sabato 27 Luglio, 2024
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Insegne senza ruggine

Il San Carlo torna a profumare di storia e tartufi

Riapre il locale dove si davano appuntamento i trifolao
La buona notizia è che ben presto le serrande del San Carlo che ha visto passare l’ultimo secolo e mezzo di astigiani si rialzeranno con una nuova gestione professionale e attenta. Dovrebbe essere tutto pronto e le ambizioni non sono poche.

Sotto quei portici entrando si sentiva ancor prima dell’odore di caffè. Intenso e persistente. Un profumo di terra d’autunno. Nulla sveglia un ricordo quanto un odore, diceva Victor Hugo. E quanto sia vero lo sanno tutti quelli che nelle prime ore del mattino sono passati almeno una volta davanti al Caffè San Carlo di Asti, sotto i portici dei Cestai, in piazza Statuto. Lì davanti, fino a pochi anni fa c’era un piccolo mercato delle trifule. Prima dell’alba, i cercatori di tartufi incontravano i commercianti: molti arrivavano con il loro cani tabui, direttamente dai boschi dove avevano trascorso la nottata. Avevano il loro profumato tesoro avvolto nei fazzoletti e lo mostravano con circospezione ai compratori più fidati. Il San Carlo ospitava questa sorta di borsa autunnale fatta di trattative in dialetto, che a volte finivano con litigi e urla, per portarsi a casa il miglior esemplare di tuber magnatum pico, il pregiato tartufo bianco. Più di recente sono arrivati al San Carlo anche cercatori di altre regioni e anche dall’estero a portare i loro tartufi che venivano così piemotesizzati in chiave albese. 

Un contrabbando da tutti conosciuto

 

Vecchia locandina con i prezzi

 

Questo rito è andato avanti per più di un secolo, da quando a fine ‘800 fu aperto il San Carlo su quell’angolo di piazza delle Erbe, ora piazza Statuto, che guarda verso via Cavour. Di proprietà della famiglia Martire, fu ceduto a Ettore Broccardo, da tutti conosciuto come “Peppino”, presumibilmente negli Anni ‘20. Del 1925 il primo documento che attesta una tassa pagata da Peppino per ricostruire due soffitti dichiarati pericolanti. L’atto ufficiale di compravendita data 17 febbraio 1931. Peppino era un ragazzo del ’99, cresciuto come garzone sotto l’ala del signor Bella al Bar Risorgimento, sotto i Portici dei Cestai, dove ora c’è il negozio di giocattoli Tagini. Per chi scendeva dal treno alla stazione, era tra i primi locali che si incontravano risalendo via Cavour verso il centro. Già dalle prime ore del mattino al Caffè San Carlo si tiravano su le serrande: Giuseppina Trinchero, per tutti Pinina, moglie di Peppino, preparava la carne cruda e la minestra per i primi avventori. «Sono stati anni belli e difficili – ricorda Laura Broccardo, figlia di Pinina e Peppino, e moglie di Walter Brumana con cui ha gestito per tanti anni e fino al 1995 la vicina Bottega del sarto – Si cantava e si ballava, ma ci sono stati anche momenti duri durante la guerra e l’occupazione dei tedeschi».

 

Arrivano anche i pastori dal Cuneese a vendere i formaggi

 

Uno dei ricordi più vividi è la presenza al Caffé San Carlo dei pastori cuneesi di Roaschia, che scendevano dagli alpeggi in città per vendere i loro formaggi: «Venivano una o anche più volte a settimana: c’era un fumo nel locale che si tagliava con il coltello! Mi ricordo bene soprattutto del volto di un pastore, Pietro. Un giorno aveva alzato un po’ il gomito e mia madre lo prese per la collottola della camicia e lo buttò fuori. Aveva un bel caratterino, mia madre!». Era lei, Pinina, che gestiva con l’irruenza dei clienti che esageravano con il vino o i liquori.

 

Nelle sue cantine Peppino Broccardo produceva amari

 

Etichette dei liquori che venivano prodotti nella cantina del San Carlo

 

Sotto il vasto locale del Caffé ancora oggi c’è una cantina con vasche in cemento: lì Peppino e i suoi cantinieri comparavano l’uva se la facevano portare in città e producevano la barbera che veniva consumata nel locale. Il signor Broccardo era anche un appassionato alchimista e dal suo piccolo laboratorio uscivano amari, rabarbaro, china e vermouth con etichetta Broccardo.

Quel Caffé con la boiserie Liberty in legno, che all’epoca dava un tocco di modernità ed eleganza, vide passare negli anni gran parte della città: «Dagli artigiani dei dintorni – racconta Pippo Sacco con una nota tra colore e memoria – che, arrotolatesi il grembiule, si concedevano la pausa barbera chiacchierando davanti alla loro bottiglia, che spesso aveva un segno, fatto per precauzione il giorno prima a indicare il livello del vino non finito. E su quel parquet in legno si davano appuntamento persino quelli che vendevano le rane e personaggi stravaganti come la Ninfa, che si era messa a bere vino dopo aver saputo che le era stato trasfuso il sangue di un vetraio affetto da silicosi perché soffiava il vetro. Ma anche il Chiarelìn, la Toia che aveva il banco di verdura in piazza Statuto e suo marito Duardu, un omaccione dalla possente muscolatura che faceva il facchino e che era stato preso a modello da Materno Giribaldi per scolpire il “titano” del monumento dell’acquedotto di piazza Medici».

 

La storia di famiglia raccolta dal nipote

 

La tabella dei giochi proibiti doveva essere affissa in tutti i locali. Al San Carlo si giocava di nascosto nella saletta al piano superiore

 

Il falegname, restauratore e scultore del legno Sergio Brumana, figlio di Laura, ha custodito molti ricordi del nonno: foto, documenti, etichette, quadri, stampe e le riproduzioni grafiche con scenette di gusto inglese che Peppino regalava ai clienti a Natale.

Così in una fotografia del 1937 si vedono Peppino con in braccio la figlia più giovane Carla, Pinina, il garzone Giuseppe, Laura, il capo cantiniere Provino e Bertu, il tuttofare, davanti al vecchio bancone decorato da scaffali, specchi e cornici dorate che oggi non ci sono più. Tra i documenti salvati spuntano atti burocratici, ricevute di tasse del commercio e fatture pagate. Sergio ha trovato e conservato anche alcuni cartelli che erano esposti nel locale: dal 1934, è l’elenco delle bevande contenenti alcol che indicava 39 tra alcolici e amari, tra cui la Chartreux, Laprunel e l’Acqua del Po. Il tariffario con i prezzi delle bevande e la tabella dei giuochi proibiti.

E qui è bene aprire una parentesi perché forse non tutti sanno che sopra al Caffé San Carlo c’era una sala «bische» dove si giocava al biliardo, alle carte e molto probabilmente ad altri «giuochi proibiti». Era di sicuro una delle attrazioni che alzavano l’appeal del locale, insieme alla musica e alla fama di «café chantant» alla parigina. Ci sono poi, i dipinti del pittore Renzo De Alexandris che rimandano un’immagine della Asti di inizio secolo. Sfogliando il catalogo pubblicato dalla figlia Rita, in due quadri, è dipinta piazza Statuto nel 1920 e nel 1924 e in entrambi si intuisce l’antica insegna del Caffé San Carlo, ora conservata in casa da Sergio.

Brumana junior ha molti ricordi legati a nonno e al Caffé San Carlo: «Quando frequentavo la Scuola Enologica di Alba, negli Anni 70, uscivo di casa per prendere il treno delle 6 e 43 e vedevo parcheggiata davanti al San Carlo, la 127 bianca del signor Ponzio, noto commerciante albese di tartufi. Quando arrivavo ad Alba, la 127 era in via Maestra a rivendere le trifole ai clienti albesi!». E ancora: «Ho fatto l’obiettore di coscienza a Castelmagno in Valle Grana, con il sindaco Gianni De Matteis , avevamo un’auto per portare in giro le persone e i bambini a scuola: un giorno incontrai due signori. Lui mi raccontò che andava con le pecore in pianura e arrivava fino ad Asti per vendere le ricotte e le tome ai bottegai. E indovinate un po’ quale caffé frequentava? Il San Carlo!».

 

Quel tavolino marchiato ritrovato dai futuri suoceri

 

Sergio Brumana ha recuperato uno degli storici tavolini del locale di famiglia

 

La storia più curiosa, però, appartiene alla vita personale di Sergio e al primo incontro con la futura moglie Marina Ollino: «Quando andai la prima volta a casa sua, la madre mi fece accomodare in salotto e rimasi solo per un po’. In un angolo c’era un tavolino che aveva un’aria familiare: guardai ed era uno dei tavolini rotondi con la scritta San Carlo e la scacchiera che aveva fatto fare mio nonno. Sul piedistallo aveva quattro fori perché erano avvitati al parquet in legno. Era la prima volta che ne vedevo uno! È stata una grande emozione».

Peppino ha gestito il San Carlo fino al 19 gennaio 1953. Le figlie Carla e Laura hanno scelto altre strade e lui cedette la licenza al fratello Dionigi. Sono seguite da allora molte gestioni, almeno sei. La tradizione del mercato delle trifule è andata avanti, incurante dei decenni che passavano. Tanto che l’Atam, l’associazione di rappresentanza dei trifulau, ha aperto lì la sua sede ufficile. Dopo gli anni delle ultime gestioni da un po’ di tempo, il Caffé San Carlo è chiuso e Asti rischiava di veder spegnere una delle vetrine e dei luoghi più significativi del suo passato.

La buona notizia è che ben presto le serrande del San Carlo che ha visto passare l’ultimo secolo e mezzo di astigiani si rialzeranno con una nuova gestione professionale e attenta. Dovrebbe essere tutto pronto e le ambizioni non sono poche. Attendiamo tutti quel momento per continuare a vivere questo spicchio di storia della vita astigiana.

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