Astigiani 12 – giugno 2015
Le nostre storie nella Storia
di Sergio Miravalle
E sono dodici. L’avventura editoriale di Astigiani continua e si consolida. In questo numero d’inizio estate si raccontano tante storie intrecciate con la grande Storia, con la maiuscola. Dedichiamo la prima parte ai 70 anni di quel 25 Aprile 1945 che segnò la fine della guerra e la rinascita della democrazia. Come l’Astigiano visse quei giorni nei documenti, sui giornali, nel ricordo di chi c’era e di chi lo ha sentito raccontare dai protagonisti di allora. Pagine intense, lontane dalla retorica, vive nella loro immediatezza.
È la caratteristica del nostro modo di raccontare. Lo stesso che dedichiamo a un astigiano d’adozione, come Angelo Gatti, che partecipò alla grande guerra ’15-’18 da un punto di osservazione privilegiato e particolare e ne trasse un diario che merita di essere riletto accanto alla straordinario patrimonio di fotografie lasciato al Comune di Asti.
E poi scopriamo una storia che può sembrare facile come aprire un rubinetto e invece racconta di quanto fu impegnativo far giungere l’acqua ad Asti e c’è un monumento che lo ricorda. Arriva la sorpresa di scoprire come si viveva nel 1750 nel palazzo degli Alfieri che speriamo venga finalmente riaperto e restituito alla città, e l’emozione di raccontare un personaggio schivo, ma fondamentale nella storia della canzone popolare del Novecento.
E ancora parliamo di Expo, di quello dimenticato del 1906 e dell’attuale, del primo fotografo che fissò su una lastra il volto dell’Uomo della sindone e di un grande avvocato che avrebbe potuto fare il fotografo. Mezzo secolo fa erano sulle pagine di tutti i giornali. Il caso delle gemelline di Grazzano riletto oggi continua a sorprendere. E molte altre storie nella Storia. Con l’aiuto di tanti: autori e lettori che ci portano foto, aggiungono idee e ci stimolano ad andare avanti.
C’è guerra e guerra
di Luciano Nattino
Cento anni dalla prima guerra mondiale. Settanta dalla Liberazione da tutte le guerre. Almeno così sperarono i nostri Padri Costituenti. Trent’anni, quelli tra il 1915 e il 1945, che hanno segnato un confine, uno spartiacque nell’acquisizione di una consapevolezza del grande valore della democrazia e della pace.
Sulla prima guerra mondiale ho dei frammenti vaghi.
Rammento le bandierine tricolori sul filo che si alzava sopra la nostra testa… tutte le classi della scuola radunate nel cortile interno della “Giovanni Pascoli” di viale Pilone, a due passi da casa mia… i fiocchi inamidati di fresco e i calzini bianchi delle bambine… Mariella come è bella… la canzone del Piave… il maestro Ginella con la fisarmonica… le poesie alla patria, anzi alla Patria… Doveva essere primavera, si cantava il 24 maggio, oppure era autunno, perché il IV novembre era vacanza.
Sulla Liberazione invece ho delle testimonianze di prima mano, per via delle interviste ai protagonisti diretti della Resistenza, i compianti: Rocca, Maiucciu, Natale Bosticco, Aldo Brondolo, Pierino Testore e molti altri. Ricordo in particolare i colloqui con Valerio Miroglio, artista astigiano di fama nazionale; con Davide Lajolo, scrittore e direttore de l’Unità; con Cino Moscatelli, protagonista principale de
Il Monte Rosa è sceso a Milano.
Ma, al di là di chi vuole dimenticare, mi sento di affermare che i valori che hanno infiammato la Resistenza hanno camminato con le gambe delle generazioni successive e hanno permeato il tessuto democratico del nostro paese. Di fronte alle guerre che stanno insanguinando l’Africa e il Medio Oriente con le distruzioni dell’arte e l’annientamento delle persone, credo che quei valori possano costituire un valido anticorpo contro la diffusione di questa ideologia di morte qui da noi. Io mi sento fortunato per aver conosciuto i protagonisti di quella Primavera che, se non possono rimanere nella memoria di ognuno di noi, rimangono pur sempre dei pilastri della storia collettiva.