sabato 27 Luglio, 2024
1923

Giuseppe Nosenzo

Giuseppe Nosenzo ha novantun anni. Il “commendatore” ha percorso un itinerario speciale, ricco di orgoglio, di intraprendenza e intuizioni. Entrato in fabbrica da ragazzino, con passione, tenacia, lungimiranza è arrivato a portare le sue industrie, i suoi uomini e il nome di Asti in ogni continente. Con la Morando e le altre sue aziende ha intuito il valore anche simbolico della produzione dei materiali da costruzione: «I mattoni sono oggetti di pace e progresso». Ha conosciuto i potenti della terra e ci ha fatto affari. È sempre rimasto, nonostante gli interessi internazionali, un cittadino astigiano che ha vissuto e respirato l’aria di Asti: appassionato di Palio, di calcio, di informazione e di televisione. Nel 1994 ha mancato di poco l’elezione a sindaco. Dal giardino della sua villa vede Asti e i tetti della Torretta, il suo rione e il suo mondo che non ha mai abbandonato.

Il commendatore mi accoglie appena oltre la porta dell’elegante villetta sulla collina della Laverdina dominante la parte ovest della città. 

Da lì si possono vedere i tetti delle case del rione Torretta, quelle cresciute insieme e intorno alle fabbriche lungo il Borbore. Tra di esse, la Morando, poi divenuta Unimorando, lo stabilimento che ha segnato la sua vita.

Il “commenda” è elegante, camicia azzurra e cravatta intonata, giovanile non solo nell’incedere, reso lievemente prudente dal calo di vista. Ha passato i novant’anni, ma non lo dimostra. 

Mi guida oltre la breve scala nell’ampio salone, accanto al grande tavolo di vetro dove mi pare di immaginarlo in riunione, con l’ingegner Rigas Anghelakis, l’avvocato Pietro Marena e il più giovane collega Pietro Patrisso. Era il suo team, gli uomini che con lui hanno condiviso scelte e strategie, industriali, sportive, politiche.

Lì si elaboravano le idee, si mettevano a punto i progetti, si organizzavano le strategie verso il resto del mondo. Nel periodo di maggiore sviluppo la Morando è arrivata ad avere rappresentanze in ogni parte del globo. Le fornaci e le macchine per produrre mattoni partivano da Asti e venivano montate in ogni paese, «esclusa forse l’Africa equatoriale» chiarisce con una punta di orgoglio il commendare .

“Le nostre attrezzature sapevano superare confini e barriere ideologiche, e si firmavano contratti negli States come in URSS”.

Nosenzo al reparto assemblaggio delle macchine per produrre mattoni.

Commendatore partiamo dall’inizio. La sua è davvero una vita romanzata. 

Beh! In effetti è così. Papà Aristide e mamma Caterina mi hanno sin da subito inculcato la cultura del lavoro.  

Entrai alla “Morando” che ancora portavo i pantaloni corti dei miei dodici anni, eravamo nel 1935. Venni raccomandato dal “maslè Tomlin”, che aveva il negozio proprio di fronte alla fabbrica. Parlò di me a “madama Marieta”, la mamma “d’ munsù Morando”. Allora il borgo Torretta era un microcosmo familiare, ci si conosceva tutti. Cominciai, ovviamente da semplice apprendista, alle macchine utensili, poi, crescendo d’esperienza divenni aggiustatore. All’epoca si lavorava rigorosamente a mano, e si imparava osservando i più vecchi e stando attenti ai loro radi consigli. Fu a sedici anni che divenni montatore. 

Un destino da operaio, di quell’eccellenza operaia che caratterizzò le più importanti industrie metalmeccaniche astigiane, dalla Way Assauto alla Maina. Come le capitò di “passare di grado”? 

Successe che al disegnatore, il signor Rossi (si era nel ’40) offrissero un posto all’Olivetti. Fui designato a sostituirlo, non prima di aver maturato una faticosa esperienza ad Ivrea con viaggi sistematici nella città eporediese.  Dopodiché potei occupare il suo posto all’ufficio tecnico. 

Poi arrivò la guerra e la chiamata alle armi nel ’43, milite della Regia Aeronautica, dove prestai servizio sino al fatidico 8 settembre. Anziché obbedire alla chiamata della Repubblica di Salò, continuai clandestinamente il mio lavoro in Morando. 

Fu proprio lì che mi arrestarono. Aggregato a una compagnia tedesca, riuscii a disertare e raggiunsi le formazioni partigiani di “Giustizia e Libertà”, presso cui diedi il mio contributo di lotta sino alla fine delle ostilità.

Giuseppe Nosenzo “partigiano Leo”, nei giorni della Liberazione a Torino

 

Negli Anni ’60 la Morando produceva macchine per laterizi. Si era in pieno boom edilizio e le fornaci lavoravano a pieno ritmo. E il giovane Nosenzo….

Debbo chiarire che, per empatia e interessi lavorativi, fui davvero accettato come un figlio dalla famiglia Morando. In quel contesto commerciale, era divenuto importante dare spazio all’impiantistica, cioè sviluppare anche la parte di allestimento, in modo da riuscire a garantire ai clienti la consegna di intere fornaci “chiavi in mano”. 

Ne parlai con il cavalier Giuseppe Morando, papà di Silvio e Mario. Lui non se la sentì di modificare il trend aziendale, ma sposò il progetto di creare un ufficio tecnico che collaborasse con la ditta stessa. Nacque così la Morando Impianti, e io ne divenni l’amministratore.

A questo punto bisognava trovare nuovi mercati nei paesi dove c’era bisogno di impiantare fabbriche di laterizi. 

Ci rivolgemmo, e fu l’idea vincente, al mercato dei Paesi dell’Est. Sbarcammo in Bulgaria, dove si creò, già nel ’63, uno degli stabilimenti più moderni del mondo. 

Una volta messo piede “oltre cortina”, come si diceva allora, ci espandemmo in URSS e Cecoslovacchia… In pratica stavamo percorrendo la stessa linea di Agnelli e Valletta con il loro stabilimento Fiat a Togliattigrad

Per questo in città anche la sinistra, l’allora Pci, la guardava con simpatia giudicandola un “padrone rosso?”

In Morando è sempre stata attiva una commissione interna, nominata dagli stessi operai che, in accordo con la direzione, si occupava della qualità del prodotto e dell’ambiente lavorativo, garantendo spazi di crescita e osservanza dei diritti. Il “patto” che sta alla base del progresso industriale delle Germania da noi era già in atto decenni fa. Per il resto ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti gli schieramenti politici. Il nostro dovere era di chiudere contratti e soprattutto all’estero non si poteva andare troppo per il sottile nel giudicare il regime politico dello stato in cui si operava. Abbiamo lavorato in Asia, Africa, Sudamerica. Avevamo insomma rappresentanze e ditte in decine di Paesi. Del resto ho sempre pensato che le nostre fabbriche, nate per produrre mattoni e laterizi, fossero davvero l’emblema della pace e della voglia di costruire.

Il commendator Nosenzo e i suoi collaboratori (in primo piano l’avvocato Marena) con Umberto Agnelli durante una visita alla Morando

 

Sul tavolo di vetro azzurrato scorrono foto che sono la sintesi di una vita intensa vissuta in giro per il mondo. Facce di tecnici, operai, dirigenti sullo sfondo di costruzioni industriali o a una tavola imbandita, immortalati in fotogrammi in bianco e nero, con solo la foggia dei vestiti, i risvolti delle giacche troppo larghi, a far capire il tempo passato. 

Queste sono foto scattate a Bagdad spiega il commendatore, con grossi funzionari del governo di Saddam Hussein. E quello (un uomo alto con i tratti mediorientali) era l’ingegnere con cui ci trovammo a trattare.

Siamo arrivati ad avere 1600 dipendenti negli stabilimenti di Ferrara. Bologna, Torino… Era straordinariamente stimolante e motivo di grande orgoglio inviare il nostro personale, altamente specializzato e in gran parte astigiano, in luoghi dove della nostra città non avevano mai sentito parlare. Insomma possiamo vantarci di aver contributo a portare il nome dell’Italia e di Asti nel mondo.

La creazione della camera di commercio Italo-Bulgara, nata nell’87 e di cui divenni presidente, fu il coronamento di questa azione di internazionalità. La sua prima sede fu Palazzo Zoia.

Il giovane Nosenzo alle prese con i progetti da lui elaborati in Morando

 

Il suo rapporto con Asti. Lei non si è limitato al comparto industriale.

Ho sempre pensato, da cittadino astigiano e “torrettiano” di corso Torino in particolare, che la nostra terra andasse valorizzata anche sotto l’aspetto artistico, per esempio incoraggiando i concittadini particolarmente dotati. Tra gli altri Valerio Miroglio, artista di straordinario talento, con cui stabilii un bellissimo rapporto di amicizia e che chiamai a collaborare, debbo dire con grande efficacia, con il nostro ufficio di rappresentanza. Mi avventurai con piacere anche nel mondo dell’editoria, acquisendo la SEA e il suo settimanale, il “Gazzettino e Corriere nuovo”, e la rete TV “Rete 9 TAI”. Fu una fucina di professionalità per molti operatori che, dagli studi creati nel nostro capannone di Val Rilate, continuarono poi la loro attività a livelli di eccellenza (tra di loro mi piace ricordare Alberto Duval, attualmente corrispondente in Mediaset).

La sua opera di filantropo si sviluppò anche in altre direzioni.

Come ho detto, mi ritengo un astigiano al cento per cento. Man mano che cresceva, diciamo così, la mia notorietà, ogni tanto qualcuno mi chiedeva di dare un mano per qualcosa. Per esempio quando don Bosticco, parroco della Torretta, domandò un aiuto economico per l’acquisto di materiale calcistico per i ragazzi dell’oratorio: servivano scarpe da calcio, palloni, maglie. Mi capitò così di farmi coinvolgere dalla passione di quei giovani, e crebbe la voglia di mettere in campo una squadra competitiva, magari di salire di categoria. Insomma, divenni il presidente della Torretta e diedi il mio contributo, anche economico. Vincemmo in pratica tutti i campionati, tra cui la serie D 1979/1980 e salimmo in serie C1 come terza squadra piemontese dopo le torinesi Juve e Toro. 

Ne seguì la fusione con l’Asti A.C. e ne nacque l’Asti TSC (che sta per Torretta Santa Caterina, giusto per non scordare le nostre origini (vedi Astigiani 2, Il calipso dimenticato di Paolo Conte). 

Venne coinvolto anche dal mondo del Palio che si era ripreso a correre nel ‘67.

Il rettore Felice Penna, rettore delle Torretta-Santa Caterina (all’epoca i due borghi erano uniti), si presentò chiedendomi di occuparmi dell’organizzazione. Dopo un anno di apprendistato, non privo di qualche istruttivo errore (arrivammo ultimi), ci 

accaparrammo Lazzaro, un grande fantino.  Non vincemmo, ma crescemmo in esperienza ed entusiasmo e nel 1970, con Ruiu in sella al cavallo che avevamo scovato e testato per un intero mese in Toscana, arrivò il successo storico.

Come è andata che quel drappo vinto nel 1970 sia rimasto a casa sua per decenni?

Successe che i due rioni, per scelta discutibilissima di alcuni borghigiani, si siano separati proprio nell’anno della vittoria. Mi offersi di risolvere la questione della custodia del vessillo facendomene carico. L’ho sistemato in una bacheca e ben conservato. Sino a quando, nel 2010, il Comune mi chiese di poterne disporre per un’esposizione. Da allora sono in attesa che mi venga restituito. 

Silvio Berlusconi stringe la mano a Giuseppe Nosenzo, candidato a sindaco della città di Asti per la neonata Forza Italia nel 1994

 

Arriviamo al 1994 e alla sua candidatura a sindaco. Erano le prime elezioni che si tenevamo con il nuovo sistema diretto a doppio turno. La bufera di tangentopoli aveva soffiato forte anche su Asti. Alle elezioni politiche erano stati eletti quattro parlamentari della Lega. Lei fu indicato da Forza Italia con l’appoggio di Alleanza Nazionale e Ccd. Pareva destinato a vincere facile.

Non mi ero mai occupato di politica se non come libero cittadino con le proprie libere opinioni. Non mi interessava tanto il movimento di cui avrei fatto parte, all’epoca si era alla prima fase di sviluppo di Forza Italia, ma di avere l’opportunità di proporre le mie idee nell’ottica della crescita della mia città. Elaborai un dettagliato programma (tra cui l’abbellimento delle tre porte d’accesso alla città, che ritenevo e ritengo un pessimo biglietto da visita) che evidentemente piacque agli astigiani, visto che al primo turno ero in testa con il 34,8% dei voti.

Ma ci fu il ballottaggio…

Entrarono in scena i giochi e, mi si consenta, gli opportunismi e intrallazzi tipici della politica, a cui, non essendo “del mestiere”, non ebbi la capacità di oppormi. Vinse il preside Alberto Bianchino, con il quale ho sempre avuto un ottimo rapporto al di là dei diversi schieramenti. Fini così la mia carriera politica, devo dire con scarsi rimpianti.

Alla luce della sua straordinaria esperienza di creatore di lavoro come vede il momento attuale, e cosa si sente di consigliare a un mondo lavorativo disorientato e dalle prospettive incerte?

Trovo che si stia perdendo l’amore per il proprio ruolo lavorativo, e l’orgoglio di appartenenza a una squadra, con un progetto da sviluppare. L’esperienza non la puoi acquisire leggendo un libro o frequentando un corso intensivo. Hai bisogno di veder fare, tante volte, poi provare, altrettante volte, e sbagliare per capire cosa non andava fatto. Non si può buttare a mare l’oceano di nozioni accumulate dai più anziani, come non è giusto creare dei meccanismi di avvicendamento automatici, non appena i giovani abbiano afferrato le norme del mestiere. Una famiglia ha bisogno di rapporti intergenerazionali fondati sul rispetto e sull’affetto. Da noi arrivavano tanti ragazzi, con la voglia di accettare la piccola servitù dettata dalla gerarchia. Occhi aperti e umiltà, questo abbiamo insegnato loro, ma anche ambizione, voglia di conquistare spazi professionali che man mano si liberavano, senza doverli rubare ad altri.

Perché è finito tutto questo? Perché è finita l’esperienza della Morando?

In realtà non finì, ma semplicemente si trasformò, adeguandosi ai nuovi tempi. Nosmar, società per partecipazioni immobiliari, Italimpianti e la Nosenzo Consortium, operanti sempre nel ramo laterizi, ne sono la testimonianza. Ancora nel 2000 ho voluto riacquisire la proprietà e il marchio Morando che avevo ceduto all’Unicem nel 1982. Poi a 81 anni è venuto il tempo di garantire un diverso futuro alla mia industria, e di cederla a un gruppo francese tuttora pienamente e felicemente operativo. 

Abbiamo finito. Lo sguardo del commendator Nosenzo scivola oltre l’ampia finestra e si appoggia al verde del curatissimo parco come se vi leggesse una storia, la sua, straordinaria, storia. 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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