Quel bambino miracolato dalla musica della banda di Castello d’Annone
Il sassofono costa troppo. Papà Pietro e mamma Maria non possono permetterselo e il piccolo Gianni deve accontentarsi di un “quartino”, un clarino da 40 lire. Gianni non andava ancora a scuola, ma aveva già la musica nel sangue. Anzi, come ha raccontato ad Armando Brignolo, suo amico e biografo che lo riporta in Gianni Basso una vita con il sax, edito da Fabiano nel 2004, fu la musica della banda di Castello d’Annone a “miracolarlo” facendolo uscire da una misteriosa paralisi infantile.
Quando sentì la banda passare sotto le finestre di casa lasciò il letto e guarsce. Il parroco gli aveva già dato l’estrema unzione e la zia decide di portare un ex voto alla Madonna. Siamo negli Anni Trenta. Gianni nasce il 24 maggio 1931, ad Asti in fondo a corso Torino da una famiglia operaia. Un anno dopo si trasferiscono a Castello d’Annone: papà e mamma sono stati assunti alla fornace del paese. Trovano un alloggio che dividono con la zia materna “magna” Ernestina, suo marito Quinto e la loro figlia Nella. “Barba” Quinto ha una piccola officina da ciclista. È tra quegli attrezzi e quei rumori che Gianni gioca e cresce. Gli piace il ritmo, soffia in una canna come se fosse una tromba. Fasulin, il maestro di musica del paese, lo nota.
Con lo zio Quinto convince il padre a compragli un primo strumento musicale. Mamma Maria cuce una fodera di velluto per quel “quartino” che Gianni non abbandona mai. A sette anni, in seconda elementare, entra nella banda municipale di Annone. Suonano a feste, raduni e anche funerali. «Ero piccolo e faticavo a tenere l’andatura degli adulti. Loro facevano un passo e io tre». Nel 1940, la Casa vinicola Gerbi, dove papà Pietro aveva trovato un lavoro migliore, si trasferisce ad Asti. Mussolini ha appena dichiarato guerra alla Francia e all’Inghilterra. Gianni e la famiglia (nel frattempo nasce anche Gino), debbono lasciare Annone e traslocare ad Asti, in corso Alessandria.
Gianni frequenta la quarta elementare e prende lezioni all’Istituto di musica. Suonare il clarino da autodidatta non basta: deve imparare il solfeggio e a leggere gli spartiti più difficili. A 14 anni entra nella banda di Asti del maestro Bosi. Per racimolare qualche soldo, fa il “ragazzo spazzola” da un barbiere e aiuta in un magazzino di legnami. Ma è la musica a farsi strada nella sua vita e percorre vie inaspettate. Negli anni della Repubblica sociale, dalla fine del 1943 alla primavera del 1945, il ragazzo va con il padre di sera a casa di un vicino ad ascoltare in gran segreto Radio Londra. Luci spente, finestre chiuse, volume al minimo, quel tanto che basta ad ascoltare le notizie sulla guerra e i messaggi in codice per i partigiani (tra gli speaker c’era anche l’astigiano Umberto Calosso ndr). Le trasmissioni si aprivano con cupi colpi di tamburo, le prime note della Quinta Sinfonia di Beethoven, ma Gianni è catturato dalla musica che spesso li precedeva.
È cosi che ascolta per la primavolta brani di jazz e se ne innamora. Con la fine del conflitto e la Liberazione gli americani portano il jazz in tutt’Italia, come il boogie-woogie e la gomma da masticare. Nell’estate del 1945 due militari Usa, del servizio assistenza alle truppe, arrivano a cercare Gianni nel cortile di casa. Stanno organizzando un concertino per i soldati e hanno saputo che il ragazzo se la cava con il clarinetto. Suonerà al circolo “Senza Gena” di viale Pilone con altri italiani musicisti, reclutati al momento. Fu il primo concerto nella vita di Gianni Basso. Non smetterà più.
Comincia a suonare al dancing del circolo ferrovieri, va perfino in tournée con un quintetto all’albergo Savona di Alba dove si balla di domenica pomeriggio. Il mondo stava cambiando e anche la musica. Gianni è assetato di jazz. Va a caccia dello swing di Benny Goodman e Duke Ellington, così diverso dai valzer, dalle polche e dalle mazurke che si suonavano nelle feste: “tre brani e un riposino”. Acquista il suo primo sassofono d’occasione. La fine della guerra impone scelte dolorose. L’Italia per avere carbone propone al Belgio l’invio di decine di migliaia di uomini da far lavorare nelle miniere. La paga è buona.
A poco più di 40 anni anche Pietro Basso, il padre di Gianni, sarà tra quei migranti. Parte da solo nel 1947, mamma Maria piange e va alla stazione a salutarlo con Gianni, Gino e la sorellina Bruna. Passano otto mesi. L’uomo si è sistemato nel villaggio di baracche destinato ai minatori a Moustier e fa arrivare in Belgio la famiglia. Bastano poche valigie, i mobili vengono lasciati in custodia da zio Quinto. Gianni porta con sé il clarinetto e il sax, ma lascia i tanti amici di quegli anni. Ha una licenza media commerciale, non vuole f inire in miniera e scopre che la musica può diventare il suo mestiere. Del jazz conosce gli “standard” ascoltati migliaia di volte dai dischi a 78 giri portati in Europa dagli americani, che in Belgio trovano terreno fertile e musicisti preparati.
Emigra in Belgio nel ’47 con il padre minatore
Gianni cerca contatti aiutato da un amico del padre che lavora al consolato italiano. Si fa notare a Bruxelles in un locale frequentato da musicisti già famosi. È il chitarrista René Tomas a invitarlo sul palco per un pezzo blues. Supera l’emozione, se la cava, dimostra di avere stoffa. Spuntano i primi ingaggi. Le telefonate arrivano al centralino pubblico del villaggio minerario perché i Basso, come tutti, non hanno telefono. Il primo contratto lo firma con l’orchestra di Paul Chapelle.
Le star sono le due sorelle Etienne, famose in Belgio come il duo Fasano in Italia. Vanno per due mesi in Germania a suonare per le truppe. A Gianni resteranno negli occhi le città tedesche distrutte dai bombardamenti. Su quei palchi salgono artisti famosi come Rita Hayworth, Bob Hope, Jerry Lewis. Ascolta e vede suonare Chet Baker, un mito della tromba, che conoscerà meglio anni dopo. Con i primi guadagni compra un orologio e un nuovo sax da un soldato americano. Il resto lo manda alla famiglia.
Il padre ha trovato lavoro in una vetreria e non deve più scendere in miniera. I quattro anni in Belgio, ricchi di incontri ed esperienze musicali, si concludono quando a Gianni arriva la cartolina precetto. Il suo prossimo colore sarà il grigioverde. Fa un lungo viaggio in treno fino ad Asti. Passa dall’osteria di Vigin al Ponte Verde e va a salutare gli amici musicisti che si ritrovano dai “Tre ciuchin” di corso Alfieri nel rione di Santa Caterina: incontra Adriano Cicci, Ida Migliasso, Dario Occhiena. Giulin Sorba.
Poi va a Milano dove ha altri amici. L’esperienza musicale in Belgio lo ha molto migliorato anche nella tecnica. Partecipa ad una jam session in una caffetteria di viale Monza, interpreta al meglio la nuova tendenza del jazz cool. In attesa della partenza per la naja non perde tempo. Sono giorni di viaggi avventurosi: in Lambretta con gli strumenti, notti insonni e sistemazioni di fortuna. Passa da un locale all’altro e scopre la solidarietà tra musicisti. Gianni conosce così Oscar Valdambrini, anch’egli piemontese, un trombettista con il quale guiderà la formazione jazz più famosa in Italia.
L’incontro della vita con il trombettista oscar Valdambrini
Andavamo con il vestito blu in Galleria, sperando che arrivasse un capo orchestra o un impresario ad ingaggiarci. A volte si andava a Bergamo, a Mantova o a Chiasso, per tornare poi il mattino seguente» ricorderà Basso, che viveva come i personaggi del film Polvere di stelle. Gianni è bravo, ha cuore e capacità musicale. Se ne accorge Gorni Kramer che lo vuole nella sua orchestra per la rivista con Wanda Osiris. Poche repliche e arriva la chiamata: l’alpino Gianni Basso si presenti a Bra. Preferisce non dichiararsi musicista ed è destinato tra i rocciatori-mortaisti, ma finirà alla caserma Monte Grappa, nel centro di Torino. Ma non abbandona la musica.
In libera uscita va a cambiarsi nella pasticceria dei Piana originari di Refrancore, con il figlio Dino valente trombonista. Suonano nella sale da ballo torinesi e partecipa anche a qualche trasmissione musicale dalla sede Rai di via Verdi. Viene scoperto da un ufficiale, anch’egli appassionato di jazz e finirà la naja nella banda musicale militare, una “punizione” sopportabile. La sua notorietà cresce tra gli appassionati e si fa notare dai critici. Il primo disco è del giugno 1951 per la Durium: “Amici del jazz” con Valdambrini, Umiliani, Termini, Bonetto, Gambarelli. Basso ha appena compiuto vent’anni.
Sono stagioni di viaggi, concerti, serate. Si divide tra il dovere di suonare a “spartito” in gradi orchestre e la libertà di improvvisare serate nei jazz club che stanno nascendo in Europa. Già nel 1954 i lettori della rivista Musica Jazz lo eleggono il miglior sax tenore italiano. L’amicizia non solo professionale con Valdambrini si rafforza. Arrivano i primi Lp che andranno ad arricchire una discografia di oltre 120 incisioni in carriera. Il nome di Basso compare in copertina nel 1959: “Basso-Valdambrini Quintet: Parlami d’amore Mariù”. Gianni, come molti altri jazzisti, cerca punti di incontro.
Tra i più frequentati c’è la “Taverna messicana” nel centro di Milano, ritrovo di appassionati e nottambuli, dove si possono incoontrare artisti, attori.
L’allegra stagione alla taverna messicana
Una volta Basso scopre che tra il pubblico ci sono l’editore musicale Nanni Ricordi e il maestro Leonard Bernstein, reduce dall’aver diretto un concerto alla Scala. Dalla Taverna passano i grandi nomi del jazz internazionale. D’estate quel mondo si sposta al dancing “Mexico” dei bagni Elia di Marina di Carrara. La stagione del 1955 è aperta dal Sestetto italiano di Basso e Valdambrini. Una sera tra il pubblico c’è una bella ragazza bruna di origini piemontesi in vacanza con la famiglia: Luciana Vatteroni.
Un anno dopo diventerà la moglie di Gianni. Si sposeranno a Torino il 31 maggio 1956 alla chiesa della Crocetta. Valdambrini è il testimone dello sposo. C’è una foto che immortala sposi e invitati al rinfresco nella sala della pasticceria dei Piana.
La musica continua. Basso e il suo gruppo vengono ingaggiati da Sergio Bernardini, il patron della Bussola, il locale più alla moda della Versilia (lancerà anche una giovane cantante di Cremona chiamata Mina). In quegli anni vi passano a cantare Ella Fitzgerald, Charles Aznavour, e Basso si ritrova a far da cavaliere, per una sera, a Ginger Rogers, la mitica ballerina compagna d’arte di Fred Astaire. Il 28 novembre 1957 nasce a Milano il primo figlio di Gianni e Luciana. Viene chiamato Gerry e il papà spiega che è un omaggio a Gerry Mulligan, straordinario sassofonista americano, un genio della musica dalla vita tormentata con il quale aveva suonato alla Taverna Messicana. Gianni non si ferma: suona moltissimo. Registra dischi. Il quintetto con Valdambrini diventa sestetto con l’inserimento stabile di Dino Piana.
Li vuole nella sua orchestra Armando Trovajoli. Girano l’Italia, suonano a San Remo, hanno contratti con la Rai. Le trasmissioni radio dedicate al jazz dall’auditorium di Via Verdi a Torino hanno un sorprendente successo.
Nel 1962 la consacrazione a New York. Successi anche in Francia e Giappone
Nel 1962 il grande salto in America. Il sestetto vola a New York, primo gruppo jazz italiano ad esibirsi negli USA. Sulla copertina del disco che ne nascerà i sei musicisti sono sulla pista davanti all’aereo Alitalia. È la consacrazione.
Intanto Gianni nel 1965 diventa nuovamente papà di Roberto e nello stesso anno ha la soddisfazione di suonare alla Scala in uno spettacolo di musiche e coreografie dedicato a Gershwin con Carla Fracci. Erano previste sette repliche, se ne faranno venti. Crescono le partecipazioni ai festival e arrivano altri dischi.
Gli Anni ’70 portano stabilmente Basso e famiglia a Roma dove Gianni ha un contratto con la Rai, e intanto nasce Alex, il terzogenito. Al festival jazz di Ravenna incontra per la prima volta Dizzy Gillespie, uno tra i trombettisti più famosi al mondo. Suoneranno insieme molte altre volte. Memorabile il loro duetto ad Asti Musica nel 1984. Nella sua terra Gianni continua ad avere tanti amici.
A Rocchetta Tanaro, “regno” di Giacomo Bologna, suona e brinda in allegria. Così come dal 1983 troverà a Cocconato un nido: Casa Brina della famiglia vinicola Bava ospiterà le prove della AT Big Band, la nuova superformazione raccolta attorno a Gianni Basso. Ne nascerà un disco “Miss Bo” con in copertina il suo sax e due flûte di malvasia. «Abbiamo aperto le nostre cantine alla musica e abbinato in etichetta i nostri vini agli strumenti musicali. Non era marketing, ma il segno di un incontro tra due mondi popolati da persone amiche» ricorda Roberto Bava.
Nel frattempo Gianni porta con successo il suo jazz a Parigi, interpretando, da par suo, le più famose melodie d’Oltralpe. Ad Asti lo convincono anche a candidarsi nelle liste del Pci alle elezioni comunali del 1985. Viene eletto e resterà in Consiglio dai banchi dell’opposizione per 5 anni durante la prima giunta Galvagno. «Ho ascoltato tante parole, molte inutili, non è il mio mondo, meglio la musica» dirà al termine dell’esperienza.
Voleva fare di Asti una delle città del jazz. Non fu ascoltato
Un suo progetto era di collegare Asti alle altre città del jazz e ospitare una sorta di “università” musicale. Lui aveva i contatti giusti in tutto il mondo, ma non trovò orecchie attente. La sua Big band perde la AT di Asti e diventa Gianni Basso Big Band. Poi nel 2006 in omaggio alle Olimpiadi si trasforma in Torino Jazz Orchestra.
In questi anni conquista anche il pubblico giapponese in due tournée. Gianni si scopre malato, ma non smette di suonare e di amare il jazz che definisce «un albero con tanti rami.. sotto le cui fronde troverà sempre ristoro l’animo umano». Ha il tempo di vedere germogliare i ramoscelli della sua famiglia, i nipoti: Lorenzo e Riccardo, Denise, Giulia e Alessio. Muore all’ospedale di Asti il 17 agosto 2009. Ai funerali in San Secondo gli amici musicisti lo saluteranno con una straordinaria jam session. Asti gli ha dedicato il foyer del Teatro Alfieri.