sabato 27 Luglio, 2024
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1924

Felice Appiano, dai cavalli al Palio e quella seconda vita in Africa

I cavalli sono stati importanti nella sua vita fin da piccolo. Dal 1935 quando sfilò al Palio a 9 anni su un pony e poi da ragazzo in sella a purosangue da corsa o sui sulky guidando e vincendo gare di trotto. A cavallo ha conquistato il cuore di Liliana, la donna della sua vita e con lei ha condiviso gli anni intensi della professione di veterinario. A sessant’anni la svolta che lo ha portato in Africa dove ha contribuito a creare l’associazione veterinari senza frontiere e dato vita a progetti di concreta solidarietà. Ha due figlie, Alessandra e Antonella, entrambe giornaliste e scrittrici e due nipoti. Ora viaggia su internet e il primo computer l’ha comprato a 74 anni.

Nel 1935 sfila su un pony, nel 1967 è il mossiere del Palio della ripresa 

 

In una foto del 1935 si vede uno scorcio inedito della sfilata del Palio, in piazza Emanuele Filiberto, che diventerà da lì a poco piazza dell’Impero. In primo piano c’è un bambino in costume da paggio del rione San Silvestro su un pony. È Felice Appiano, classe 1924; all’epoca aveva 9 anni e la foto testimonia come nella sua vita i cavalli abbiano sempre avuto un ruolo importante. 

In quella stessa piazza sarà lui nel settembre 1967 ad avere l’onore e l’onere di far partire la rinata corsa del Palio nel ruolo di mossiere.

Cinquant’anni dopo Felice, che gli amici e la moglie chiamano Felix, ha ancora ben presente quei momenti.

«Ero nel gruppo che aveva stimolato la rinascita del Palio con Giraudi, Pasetti e molti altri. Tutti sapevano che il mossiere era ed è un ruolo delicato. Forse perché ero veterinario e da giovane avevo corso negli ippodromi mi diedero il compito di far partire i cavalli. A quella prima edizione non c’era neppure il canapo con il contrappeso che studiammo per le edizioni successive. 

Semplicemente tirammo una corda semi elastica. Andò bene. 

Dedicai quel momento a mio padre che era stato mossiere del Palio negli anni Trenta. Diciamo che la nostra era diventata una specialità di famiglia».

 

Allora partiamo proprio dalla famiglia 

«Mio padre Luigi era un intraprendente commerciante di bovini e cavalli, a 17 anni già lavorava anche con l’estero. Era originario di Monale e aveva conosciuto e sposato Rosemma, una ragazza di Scurzolengo. 

Nel 1924 sono nato io e due anni dopo mio fratello Sergio. Stavamo in città, in via Aliberti, rione di San Martino, ma amavamo ed eravamo molto legati al mondo agricolo. Mio padre, negli anni, aveva messo in piedi anche un allevamento e una scuderia di cavalli da corsa che era dalle parti del Pilone, verso la piana del Tanaro. Giocavamo con i miei amici nel cortile della parrocchia. Tra loro c’era un certo Gino Nebiolo. Lui diceva che voleva fare il giornalista. Io lo prendevo in giro e invece lo è diventato davvero e ha girato il mondo come inviato della Stampa e della Rai. Purtroppo non c’è più. 

È mancato da poco. Alla mia età si resta con più gente conosciuta di là che di qua».

 

Torniamo al giovane Felix e ai cavalli

«Avevo il fisico adatto da fantino e mio padre un bel giorno arrivò in cascina con un cavallo tutto per me. Lo ringraziai e prima di montarlo cercai una sella. “Dai, montalo a pelo come al Palio” – mi disse – “è così che si impara a conoscere da vicino i cavalli”.Diventai bravo e vinsi anche una corsa di galoppo a Moncalvo. Da ragazzo facevo molto sport. Ero un mezzofondista e correvo i cinquemila metri. Arrivai secondo a un circuito campestre attorno alla città di Asti». 

 

E gli studi? 

«Dopo il liceo classico Alfieri ad Asti c’era da scegliere per l’università. La scelta in casa fu naturale: io veterinaria e mio fratello avrebbe fatto agraria. Ma era scoppiata la guerra, le lezioni si interruppero. Ci rifugiammo in campagna dalle parti di Revignano. 

Ho vivissima l’immagine del mitragliamento di un aereo inglese a bassa quota che prese di mira la Balilla di un nostro vicino. Nascondendomi in vari posti riuscii a evitare l’arruolamento del bando Graziani. Avevamo contatti anche con i partigiani».

Passata la guerra arriva la laurea?

«Sì, mi sono laureato a Torino e ho poi passato un anno di approfondimento a Kureghen, in Belgio, dove si discuteva del taglio cesareo anche sulle mucche, per salvare vitello e madre. Erano tecniche allora all’avanguardia».

 

In giubba da fantino con il padre e altri amici della scuderia

 

 

Fisico da fantino: gare al galoppo e come driver dei trottatori

 

Ma i cavalli tornano a essere protagonisti nella sua vita 

«Nel 1948 un gruppo di appassionati di corse ippiche trovò i fondi per allestire una pista da trotto a Torino nel vecchio ippodromo a Mirafiori. Imparai a guidare i trottatori da driver, seduto sul sulky. Ricordo che portavo con orgoglio la giubba giallo e blu del’allevamento di mio padre. Fu un periodo bello. Correvo da gentlement ma in molte gare ero in pista con driver professionisti. Oltre che a Torino portammo i nostri trottatori anche a Milano a San Siro, a Trieste, Roma. Giravamo mezza Italia e vincevo anche: 17 corse in poco più di un anno».

E la professione da veterinario? 

«Nei primi anni dopo la laurea, avevo trovato lavoro come vice direttore al macello pubblico che era dietro la stazione, dove poi è andato il comando dei vigili urbani. Tra i molti compiti dovevamo controllare che la carne destinata alle macellerie arrivasse da bestie sane. 

Quelle morte per incidente o non di prima qualità andavano ai negozi di bassa macelleria. Era carne sana, ma che costava meno. Intanto continuavo a studiare e ad aggiornarmi. Andai a uno stage ad Hannover che era considerata una facoltà veterinaria tra le migliori d’Europa».

 

A cavallo conquista il cuore di Liliana

 

Con la moglie Liliana d’Anelli, sposati nel 1951

 

Nella sua vita quando arriva l’amore?

«Anche qui c’entrano i cavalli. 

Ero amico ed ero stato compagno di liceo di Aris d’Anelli che da giovane medico abitava con la famiglia in via Canova, nella zona di corso Dante. A volte lo andavo a trovare a cavallo: dal Pilone passavo per i prati e le vigne di Praia e del Fortino dove non c’erano ancora case e palazzi. Un giorno invitai lui e la sorella a venirmi a vedere all’ippodromo a Torino».

 

A questo punto il racconto più preciso lo fa la signora Liliana, la sorella di Aris.

 

«Era il 1948 e vedevo ogni tanto arrivare su un cavallo bianco questo amico di mio fratello. Forse lo faceva per darsi un po’ di arie, ma era simpatico. Una nostra collaboratrice domestica, la cara Carolina, che aveva lavorato anche dagli Appiano, mi aveva già messo la pulce nell’orecchio: “Signorina quello viene a cavallo per farsi notare da lei”. Però quando ci invitò a Torino all’ippodromo era appena venuta l’alluvione ad Asti e la linea ferroviaria era interrotta. Si poteva rinviare la cosa, ma insistetti con mio fratello e arrivammo a Torino passando in treno da Chivasso. Aris aveva capito che quel cavaliere poteva diventare il mio principe azzurro». 

Evidentemente così è stato. Felice non ha esitazioni e nelle loro vite ci sono date divenute importanti.

«Ci siamo sposati l’8 settembre 1951 in cattedrale e siamo venuti ad abitare qui in via Canova, dove viviamo ancora adesso. La famiglia è cresciuta il 6 marzo 1955 con l’arrivo di Antonella e il 30 maggio 1959 è nata Alessandra».

Una bella famiglia e un bel mestiere…

«Confermo. Fare il veterinario è bellissimo, ma anche faticoso. Da libero professionista ho girato quasi tutto l’Astigiano e il Monferrato. C’era da seguire il parto delle vacche nelle varie stalle e c’erano sabato o domenica. Fui tra i primi a far montare sulla macchina una radio ricetrasmittente collegata a casa dove mia moglie raccoglieva e mi comunicava via radio le urgenze dei clienti. Chiamavano a qualunque ora, spesso parlando solo in piemontese o in veneto. Lei ha imparato in fretta. Ricordo che avevamo un nostro codice: lei era “colombo brigido”, un nome strano, chissà come ci era venuto in mente e io rispondevo APF che era la sigla del mio cognome e nome. A pensarci ora eravamo un po’ matti».

 

In quegli anni si occupò più di bovini che di cavalli

«Stava crescendo la fecondazione strumentale che applicavamo alla clinica del Fortino con il dottor Sacco con il quale mi ero messo in società. Ero specializzato in parti difficili e ho messo a frutto le conoscenze sul cesareo. Nella mia vita professionale mi sono sempre tenuto il più possibile aggiornato, frequentando corsi e stage». 

 

Nel frattempo, ha continuato a fare sport

«Soprattutto alpinismo, l’altra mia grande passione. Sono stato un buon rocciatore con l’aiuto di guide alpine esperte, ho fatto ascensioni piuttosto impegnative. Ricordo che a casa mi allenavo agli stipiti delle finestre issandomi con il solo aiuto dei polpastrelli delle dita. Mia moglie aveva le bambine piccole, mi guardava divertita e portava pazienza. È sempre stata un gran donna, la mia gioia».  

 

La svolta africana: 23 anni di viaggi e azioni umanitarie

 

La copertina del libro che ne racconta l’esperienza

 

Alla soglia dei sessant’anni una svolta importante

«Un viaggio turistico in India ci ha fatto vedere la grande povertà di quelle popolazioni. Mi promisi di fare qualcosa di concreto, ma non conoscendo bene l’inglese cercai contatti nell’area francofona africana. È stato così che, tramite una Onlus di Cuneo, ho cominciato ad andare in Africa, in Burundi e nello Zaire. Ho conosciuto in fretta la differenza tra viaggi turistici e le missioni umanitarie».

  

È diventata una seconda vita…

«Per me è stato importante. Non sono un tipo che si mette in poltrona. In Africa ci sono andato per 23 anni di fila, più volte l’anno. Ho contributo a creare l’associazione “Veterinari senza frontiere”; con il mio amico Cesare Mamini ci siamo occupati di allevamenti di animali, ma non solo. La diocesi di Goma in Congo si era gemellata con la parrocchia di San Secondo, retta da don Pietro Mignatta. Sono entrato in contatto con quella realtà bisognosa di aiuti e abbiamo organizzato molte cose utili e messo in piedi anche un laboratorio farmaceutico. Ho ancora in casa alcune confezioni di chinino antimalarico che producevamo in Africa».

 

Sono stati anni straordinari, la cui esperienza ha raccolto in un libro

«Sì, ho scritto nel 2010 “Furaha e Muramivo” che in lingua swahili significano gioia e dolore. Ho avuto il piacere della prefazione di Domenico Quirico, un giornalista che conosce bene l’Africa. Io l’ho percorsa con tutti i mezzi. Nel libro, tra le tante, ho messo una foto dove sono in sella, ma questa volta a una moto Suzuki da enduro in un villaggio con la popolazione che mi saluta. Mi sono sentito utile, ha riempito la mia vita e dato un senso diverso anche alla mia professione». 

 

E dopo l’Africa?

«Con l’età ho evitato viaggi troppo impegnativi. L’ultima volta ci sono stato che avevo 83 anni. Mi sono rimasti tanti amici e le foto dei nostri incontri e delle opere che abbiamo fatto. Diciamo che adesso viaggio su Internet. Il primo computer l’ho comprato a 74 anni e da allora ne ho già cambiati un paio».

 

Le figlie Antonella e Alessandra: tv, libri reportage

Le figlie Antonella e Alessandra

  

Le sue figlie si sono fatte conoscere nel mondo dello spettacolo, del giornalismo e della letteratura. Hanno scritto libri, vengono chiamate come opinioniste

«Sono state brave, sia Antonella che Alessandra. Purtroppo il lavoro le ha portate a vivere lontane da Asti, ma ci sentiamo e vediamo spesso. Sento e vedo anche i miei due nipoti: Matteo e Tommaso. Il primo lavora in gioielleria con il padre, l’altro è a Londra nella redazione di un giornale scientifico molto importante, il British Medical Journal, e si occupa anche di patologie tropicali. Posso dire che ha seguito un po’ le mie orme ma è andato molto più in alto».  

 

E il Palio?

«Continuo a seguirlo e a leggerne. La questione dei purosangue o dei mezzosangue mi pare sia stata creata ad arte dai senesi che vogliono imporre le loro selezioni equine, come già hanno fatto con i fantini. Io mi sono battuto a suo tempo per dotare i fantini di scuola astigiana di una pista di allenamento permanente che riproducesse il percorso di piazza Alfieri. Ma non ne hanno fatto nulla. Chi ama il Palio ama anche i cavalli. Se lo lasci dire da uno che è stato in sella tutta la vita».

 

 

 

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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