«Una leggera brezza muove appena le fronde degli alti pioppi sulla destra della tela e fa baluginare l’argento delle foglie; il fiume scorre placido, gorgogliando quando trova un piccolo intralcio al suo cammino; il cielo è di un azzurro intenso con solo qualche nuvoletta di ovatta candida che pare messa apposta per interrompere l’intensa luminosità di quello stesso cielo. Seduto al suo cavalletto “da campo”, papà sta fissando sulla tela persino quel leggero sospiro delle fronde; una bimba è seduta tranquilla alle sue spalle…»: è la figlia Enedina a ricordare un pomeriggio estivo, accanto al padre Pio Pia.
Poeta della natura, Pia affascina chi lo osserva dipingere dal vero, come i paesisti del Secondo Ottocento sapevano attrarre l’animo e lo sguardo. Coltiva il disegno nello studio di Giuseppe Manzone e frequenta l’Accademia Albertina di Torino (1918-1921), quindi dal 1923 al 1929 soggiorna a Parigi, per approfondire lo studio di paesaggio della cerchia post-impressionista e la qualità tonale del colore.
Dopo il matrimonio con l’insegnante Maria Brunetto, dal 1936 Pio Pia dipinge nel luminoso studio, allestito nell’abitazione in piazza Cattedrale, accogliendo, tra gli allievi, la giovanissima Amelia Platone, Garberoglio, Borello, Saracco.
Agli occhi della piccola Nene, ogni giorno si rinnova l’alchimia cromatica: «Ricordo, come fosse ieri, gli impasti di colore che papà faceva sulla tavolozza con la sua morbida spatola: ecco l’ocra, la terra rossa, il bruno… uscire dal tubo, passare all’impasto e… cinque minuti dopo, trasformarsi nella vegetazione dorata di un magico, caldo autunno delle nostre campagne». Nene accompagna spesso il padre nella tenuta San Marco, ospite dell’avvocato Vincenzo Adorni, per dipingere dal vero il vecchio salice, colpito dal fulmine, a ridosso del laghetto, popolato da pesci gatto.
Talvolta, costeggiano gli argini del Borbore, seguendo le lame di luce tra le fronde e salgono fino al Palucco, come avviene anche il pomeriggio precedente l’alluvione del 1948, quando il pittore, per trarre in salvo Nene, interrompe l’abbozzo dei frammenti visivi còlti tra natura e terra e, al repentino addensarsi delle nubi, si affretta a rincasare sotto il cielo minaccioso, prima dell’impeto distruttivo dell’acqua.
Il profondo legame con il paese natale accompagna l’esistenza del pittore: dall’esordio, con il dipinto Case di Isola Villa (Premio Arbarello,1936) fino ai primi anni Cinquanta, quando dedica alcune tele all’amato declivio di Isola Villa, come il prezioso Vago profilo del paesello natìo (1950), recentemente donato dagli Eredi alle Collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, unitamente al ritratto della nonna Gina (1917).
Negli anni Quaranta, vedute montane di Champorcher, scorci di Asti, ritratti di famiglia, composizioni in interno, fiori recisi vengono esposti al Ridotto del Teatro Alfieri (1945), a Rapallo (1946), a Torino (1947) e Milano, in allestimenti itineranti organizzati dal Circolo CRA (1949-1952). Dopo la precoce scomparsa (1958), le mostre postume ordinate dal Comune di Asti (1969; Palazzo Mazzetti 1992; Battistero di San Pietro 2010) confermano la serena contemplazione del pittore della luce di Isola Villa, una personalità sensibile, rigorosa e metodica che, quotidianamente, annota nel diario Appunti d’arte: «Il giorno in cui si esce di buon mattino, sani e disposti coi pennelli lavati, la tavolozza carica di colore fresco, il cartone ben preparato, siete certi di portare a casa qualche buona cosa…»