Non è facile raccontare la vita di Amelia Platone: una persona che pur nella sua discrezione e riservatezza, ha lasciato una traccia preziosa e ricca di opere e ricordi. Non intendo solo quadri, sculture e incisioni, ma anche scritti: poesie, racconti e lettere. Centinaia di lettere a familiari, amici, colleghi.
Ricorrendo alle sue stesse parole e sfruttando anche sprazzi di ricordi, a cominciare da quelli infantili, spero di riuscire a dare l’idea di quella che è stata una Mamma Speciale.
Ho un solo ricordo di Amelia che alza la voce: le uscì profonda, indignata, combattiva. Eravamo in Sicilia nella nostra casa di Palermo. Gli uomini seduti intorno al tavolo ammutolirono guardandola stupefatti.
Io ero dietro la porta socchiusa della sala, pronta a difenderla. Avevo quattro anni. La mamma stava trattando la vendita dei terreni di papà Domenico, suo marito, morto l’anno prima. I compratori erano tanti e continuavano ad abbassare il prezzo; nessun familiare, nessun amico era venuto a sostenerla, in fin dei conti lei restava una straniera.
Alzò la voce, stretta nel suo vestito nero… Fu l’unica volta che la vidi così alterata. Il sogno
di Chibbò era finito, era ora di tornare a casa.
Ecco come aveva raccontato alla sorella il suo arrivo in Sicilia, sei anni prima.
Come eravamo finite in Sicilia?
Amelia si era diplomata all’Accademia Albertina di Torino alla scuola di Felice Casorati, e aveva anche il diploma in pianoforte al Conservatorio Vivaldi di Alessandria. Era nata il 31 ottobre del 1927. Papà Felice fa l’avvocato, mamma Maria è la figlia del farmacista Leopoldo Viarengo.
Cresce durante il fascismo, ma se ne tiene il più possibile distante. Mio nonno Felice Platone sarà il primo sindaco della città di Asti nominato dal Cln il 25 aprile 1945. Verrà rieletto nel 1946 e farà parte dell’Assemblea Costituente per il Partito comunista. Amelia poco più che ventenne è molto attiva nell’ambiente culturale astigiano e torinese, ha alle spalle alcune
mostre personali e la partecipazione a importanti esposizioni nazionali in cui ha vinto numerosi premi.

Nel 1957, tramite amici, conosce a Montemagno Domenico Castellana, proprietario terriero siciliano (con origini materne monferrine) e nel gennaio del 1959 lo sposa con una cerimonia in chiesa a San Pietro. C’è una foto che li ritrae. Lei con il cappotto dal collo di pelliccia e un piccolo bouquet. Lui sorridente, deciso, protettivo. Si trasferiscono in Sicilia, a
Palermo.
Domenico la adora. La Sicilia è bellissima e appena può Amelia raggiunge il suo uomo nell’assolata campagna, nel casale in cima alla montagna, immerso nelle nuvole e nei fichi d’india. Sono anni faticosi, viaggiano continuamente tra la Sicilia e il Piemonte. Su e giù con il Treno del Sole, in corriera, con la Fiat 600 azzurra.
Sono anni strazianti: muoiono suo padre e il suo maestro Casorati. Erano i due Felice della sua vita. Raggi di gioia, nascono le loro due bambine: Maria Eugenia nel 1960 e Rita, la sottoscritta, un anno dopo. Nel luglio del 1964 mio padre, Domenico, ha un’infezione cardiaca. Lo curano male, i medici non capiscono.
Va in blocco renale e muore a 42 anni. Amelia si ritrova sola, vedova, con le due bambine, in Sicilia.
Nel 1965 Amelia decide di tornare ad Asti con me e mia sorella e cominciare da capo. È una nuova famiglia di sole donne che si forma: Maria Viarengo vedova Platone 62 anni, Amelia
Platone vedova Castellana 38 anni, Maria Eugenia Castellana 5 anni, Rita Castellana 4 anni. La prima regola è dimenticare il dolore.

La stagione de “La Giostra”
La vita ricomincia, riprende i vecchi contatti che aveva cercato di mantenere con lunghe lettere dalla Sicilia e nel 1967 apre in società con Eugenio Guglielminetti e Carla Masseroni la Galleria d’arte La Giostra.
Anni che noi, bambine, ricordiamo bellissimi perché c’erano le inaugurazioni con i vassoi di salatini che giravano, gli allestimenti delle mostre con i ganci e le catenelle da passare alla mamma, i pannelli da spostare, gli inviti da imbustare e affrancare, le visite alla Tipografia Bona per le bozze dei cataloghi e poi quei lunghi pomeriggi in cui Eugenia e io speravamo non giungesse nessun visitatore per poter danzare e fare ginnastica nelle sale di via Verdi.
La mamma ci lasciava fare, ma nel 1972 decide di ritirarsi dalla direzione della Giostra per dedicarsi totalmente alla sua arte. Rifiuta di intraprendere la carriera scolastica a eccezione di tre anni accademici all’UTEA in tempi successivi, ma non si tirerà mai indietro dal seguire
privatamente degli allievi.
Ne avrà tanti, molto spesso giovani, a cui si affianca con discrezione, delicatezza, spesso
affetto, mai imponendo i suoi consigli, ma proponendo e incoraggiando.
Noi da piccole eravamo gelosissime di questi rapporti preferenziali e ogni volta che socchiudeva la porta dello studio per iniziare la lezione, un po’ ci restavamo male. Eugenia e io non siamo mai state allieve della Mamma… potevamo però entrare nel suo studio e trafficare con le sue cose. Solo per la tavolozza era obbligatoria la sua presenza: ci chiamava per spremere meravigliosi serpentelli colorati dai tubetti, per mischiarli dovevamo fare estrema attenzione e ridevamo come matte a vedere i colorini caghetta che venivano fuori mischiando le “terre”.
Il massimo era quando ci lasciava aggiungere una leggera pennellata al quadro dal colore ancora fresco, posizionato sul cavalletto, e le facevamo giurare che non lo avrebbe mai venduto… Passando gli anni, nello studio entrammo sempre più frettolosamente, dando occhiate veloci agli ultimi lavori, peccato.

Quel viaggio in A112
La 600 azzurra di papà Domenico venne sostituita con una A112 usata, con un grande portapacchi sul tetto. La caricavamo di quadri e sculture all’inverosimile e partivamo per allestire qualche mostra. Ricordo la volta che andammo in autostrada fino a Imperia ai 90 all’ora con un vento che sembrava strappasse via i quadri dal portapacchi; io accucciata dietro, con le gambe anchilosate, ed Eugenia seduta davanti con uno scatolone pieno di sculture in braccio.
Cantammo tutto il tempo e ad accoglierci c’era Lilly Salvaneschi con i suoi figli che ci portarono in giro in Vespa!
All’inizio ogni mostra era un divertimento, ma poi diventammo sempre più insofferenti, il nostro mondo si stava allargando e le mille attività della Mamma per noi persero importanza. Non ci accorgemmo neanche della gravità del male che la colpì nel 1973.
La malattia e i cioccolatini
Il ricordo di quel lungo periodo che trascorse alla Clinica San Secondo si riduce alle minestrine e allo stracchino che assaggiavamo ogni giorno dal suo piatto andando a
trovarla e ai cioccolatini che Amelia si era portata dietro per darcene uno al giorno.
Ricordo quell’amica che con tono maliziosamente investigativo mi disse: «È vero che tua
madre ha il cancro e può morire?». Era la prima volta che sentivo la parola “cancro”, così minacciosa e vicina.
Appena la Mamma si ristabilì, ripresi a riaccompagnarla dappertutto, come quando ero piccola e avevo paura di perdere anche lei. La sua serenità non mutava, persino le visite a Milano dal professor Veronesi riusciva a trasformarle, per me che la accompagnavo, in gite indimenticabili.
Sempre al suo fianco ricordo il periodo delle elezioni di quartiere, quando la seguivo in Federazione, la sede del PCI in via XX Settembre.
A casa chiaramente eravamo abbonati a L’Unità, ma arrivava anche il settimanale femminile Noi Donne dell’UDI (io invece avrei desiderato Annabella o Grazia o al limite Famiglia Cristiana, come nelle case delle mie amiche!).

L’inventario dei beni artistici comunali
E spesso andavo con lei quando nel 1976, nominata consulente ai Beni Culturali del Comune di Asti, stilò l’inventario dei beni artistici: mobili, quadri, suppellettili e così via sparsi per i musei e i vari uffici comunali. Gli appunti erano interminabili elenchi estremamente particolareggiati e affiancati da schizzi così, una volta a casa, avrebbe potuto ricordarsi con precisione tutti i pezzi.
Mi sentivo privilegiata a poter ammirare opere bellissime ed ero orgogliosa di poterle fare da segretaria stupita di tutte le cose che sapeva. Erano ormai passati gli anni delle elementari in cui mi vergognavo, all’uscita della scuola, di vederla con i capelli bianchi e senza trucco, no, adesso ne ero molto fiera, era un’artista e per di più sapeva tradurre le mie versioni di latino a prima vista.
Amelia riscopre la grafica, sua passione dai tempi dell’Accademia, collabora con la Stamperia “Il Lanzello” di Piero Nebiolo a Costigliole e casa nostra si riempie di sgorbie, bulini, lastre da trattare, inchiostri e acidi. Riceve in eredità da Cornelia Ferraris, sua prima insegnante, due torchi. E la casa si riempie anche di mattoni crudi presi in fornace che nascosti da panni umidi man mano prendono forma e si trasformano nelle sue sculture, mentre le mani della Mamma si seccano e si spaccano.
Sono sempre momenti di grande disordine e trambusto che noi viviamo con allegria e naturalezza, sempre però sotto lo sguardo rigoroso e protettivo di nonna Maria.
Il lavoro. C’è il lavoro. I quadri si vendono, non è mai un flusso tranquillo, rassicurante, ma piuttosto un moto discontinuo e del tutto imprevedibile; le sue sensazioni, la rabbia, la tristezza, l’illusione vanno ad appendersi alle pareti di case altrui.
Noi figlie siamo ormai grandi e Amelia si ritrova sola. Questa volta sola davvero: Elena, sua sorella non c’è più e dopo due anni, nel 1996, scompare anche Maria nostra nonna. Il passato si offusca nel nulla.
Il 19 luglio 1989 il cancro si ripresenta. Nuovamente si combatte, ma ora Amelia è più stanca.
Nel 1991, organizza una mostra a Palermo, sa che sarà l’ultimo saluto a quella terra. Andiamo giù in aereo, ci sono anche i nipotini che le sono sempre intorno. Mentre in macchina ci rechiamo al cimitero di Valledolmo, dobbiamo fermarci per le troppe curve.
Scende e i suoi occhi azzurri assorbono tutta la struggente vastità della campagna, la luce, un tempo insopportabile, diventa linfa vitale. Si commuove.
L’ultima mostra
Nel 1993 il Comune di Asti le rende omaggio con una grande Mostra antologica al Battistero di San Pietro. L’organizza ancora lei, dal suo letto d’invalida. A fatica riuscirà a essere presente all’inaugurazione. È un commiato dalla sua città.
Amelia per due anni dipingerà ancora da letto e scriverà molti racconti, poesiole e filastrocche per i suoi nipotini Domenico e Paolo e per la pupetta che deve nascere. Si dispererà di non essere una Nonna attiva, ma resterà una Nonna indimenticabile.
Amelia Platone muore il 26 maggio 1994.
Alla Fondazione Guglielminetti a palazzo Alfieri ad Asti dal 29 febbraio al 5 aprile 2020 sarà
allestita una mostra con opere di Amelia Platone: verranno presentati dipinti, sculture e incisioni dedicati alla condizione femminile.










