Unico libro, che io conosca di questi anni Duemila, scritto in endecasillabi, tredicimila versi. Un libro affascinante, godibile, anche perché racconta del nostro fiume, in parte attraverso leggende ripescate nei luoghi lungo il Tanaro: la leggenda di Belzebù che interviene a deviare il corso del fiume, per formare le Rocche del Roero; oppure la storia d’amore ambientata a Ormea, in cui la protagonista Ildegonda è costretta a sposare un uomo ricco e molto più vecchio di lei. Ma lei si innamora, ricambiata, di un giovane trovatore, ed entrambi perderanno la vita sulle rive del Tanaro colpiti da un fulmine. Due storie perfette che potrebbero essere interpretate a teatro, per la loro drammaticità.
La parte più corposa del libro è il viaggio lungo il Tanaro di Bacco e Sileno, il suo precettore. Tutti i paesi e le città toccate dal fiume vengono descritte, Asti in modo particolare. Il Duomo, San Secondo, le viuzze del centro storico. La parte più poetica riguarda comunque il fiume: “Fluiva il fiume sotto il loro sguardo/…/ e il Tanaro correva al suo traguardo/ colmando senza fretta la distanza/ entrarono in un campo, e la fragranza/dell’aria lieve della primavera/ li colse insieme all’ebbra esuberanza/ d’una compatta, rumorosa schiera/ d’insetti che ronzavano tra i fiori/ la margherita, pallida e leggera, ed il papavero, coi suoi colori/ e stoppie, spighe, gialle infiorescenze…”