Ricorrono i 200 anni dalla nascita
Morì a soli 30 anni. I suoi diari ne raccontano vita e opere
La storia astigiana, soprattutto quella dei secoli scorsi, è punteggiata da figure di mecenati e pubblici benefattori che hanno contribuito con le loro donazioni a migliorare la vita dei concittadini.
Sono personaggi che spesso ritroviamo nella toponomastica, che hanno avuto dedicate vie e monumenti. Ma il tempo ha sbiadito il loro ricordo e pochi conoscono le loro vite.
Tra questi emerge una figura: il conte Federico Cotti Ceres che, animato da spirito sociale e filantropico, fu un esponente di spicco della società astigiana degli inizi dell’Ottocento. Quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario della sua nascita, avvenuta il 4 giugno 1819. Ebbe una vita intensa e morì prematuramente il 2 maggio 1849 per una malattia di cui non è nota la natura, non avendo ancora compiuto i trent’anni.
Cotti Ceres ha avuto un ruolo importante nello sviluppo di numerose istituzioni cittadine. Abitò per la breve durata della sua vita il palazzo di via Quintino Sella, allora Contrada del Carmine, appartenuto anticamente alla famiglia dei Ponte di Lombriasco e
da questi ceduto ai Cotti alla fine del ’600. L’edificio, con annessa torre (che, secondo una recente vulgata, avrebbe ispirato Walt Disney nel disegnare il palazzo forziere di Paperon de’ Paperoni), passò in seguito ai Gazelli di Rossana in virtù del matrimonio nel
1840 tra Francesca Cotti Ceres e il conte Calisto Gazelli.
Il più significativo ricordo che la città di Asti ha mantenuto del giovane conte è il monumento erettogli nel 1855 a opera dello scultore Giuseppe Dini, lo stesso che nel 1862 realizzò quello a Vittorio Alfieri.
La statua di Cotti Ceres è dal 1931, in una piccola aiuola al centro di piazza Santa Maria Nuova. Una collocazione non casuale vista la vicinanza con l’ospedale che dal Quattrocento era accanto a un più antico monastero dei Canonici Lateranensi. Ai primi dell’Ottocento aveva assunto il nome di “Hospitale Sancta Mariae Scala Coeli Civitatis Astensis”. Fu ampliato con nuovi servizi d’infermeria e venne attuata la separazione dei ricoverati tra uomini e donne, che in molti casi erano ancora sistemati su semplici pagliericci allineati nei cameroni.
Federico Cotti Ceres fu tra i sostenitori anche economici del miglioramento della struttura ospedaliera e lo testimonia il monumento, collocato in un primo momento nel cortile interno. Il basamento della statua reca la seguente epigrafe: «Al generoso
donatore/Conte Federico Cotti di Ceres riconoscente l’Ospizio/ innalza nell’anno 1855».
Sul lato posteriore si auspicava: «Nato il 4 giugno 1819/della patria dell’Italia amatissimo/delle belle arti cultore mecenate/padre dei poveri compianto/decedeva il 2 maggio 1849/il suo nome però vivrà perennemente benedetto».
Una speranza in parte disattesa visto che il personaggio per molti oggi non è altro che il nome di una via del centro storico: una suggestiva stradina, ancora acciottolata con pietre di fiume, che da via San Martino si immette in via Solari, angolo via Bonzanigo.
Dopo la morte dei genitori, Federico e la sorella furono affidati alla nonna milanese che era stata l’amante del Foscolo
Ma al di là di monumenti e vie dedicate, la vita del giovane conte custodisce più di una sorpresa e ci viene rivelata dalla corrispondenza che racconta dei rapporti familiari e affettivi della sua famiglia agli inizi dell’Ottocento. A cominciare dal padre Carlo Emanuele Cotti di Ceres che si innamorò di Margherita Arese Lucini, detta Ghittina, nobildonna milanese, a cui indirizzò appassionate lettere.
La contessina era figlia del conte Marco Arese Lucini e di Antonietta Fagnani, personaggio di spicco della vita mondana milanese. L’amore venne ricambiato, gli interessi delle due famiglie coincisero e dall’unione del nobile astigiano con la nobildonna milanese nacquero tre figli: Antonia nel 1817, Federico nel 1819 e Francesca (Fanny) nel 1821.
La loro famiglia fu però sconvolta da dolorosi lutti. Antonia morì undicenne nel maggio del 1828 e la madre Margherita “Ghittina” scomparve un mese dopo a 30 anni. Anche il conte Carlo Emanuele Cotti non sopravvisse a lungo e morì nel 1830, lasciando i due figli Federico e Francesca orfani a poco meno di dieci anni.
Da quel momento fu dunque l’intraprendente nonna Antonia Fagnani, sempre chiamata nelle lettere “Mammagrande”, a curare l’educazione dei due bambini che vissero con lei nel palazzo di Milano. Frequenti le sue raccomandazioni al nipote “contino” Federico,
affinché non prenda freddo, perché per lui «un raffreddore potrebbe essere fatale», dal che si deduce come il ragazzo dal fisico esile fosse particolarmente cagionevole di salute.
Antonia Fagnani era una protagonista della società milanese del tempo, si interessò di arte e belle lettere e il suo nome compare nella storia accanto a quello di Ugo Foscolo. Conoscitrice di francese, inglese e tedesco, ne fu l’appassionata amante e collaborò con il poeta nella revisione della prima stesura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) e nella traduzione de I dolori del giovane Werther di Goethe.
A lei il poeta dedicò l’ode All’amica risanata: «E com’eri tu bella questa sera! Quante volte ho ritirati i miei occhi pieni di spavento! Sì, la mia fantasia e il mio cuore cominciano a crearsi di te una divinità». Foscolo definì Antonietta «cuore fatto di cervello» e come tale la Fagnani passò alla storia. La contessa morì nel 1847.
Nel 1842 fu tra i fondatori della Cassa di Risparmio di Asti
Federico, che era tornato a vivere ad Asti, per curare gli interessi della famiglia e le numerose rendite agrarie, nel gennaio del 1842 partecipò alla costituzione della Cassa di Risparmio di Asti come nuova forma di gestione del credito rispetto al tradizionale
accumulo di fondi da parte delle banche private e al ruolo dei prestasoldi.
Il viaggio a Napoli nel 1845 al congresso degli scienziati.
Salì sul primo treno d’Italia
Tra gli altri si riunirono: monsignor Filippo Artico, Vescovo di Asti, il canonico Giuseppe Maria Pasquero, i teologi don Sticca e don Luigi Marchisio. L’intendente del re cavalier Serra, il barone Alessio come sindaco della città di Asti, il marchese Cesare Alfieri di Sostegno, il marchese Roero di Cortanze, il conte Roero di Settime, il marchese Leopoldo Incisa, il causidico Pia, la contessa Amico di Castell’Alfero. In totale i soci fondatori furono una trentina con un capitale complessivo di 10.000 lire in azioni
infruttifere del valore di 50 lire l’una.
Il diario e l’epistolario di Federico Cotti Ceres consentono oggi di ricostruire momenti della sua vita e della società del suo tempo. Il conte era molto preciso nelle annotazioni, con particolare attenzione alle spese.
Ricca di spunti è la sua dettagliata cronaca del viaggio che nel settembre 1845 lo portò a Napoli per partecipare, in veste di esperto di agronomia, al congresso degli scienziati italiani. Da Asti salì a bordo del “velocifero”, una capace carrozza dotata di sospensioni e trainata da cavalli, che era collegata a una rete di stazioni di posta. Così descrive come raggiunse Genova, prima tappa verso Napoli: «Passato Annone discesimo a piedi per esservi un pezzo di strada nuova. Ad Alessandria fermammo finché fosse giunto il velocifero da Novara. Alle 4 partimmo e giunsimo a Ronco circa le 10 ove io presi una
zuppa. Alle 2 giunsimo a Genova ed andai a prendere alloggio all’Albergo della Ville
avendomi fatto dare una camera nei mezzani verso il mare, alle 9 andai a dormire».
Fa sosta a Genova alcuni giorni: va con amici a “prendere” un bagno in mare allo stabilimento delle Grazie e la sera è al teatro Carlo Felice per assistere al melodramma Don Procopio. Annota che con lui ci sono l’avvocato Savina, il signor Goria e i medici Deandreis e Bayno. In porto ammira una fregata battente bandiera turca appartenente al viceré d’Egitto, poi finalmente l’imbarco sul vapore napoletano Maria Cristina che impiegò 11 ore per arrivare a Livorno, da dove, dopo un’escursione a Pisa, ripartì
per Napoli.
Nella capitale del Regno delle Due Sicilie prende alloggio all’albergo della Speranzella, a pochi metri dalla centralissima via Toledo. Si accredita fra gli “scienziati” e può partecipare alle previste conversazioni serali e ai lavori della sezione di Agronomia.
Il Congresso risultò un evento culturale di grande risonanza, non solo per le scienze
trattate, ma per gli aneliti di rinnovamento che punteggiarono molti interventi. Si
discusse di ricerca e sviluppo economico ma non mancarono i riferimenti, che
potremmo definire patriottici, nei discorsi di personaggi come il piemontese Angelo
Brofferio e il toscano Giuseppe Montanelli (lontano prozio di Indro, il futuro noto
giornalista) che preoccuparono l’occhiuta polizia politica del re Ferdinando II di
Borbone, il quale era intervenuto alla cerimonia di apertura nel salone del museo di mineralogia.
Il nostro Cotti Ceres, oltre che partecipare al congresso, fece anche un po’ di turismo
e di vita mondana. Partecipò a balli e andò a teatro. Ebbe modo di visitare gli scavi di
Pompei ed Ercolano, le catacombe di San Gennaro. Salì sul treno della prima linea
ferrata d’Italia, la Napoli-Portici, lunga sette chilometri e inaugurata appena sei anni prima. Assistette anche alla liquefazione del sangue di San Gennaro e ne fu molto
colpito.
Cedette al Comune gli edifici del futuro quadrilatero delle scuole
Ad Asti il conte fu presente in molti enti e istituzioni. Come autorevole componente
del Consiglio comunale, allora nominato per censo, seguì le vicende della vita cittadina e divenne una sorta di attuale “assessore ai servizi sociali”. Era nel consiglio del Monte di Pietà, all’Ospizio di Carità, fu amministratore dell’Ospedale e nel consiglio dell’Opera Pia Caissotti.
Si dimostrò generoso verso il Comune cedendo per sole centomila lire il vasto complesso dell’ex convento di Sant’Anastasio che aveva acquistato dopo la soppressione napoleonica. Era l’intero isolato tra corso Alfieri, le vie Carducci, Giobert e Goltieri che racchiude oggi il liceo classico, il “Sella”, la scuola media e la biblioteca. Fu anche ispettore dei pompieri e fece parte del Comizio Agrario per aggiornare le tecniche in agricoltura.
Animava i balli e le feste benefiche a palazzo Mazzetti
Il suo diario riporta anche momenti di vita mondana. Frequentava palazzo Mazzetti sede del “Casino dei nobili” e dell’Accademia Filarmonica, di cui fu anche direttore. In tale veste organizzò balli in maschera di Carnevale e altri incontri a scopo benefico. Annota che in uno di questi balli, per la prima volta si ballò la polka. Dal diario: «
mi abbigliai in costume spagnolo con la maschera al viso e un vestito di color verde ed il Contino di Bellino in rosso. Uscimmo per la medesima scaletta, appena entrati nella sala siccome io non metteva gran artifizio onde non essere conosciuto, poco ciò importandomi, fui tosto riconosciuto e a ciò contribuendo io pure, rispondendo alle persone che mi chiamavano per nome. Così che fatto un giro nella sala mi levai la maschera e la barba e dopo un’ora andai via per spogliarmi onde non prendessi troppo
freddo al collo avendo un po’ di mal di gola e rimasi al ballo sino alle cinque».
Frequentatore assiduo dei teatri di Asti, Torino, Genova e Milano (biglietto per il Teatro alla Scala lire 4,70, annota con precisione), poté assistere alle grandi opere messe in scena in quegli anni.
Non disdegnò i tavoli dei ristoratori, sempre accompagnandosi agli amici nobili, tra i quali si distinse per assiduità il conte Di Bellino che con lui condivise anche le lunghe passeggiate.
Nelle manifestazioni ufficiali fu orgoglioso di esibire il collare e l’uniforme dell’Ordine
dei SS. Maurizio e Lazzaro, che gli fu concessa da re Carlo Alberto nel 1845, e così agghindato assistette ai fuochi di artificio dal Palazzo di Città durante le festività di San Secondo. La spada che acquistò a corredo, col manico dorato e guarnito di madreperla per l’abito di corte, costò 40 lire.
Oltre all’uniforme, ebbe particolare attenzione all’abbigliamento che curò avvalendosi del sarto Demichelis. Un raffinato abito nero gli costò 140 lire. E non mancarono altri accessori pregiati: una croce smaltata dal gioielliere Musy 24 lire. Un ricamo in argento per un abito 160 lire. Il cappello con fregio d’argento 45 lire.
Il suo stato di salute non fu mai ottimale. Numerosi furono i consulti che lo costrinsero a spese continue. Si viveva in un’epoca in cui la prassi medica più applicata era ancora il salasso. Ciò nonostante non rinunciò all’attività sportiva, prendendo lezioni di scherma e non disdegnava i bagni di mare ritenuti curativi.
Frequentò anche le terme di Acqui. Non mancò la cura estetica; un taglio di barba
e capelli costava 50 centesimi; acquistò un ferro per arricciare i capelli per 8 lire.
L’incontro nel 1845 con Carlo Alberto in visita all’ospedale
Il suo diario riporta un altro episodio interessante per il contesto storico. Citando la visita di re Carlo Alberto ad Asti nel 1845, egli annota in stile aulico: «In occasione dell’acclamata visita del sovrano passeggiando per la Contrada del Carmine e passando avanti la mia casa, dimandò al sindaco a chi essa appartenesse e avendogli il suddetto significato che era mia, la Maestà sua si degnò di chiedere al sindaco delle mie notizie Nel corso della visita all’Ospedale Civile, Sua Maestà degnavasi di indirizzarmi la parola chiedendomi se mi occupavo d’esso ospedale ».
Una ricchezza fatta di terreni, palazzi e cascine
Il palazzo di Contrada del Carmine in cui visse, ora via Quintino Sella, fu da lui curato e abbellito avvalendosi dello stipettaio Capello, detto il Moncalvo, che creò una pregevole pavimentazione lignea e pannelli alle pareti. Lo stesso ambiente fu decorato nelle volte dal pittore Bagnasco.
Fra le sue numerose proprietà vi fu la cascina Boana e la tenuta Vallerella, dominante Asti da sud, acquistata nel 1847. La sua famiglia possedeva anche la tenuta di Valdeperno vicino a Settime con un magnifico edificio caratterizzato da un suggestivo giardino storico. Sul timpano del portale d’ingresso c’è il simbolo araldico dei Cotti Ceres e dei Gazelli di Rossana.
Per successione ereditaria la proprietà passò al nucleo familiare della futura regina Paola di Liegi, che qui trascorse alcune felici estati con i cugini astigiani.
La morte di Federico fu improvvisa e non se ne conosce la causa. Sul diario, poche settimane prima annotava ancora impegni, visite, spese e viaggi.
Con la sua scomparsa il 2 maggio 1849 si estinse il casato dei Cotti Ceres. La sorella Fanny fece erigere nel cimitero di Asti una tomba monumentale che la ritraeva scolpita
sul marmo affranta per la scomparsa dell’amato fratello.
Fu generoso anche nel testamento
Il testamento del conte Federico testimonia la sua generosità filantropica. Lasciò alla parrocchia di San Martino la somma di 600 lire. Ai poveri della stessa parrocchia 400 lire e alle altre parrocchie cittadine 200 lire. Donazioni anche alle chiese di Neive, Scurzolengo, Isola e Settime. Altri lasciti andarono alle istituzioni laiche: alla Lega
Congregazione di Carità, al Sacro Monte di Pietà e all’Opera della Bussola, la somma di duemila lire ciascuna, all’Opera Pia Isnardi e Caissotti mille lire.
All’Ospedale degli Infermi la proprietà della cascina denominata Casannova, con la specificazione che «essendo affittata, i relativi redditi debbono essere destinati all’ampliamento dell’Ospedale onde ospitare più ammalati, cioè 12 letti per ammalati febbricitanti e due per ammalati cronici». Alla Lega degli Asili infantili destinò la somma di 4000 lire. All’Ospizio Casa di educazione delle giovani esposte sotto il titolo dell’Immacolata Concezione ne andarono cinquemila.
Per il monumento da erigere al concittadino Vittorio Alfieri incaricò sua sorella ed erede universale Francesca Gazelli di Rossana nata Cotti Ceres, di versare l’oblazione di lire 500. E sarà proprio lo scultore Giuseppe Dini, autore del monumento all’Alfieri, a fissare nel marmo la figura del conte Federico Cotti Ceres.
Oggi la sua statua, circondata dalle auto in piazzetta Santa Maria Nuova, lo ricorda, esile ed elegantemente vestito. Con una curiosità: il bassorilievo con l’effige della carità
ai piedi del monumento riporta curiosamente una mano a sei dita.
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Su Astigiani
Astigiani ha dedicato al monumento a Cotti Ceres e alla curiosità delle sei dita la rubrica “Parole di Pietra” di Pippo Sacco del marzo 2017, n. 19 pagina 20
Fonti
Archivio di Stato Asti
Archivio privato Famiglia Gazelli
Archivio Crat Asti
Archivio Casa di Riposo Maina