambiando il modo di fare politica. Decisi di smettere, deluso dalla svolta confusa di quella stagione, e poi sentivo la necessità di lasciare spazio ai più giovani. Nel 1991 avevo quarantuno anni e dopo sedici anni di Consiglio ritenevo di aver fatto il mio dovere. Ho portato la mia faccia da clown augusto su altri palcoscenici, come ho saputo e potuto fare.

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