Astigiani 16 – maggio 2016
Gli Alpini sono una miniera di storie
di Sergio Miravalle
Questo numero di Astigiani esce con un mese di anticipo per non perdere la concomitanza con l’Adunata nazionale degli Alpini del 13,14,15 maggio ad Asti. È un evento straordinario che la città visse già una volta nel 1995 e che tornerà, dopo oltre vent’anni, a far convergere su Asti centinaia di migliaia di persone, E’ il popolo della penne nere: un’esplosione di umanità, così è stata definita l’Adunata. Ma non ci saranno solo gli incontri, le feste, le mostre, la lunga e colorata sfilata.
Per una rivista come Astigiani gli Alpini e la loro storia sono una miniera di ricordi, fatti, personaggi.
Li abbiamo esplorati toccando vari temi. La memoria, ancora vivissima, dell’Adunata del 1995 che seguì di poche mesi la tragica alluvione del novembre 1994, con gli alpini in primo piano sul fronte dell’aiuto e della solidarietà. La storia della partenza della stazione di Asti, il 18 luglio 1942, della Divisione Tridentina destinata, come le altre truppe mandate da Mussolini, all’ecatombe sul fronte russo. Abbiamo recuperato la foto del generale Reverberi, con alle spalle l’allora cappellano militare don Carlo Gnocchi, affacciati al finestrino di quella tradotta che da Asti li porterà alla steppa. C’è il ricordo un figlio che testimonia i racconti di chi da quella steppa è tornato e non ha voluto dimenticare.
E poi ancora la riscoperta che agli alpini, il più grande regista astigiano Giovanni Pastrone, dedicò nel 1917 un film di propaganda che fece discutere: “Maciste alpino”. E ci sono i passaggi di una memoria familiare divenuta romanzo, la storia del monumento di piazza Liberta che ci offre anche la suggestiva immagine di copertina e infine il dizionario del gergo delle penne nere, spicchi di memoria collettiva di intere generazioni. Raccontiamo anche le vicende della Torre Troyana di piazza Medici , il monumento simbolo dell’Adunata che l’Ana di Asti con Astigiani ha adottato per farla tornare ad essere un luogo di visita e scoperta della storia dall’alto dei suoi 44 metri.
E infine il nostro Album di famiglia si apre alle “facce di alpino”, variegata galleria di volti di astigiani con la penna nera, realizzata, come sempre grazie, alla appassionata collaborazione dei nostri lettori. Astigiani 16 è tutto questo, senza dimenticare altri temi importanti e curiosi , dalla chiesa giornale di Casorzo, alla vicenda delle Brusaje con un dubbio legittimo sulle reali cause dell’incendio che nel 1944 portò alla morte di 9 giovani operaie. E poi ancora il viaggio nel mondo delle radio libere dagli albori del 1975 ad oggi, la ricerca dell’oro, gli astigiani alle Olimpiadi, le rubriche, l’intervista, le foto. Sono 120 pagine da leggere e gustare come un buon gelato che ci accompagna dalla primavera all’estate.
Almeno un cappello con la penna
di Luciano Nattino
Quando arrivò la cartolina precetto, per fare il militare, io non ero in casa. Al rientro trovai mio padre in cucina con una carta geografica dell’Italia spianata sul tavolo. Papà mi disse con la mano che faceva una spanna sulla cartina: “C’è solo di mezzo il mare”. Capii: “Mi tocca la Sardegna”. Un po’ e lo aspettavo. Avevo sentito che quello era il luogo dove spedivano le teste calde, i giovani ritenuti più pericolosi per l’esercito, poiché avevo militato nel movimento studentesco e da un anno ero iscritto al Partito comunista.
Le notizie correvano, gli apparati funzionavano. La Sardegna fu dunque il primo periodo della mia naja e precisamente Sassari. Speravo sempre che alla fine del CAR – Centro Addestramento Reclute – avessi la destinazione sulle montagne della mia regione con un cappello con la penna. Mi sarebbe piaciuto andare negli Alpini. E invece no: destinazione Trento, artiglieria pesante, truppe NATO.
Nessun cappello da alpino, solo un basco grigio verde. Mi sono però rivalso sull’esercito con molte convalescenze e molti permessi, alcuni a dir la verità inventati. Ho fatto corsi abilitanti per insegnanti in Sardegna e a Trento mi sono finto psicolabile con enuresi notturna onde ottenere periodi di convalescenza e cercare di potermi aggregare a Torino alla compagnia di sanità. Mi è anche servita qualche stecca di sigarette. Missione compiuta. “Imboscato” così a Torino potevo in libera uscita tornare a casa quasi tutte le sere con la mia 500 L e se facevo tardi scavalcavo il muro di cinta della caserma.
A Torino ho anche azzardato la sostituzione di un attore in uno spettacolo e partecipato ad una manifestazione contro il colpo di stato in Cile e l’uccisione di Salvator Allende. L’esercito – pensavo allora – mi sta rubando più di un anno di vita. Senza nemmeno – ribadisco oggi – darmi un cappello con la penna.
A proposito di bici made in Asti
di Peter Fassio
Ad integrazione del servizio sulle biciclette e i motorini “made in Asti” del numero 15 di Astigiani, riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Peter Fassio.
Leggendo il bellissimo pezzo che Dino Tessitore e Davide Chicarella hanno dedicato ai costruttori di biciclette, ho notato una dimenticanza: non sono stati citati due artigiani che si sono alternati a Porta Torino. Il primo è stato Teresio Saracco, fratello maggiore del titolare della Piemontesina e creatore della “Nizzarda”, bicicletta che deve il suo nome al tentativo della Saracco di inserirsi nella scia tracciata dal successo della “Savoiarda” di Prina.
La piccola impresa crebbe in fretta, tanto che ben presto il titolare avvertì la necessità di ampliare il proprio spazio. Fu così che Saracco separò le sue attività: spostò il negozio di esposizione e vendita in un ampio locale che si trovava sul lato opposto del corso Alfieri e la fabbrica delle sue “bici” in corso Regina Margherita, nei locali lasciati liberi da Ugo Gianoglio, celeberrimo artista del ferro battuto, trasferito da poco in altra zona della città.
Poco tempo dopo, nella ex sede della Saracco, venne a insediarsi la Cicli Gerbi. Nei suoi nuovi locali, la Biciclette Saracco rimase fino al termine della seconda guerra mondiale, poi la sua continua espansione indusse il titolare a un ulteriore spostamento nella zona est della città. Il negozio liberato rimase vuoto pochissimo tempo. Venne infatti occupato dalla Cicli Piovanotto che rimase fino a quando cessò la sua attività, negli Anni ’70. È divertente ricordare che alla Torretta, da dove proveniva, Piovanotto veniva chiamato da tutti “Pieuva” (Pioggia) e formava con “Nivo” e “Nebia”, nell’ordine Nivolo (granaglie) e Nebbia (calce e cementi), il “trio meteorologico” dei proprietari d’impresa della “léja”.
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