Mezzo secolo in giro per il mondo con la sua 16 mm. per 400 chilometri di preziosissime pellicole
Su centovent’anni di Olimpiadi moderne – quella di Rio sarà la trentunesima edizione c’è un astigiano che vi ha partecipato per ben otto edizioni consecutive, da Roma ’60 a Seul ’88. Sempre in campo – pista e pedane di atletica – non per competere, ma per testimoniare, con assoluta qualità tecnica, le imprese dei più grandi campioni. Il suo nome è Luciano Fracchia, o per meglio dire “professor Luciano Fracchia”, uno dei quattro artefici (gli altri erano Carlo Mosso, Angelo Vada e Renato Agnese) della ripresa dell’atletica e, più in generale, dello sport astigiano negli anni del secondo dopoguerra. Lanciatore di giavellotto in gioventù con un record di 50,31 metri che fu primato provinciale per una ventina d’anni, sanguigno, esuberante, rigoroso e severo fino talvolta al paradosso (quello, ad esempio, di non ammettere all’esame di ingresso – all’epoca obbligatorio – nella “sua” Vittorio Alfieri, né il figlio Giorgio, né Ezio Mosso, figlio del collega Carlo, per tema di essere accusato di domestici favoritismi), Luciano Fracchia era un profondo conoscitore dell’atletica leggera, ma coltivava anche una straordinaria passione per la fotografia che diventò ben presto cinematografia. Una passione che, oltre a soddisfare il personale piacere di praticare al meglio un hobby per pochi iniziati – parliamo degli anni ’50 – aveva anche uno specifico scopo didattico. Le sue riprese cinematografiche, infatti, quasi sempre realizzate al rallentatore, dovevano servire per illustrare agli allievi delle scuole in cui insegnava, agli atleti dell’Alfieri, ed infine ad una platea di praticanti nel tempo diventata sempre più vasta, in Italia e all’estero, le tecniche più appropriate ed aggiornate di salto, lancio, corsa e così via. Chi meglio dei grandi campioni del tempo poteva essere il giusto “dimostratore” di tali tecniche? E dove trovarli tutti insieme? La risposta è semplice: alle Olimpiadi o ai campionati europei (i mondiali si disputano soltanto a partire dal 1983 n.d.r.). Così Luciano Fracchia, con una cinepresa che si era procurata fin dal 1950, cominciò agli Europei di Berna del 1954 la vita di cineoperatore che lo farà girare tutto il mondo. Una vita ardua, soprattutto nei primi tempi, per la difficoltà di ottenere i permessi (“chi era mai questo sconosciuto “professore di ginnastica” di Asti che pretendeva di andare in campo a fare del cinema?) e soprattutto per il fatto che le trasferte se le pagava di tasca propria. Ma il prof. Fracchia era tipo a cui non mancava la tenacia e anche quando i suoi rapporti con la Fidal, la Federazione di atletica leggera, volgevano alla burrasca, non era incline ad arrendersi senza essersi prima battuto con tutte le sue forze. Esemplare è stata a questo riguardo la sua partecipazione alle Olimpiadi di Monaco dove, non avendo avuto il sostegno della Federazione, riuscì a farsi dare il patrocinio e i pass di ingresso dalla Repubblica di San Marino.
Riprese nel 1968 a Città del Messico il salto in lungo mondiale di Bob Beamon
Ma torniamo agli inizi. Dopo Berna, ci furono altre occasioni di importanti riprese, ma il debutto olimpico avvenne a Roma ’60. Da quell’anno ogni Olimpiade o campionato europeo lo vide protagonista in campo con la sua cinepresa, sovente issata su un’asta che permetteva riprese panoramiche di grande effetto: Tokyo, Città del Messico, Monaco, Montreal, Mosca, Los Angeles, Seul. Una impressionante mole di filmati che alla fine hanno raggiunto la ragguardevole lunghezza complessiva di ben 400 chilometri di pellicole, suddivisi in un imprecisato numero di “pizze” conservate ancora oggi nella bella villa di via Conte Verde, diventata nel tempo la sua personale “fortezza” oltre che la residenza di famiglia. Se la sua fama fu nei primi anni circoscritta all’area piemontese e poi al resto d’Italia, l’eco delle sue riprese assunse dimensioni mondiali dopo il fatidico pomeriggio del 18 ottobre 1968 a Città del Messico. In programma erano le eliminatorie del salto in lungo e proprio perché eliminatorie, la maggior parte dei fotografi e dei cineoperatori era assente. Luciano Fracchia no. Lui era non solo presente ma anche vigile, come al solito. E così quando l’americano Bob Beamon si esibì nello storico salto in lungo da 8metri e 90 (record del mondo che migliorava in modo “esagerato” il precedente limite di Ralph Boston e Ter Ovanesian a 8,35) solo Fracchia era sul posto a riprenderlo. La notizia fece il giro del mondo, quel filmato divenne preziosissimo e anche la sua notorietà fece un bel balzo. Cominciarono a piovere da ogni parte richieste di conferenze e consulenze. Fracchia, con la caratteristica ruvidezza e l’abituale basso profilo astese, rispondeva con il contagocce: ne era orgoglioso ma era anche fedele al detto “esageruma nen”. Comunque le conferenze e le proiezioni didattiche ci furono, in tutta Italia, in Svizzera, Spagna e Jugoslavia e addirittura la Iaaf, la federazione internazionale di atletica leggera, lo nominò cineoperatore ufficiale delle gare di atletica alle Olimpiadi di Montreal ’76. Cominciò anche un’intensa attività di scambi con tecnici e collezionisti di tutto il mondo che lo portarono, tra l’altro, ad inserire un preziosissimo reperto delle Olimpiadi di Atene 1896 nel suo sterminato patrimonio cinematografico, tutto rigorosamente in pellicola da 16millimetri (e mai riversato su altri supporti n.d.r.). Il professore rifiutò infatti sempre il passaggio alle cassette o ad altri sistemi di riproduzione. Rigoroso, tenace e pervicace nelle sue convinzioni fino alla fine.