È cambiato tutto intorno. Non c’è più la cascina con stallaggio che ospitava la Trattoria del Mercato con Rosalba tra i tavoli a servire le milanesi e la trippa, non ci sono più le case basse tutt’attorno alla grande piazza che davano alla città un buon odore di paese, soprattutto nei giorni di mercato. Ci sono invece condomini in paramano e portici un po’ anonimi. E c’è ora, da qualche tempo, la casetta dell’acqua potabile dell’Asp. A pochi metri quel chiosco di vetri e lamiera è ancora lì sotto gli alberi sull’angolo di piazza del Palio che guarda via Emanuele Filiberto. Cinquant’anni e più non l’hanno cambiato. L’insegna racconta la storia di Olessina Sementi. È così dagli Anni ‘60. Attività da sempre della famiglia Olessina. Oggi c’è Fulvio. Una laurea in Lettere e una passione per la letteratura, la teologia, gli scacchi, il fumare la pipa. E naturalmente i semi e le sementi.
«Ho ereditato il mestiere di famiglia negli Anni Ottanta – racconta Fulvio – ma sono cresciuto con l’odore delle sementi. È un’attività che avviarono i nostri avi nell’800. Prima della guerra il negozio era in piazza Alfieri, davanti a dove ora c’è la Prefettura. Lì accanto, sotto il Foro Boario, facevano il mercato del bestiame. Quando buttarono giù l’Alla, ci spostammo anche noi». Il padre di Fulvio, Angelo, non seguì le orme della famiglia. Classe 1912, fu chiamato alle armi e si fece la campagna di Russia. Quando tornò dalla guerra, s’impiegò come operaio in Vetreria e lì rimase per più di quarant’anni. «Sono rimasto fregato io – scherza Fulvio – ma è un lavoro che mi lascia molto tempo per leggere e pensare». E anche tempo libero finché c’era mamma Giuliana. Al’epoca c’era anche un negozio in corso Casale gestito dalla sorella Margherita, da tutti conosciuta come Marga.
Buone letture e buoni consigli
Vendere e comperare sementi significa credere nel futuro «Fogazzaro direbbe – continua il commerciante di semi – che il mio è un angolo di piccolo mondo antico. In realtà lo è solo apparentemente. Per sopravvivere alla grande distribuzione e ai nuovi modi di commerciare sementi, ho cercato di rinnovare. Come amava dire Oddino Bo, ho creato una discontinuità nella continuità». Capacità di analizzare, di approfondire, di capire e di cambiare. A ben pensarci vendere sementi significa credere nel futuro. «Ho centinaia di varietà di semi. Qualche migliaio. Negli anni ho trattato di tutto, persino i semi di conifere, di eucalipto e di piante acquatiche. Sono difficilissimi da reperire e da far nascere. È stato il mio modo di differenziarmi dai grandi centri dove vendono sementi industriali». E aggiunge: «Ultimamente mi hanno ordinato il seme di gaggia. Chiedono spesso anche lo zenzero e la vaniglia, ma li sconsiglio ai clienti: non si possono coltivare da noi per le condizioni climatiche. Fa troppo freddo qui, hanno bisogno di un clima tropicale». Non è cambiato solo l’aspetto della città, con il tempo sono cambiati anche i clienti: «È un mercato che si è evoluto tantissimo – spiega Olessina. Le aziende contadine sono sempre meno. E oggi i vivaisti che vogliono coltivare si rivolgono direttamente all’azienda sementiera. Con la crisi del comparto agricolo, il vecchio modo di concepire l’ortoflorovivaismo non esiste più. Così il cliente: dal contadino siamo passati all’hobbista appassionato. Sono clienti esigenti che richiedono la particolarità. Io mi rivolgo a chi fa l’orto familiare, anche in città: di solito sono persone che hanno una spiccata sensibilità per l’ambiente e la coltivazione biologica». Ci sono anche stati momenti difficili, in cui non era lontana l’idea di lasciare. Il pensiero va a quel mattino del 6 novembre1994. L’alluvione. Piazza Campo del Palio completamente allagata, trasformata in un mare di fango. Il chiosco delle Sementi Olessina sotto due metri d’acqua. «Sono rimasto in mutande – ricorda con un filo di voce Fulvio. Non solo il negozio distrutto, anche il magazzino che avevo in corso Savona. Ho buttato via tutto». Alla forza devastante dell’alluvione, a rallentare lavoro e spirito si è aggiunta la burocrazia della ripresa: «Troppe lentezze burocratiche che hanno trascinato e frenato le nostre attività commerciali. Abbiamo avuto dei danni immani». Fulvio Olessina aggiunge altri ricordi e citazioni. «Questo lavoro per me è stato pesante negli anni. Soprattutto dall’alluvione in avanti. Ho cercato di razionalizzarlo e di tirare fuori gli aspetti positivi. Mi sono chiesto: cos’è un giardino? Il giardino è un racconto filosofico. Il Barone Rampante se ne stava sugli alberi. È un grande insegnamento che ci ha dato Italo Calvino. M’ispiro a lui. Ho cercato spunti più rilevanti che non il mero guadagno».
Episodi ce ne sono tanti. Uno salta subito alla memoria: «Tanti anni fa una signora giapponese entrò una sera all’ora di chiusura. Mi chiese in un italiano forbito se ero il titolare. Buttò lo sguardo sui libri che stavo leggendo. Uno di Yukio Mishima, non mi ricordo quale, e Il paese delle nevi di Yasunari Kawabata. Mi chiese: “Lei conosce la letteratura giapponese?”. Scoprii che era una dantista dell’Università di Tokyo. È stata la cosa più interessante che mi è capitata. Siamo rimasti molto amici per anni». Tanti volti noti hanno varcato il chiosco per comprare bulbi, sementi e insalate: «Così su due piedi mi vengono in mente il pittore Carlo Carosso e Giorgio Faletti. Un giorno entrò Giorgio Gaber, ma me ne resi conto dopo un’ora che era uscito». Sul bancone tra le buste di sementi, c’è Morire sì ma quando, una miscellanea di scritti sulla morte degli scrittori cristiani. Accanto la raccolta di fiabe di Andersen. «Letture tra un cliente e l’altro» sorride Fulvio. E dopo di lui? «Mia figlia Chiara studia Giurisprudenza. Credo non continuerà l’attività di famiglia. Vorrei che trovasse un lavoro e io così smetto. Anzi posso cominciare a dirlo?». Sorride e riprende a leggere le fiabe di Andersen.