Di Rolando anche l’inno della Croce Verde e la canzone del Palio del 1936
«Nilla Pizzi e il maestro Angelini venivano spesso a casa nostra, a cena da noi». Chi parla è Alice, figlia di Ambrogio Rolando, nato ad Asti l’11 dicembre 1888. Musicista, compositore, editore, commerciante di pianoforti, il nome del Maestro Rolando, così come veniva chiamato da tutti, è indissolubilmente legato alla città di Asti. Autore nel 1920 dell’Inno della Croce Verde, nel 1936, l’anno in cui il Palio venne sospeso, compose la Canzone del Palio. La dedicò a Vincenzo Buronzo, il Podestà di Asti che aveva ridato vigore alla corsa e che aveva cercato, per quanto poteva, di contrastare la decisione di Mussolini di far cambiare il nome della manifestazione da Palio a un meno prestigioso Certame Cavalleresco (vedi Astigiani 1, settembre 2012, pag. 4).
Autore dell’operetta Terra d’Amore, rappresentata con grande successo al Teatro Alfieri nel 1947, il Maestro Rolando con le sue canzoni si lega anche alla scena musicale italiana degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta.
In quegli anni nascevano insieme il Festival di Sanremo e Nilla Pizzi, la “Regina della canzone italiana”. E allora, per raccontare la storia del Maestro Rolando iniziamo proprio da qui, dalla sera del 29 gennaio 1951.
Erano le ore 22 in punto quando, sul palco del salone delle feste del Casinò municipale di Sanremo, Nunzio Filogamo dava il via al primo Festival della Canzone Italiana. Chi era in sala aveva pagato 500 lire il biglietto ed era seduto ai tavolini tra l’andirivieni di camerieri eleganti. Ma la novità era la diretta alla radio Rai che ebbe un grande successo. Si disse milioni di persone.
Se gli ascoltatori fossero stati davvero così tanti non si sa. Chi quella sera non era in casa con l’apparecchio acceso poteva andare al cinema, dove sugli schermi furoreggiavano Amedeo Nazzari o Rossano Brazzi, il più grande latin lover del tempo, o la bella Lucia Bosè, la ex cassiera che pochi anni prima aveva vinto Miss Italia, battendo l’affascinante e maggiorata Gina Lollobrigida (Cfr. Gianni Borgna, L’Italia di Sanremo, Milano 1998).
Quando al Festival sbocciò il mito della regina della canzone
Il Festival si concluse il 31 gennaio del 1951, a notte inoltrata, dopo serate di esibizioni. Nunzio Filogamo annunziò che tra le venti canzoni prescelte per la gara e selezionate tra gli oltre 200 brani inviati (240 per l’esattezza), aveva vinto Grazie dei fiori, cantata da Nilla Pizzi. E in quel preciso momento nascevano contemporaneamente il mito della “Regina della canzone italiana” e il successo del Festival di Sanremo.
L’anno dopo, infatti, autori ed editori avevano iniziato a fiutare l’affare e facevano a gara per poter essere ammessi alla manifestazione canora. Il prezzo del biglietto era salito da 500 a 4000 lire e Nilla Pizzi aveva nuovamente stravinto, piazzandosi al primo, secondo e terzo posto con Vola colomba, Papaveri e papere e con Una donna prega. Allora si premiavano le canzoni e non i cantanti che potevano interpretare più brani. A presentare la manifestazione c’era sempre Nunzio Filogamo e a dirigere l’orchestra, come nella prima edizione, Cinico Angelini.
Nome curioso, quello del Maestro, i più ignoravano che il vero nome era Angelo Cinico: il padre, in un mondo d’altri tempi fatto di perbenismo e buoni sentimenti, per controbilanciare il cognome lo battezzò Angelo. Pur non avendo mai scritto una canzone, il maestro Angelini, amatissimo dal pubblico, fu uno dei protagonisti della storia della canzone italiana dagli Anni ’30 agli Anni ’50, tale da diventare il simbolo dello stile melodico all’italiana.
«Nilla Pizzi e il maestro Angelini venivano spesso a cena a casa nostra. I mobili in legno che vede sono quelli che mio padre aveva acquistato in quel periodo» ribadisce Alice Rolando, detta Ninni, nella sua casa ad Asti; il suo sguardo e il suo tono sono quelli fieri e venati di malinconia di chi, a 68 anni, ha la consapevolezza di un tempo (e di un mondo) ormai trascorso.
«Allora ero molto piccola, ma mi ricordo che ogni volta che la Nilla e il maestro Angelini venivano ad Asti, mia madre si dava sempre un gran da fare perché fosse sempre tutto pronto. Ci tenevamo a fare bella figura». Suo padre, Ambrogio Rolando, era infatti legato professionalmente a Nilla e al maestro Angelini: erano molto amici.
Nel 1942, dopo aver sbaragliato la concorrenza in un concorso indetto dall’Eiar, la ventitreenne Pizzi era entrata a far parte della scuderia Angelini: il 20 febbraio 1944 aveva inciso il suo primo disco per la Parlophon, duettando con Bruna Rattani in Valzer di primavera e accompagnando Elsa Peyrone in Ronda solitaria, canzoni composte proprio da Ambrogio Rolando.
Una sua rivista musicale piacque anche al principe Umberto
Il musicista astigiano non aveva compiuto, come il maestro Angelini, studi regolari di musica. Fu un autodidatta ma imparò a suonare così bene il pianoforte che fin da ragazzo era spesso ingaggiato per accompagnare i film muti nelle sale cinematografiche di Torino. Iniziò anche a scrivere canzoni, attività che si intensificò negli anni Trenta e soprattutto negli anni Quaranta, su ritmi che risentivano sia della tradizione popolare (mazurka e polka), sia delle nuove danze alla moda ispirate dalla musica americana (one step e fox-trot).
Nel 1926 firma anche una rivista satirico-musicale su Callianetto
Tramite Angelini, oltre alla Pizzi, i suoi brani (tra cui Valzer campagnolo e Dillo tu, Rosina) vennero eseguiti dagli interpreti più in voga, quali Dea Garbaccio, Alfredo Clerici, Luciano Pellegrini. Vennero incisi «da tutte le case grammofoniche» come si legge sugli spartiti a stampa editi dalla stesso Rolando (Edizioni A. Rolando – Asti).
La creatività di Rolando arrivò anche a teatro: già nel 1926 scrisse la rivista satirico-musicale in tre atti Sima qui!… Côuj ’d Calianett!…, rappresentata in lingua piemontese dalla Comica Compagnia di Ovidio Gaveglio al Teatro Carignano di Torino. «La rivista ottenne grande successo e venne rappresentata in moltissime città e località della regione – racconta la figlia Alice. Al Teatro Carignano di Torino, nel 1931, tra gli spettatori c’erano gli allora Principi di Piemonte, Umberto e Maria José di Savoia. Mia madre ricordava di essere rimasta impressionata dall’eleganza del Principe, emozionatissima dall’applauso rivolto a mio padre alla fine dello spettacolo».
Tornò in scena dopo la guerra scrivendo un’operetta in tre atti, Terra d’amore, rappresentata ad Asti, al Teatro Alfieri, dall’8 all’11 maggio 1947. Fu un grande successo. Per il testo si era avvalso della collaborazione dell’astigiano Mario Lozzia, mentre le scenografie vennero realizzate dallo scenografo Bosio di Torino su bozzetti di un giovane astigiano emergente: Eugenio Guglieminetti (vedi scheda p. 49).
Quell’amore sbocciato grazie a un gelato e alla passione per Puccini
L’amore verso la musica e, in particolare, verso il teatro accompagnò sempre il maestro Rolando. Lo si poteva capire già subito, da un episodio emblematico che viene raccontato in un volumetto autobiografico stampato in proprio nel 2000 da Maria Luisa Rambaldi, figlia della primogenita Rosella e nipote dunque di Ambrogio Rolando, quando la nonna Maria incontrò per la prima volta il nonno.
Lei, Maria, era di Milano, faceva la sarta e durante l’ora di pausa dal lavoro andava in Piazza Duomo. Un giorno incontrò un giovanotto di nome Ambrogio che le chiese il permesso di offrirle un gelato. Dopo due garbati rifiuti, al terzo invito accettò e davanti a una coppa di crema si conobbero. «Quale maestro preferisce, signorina, Verdi o Puccini?» «Puccini!», rispose pronta Maria, e l’amore sbocciò. Si sposarono nella chiesa di San Babila a Milano: lui, Ambrogio, non molto alto, “in grigio scuro”; lei, Maria, alta e slanciata, “in seta grigio perla con guanti, cappello e accessori in tinta”.
Il suo negozio di corso Alfieri era un ritrovo di musicofili. Andava in Germania e Russia a scegliere i pianoforti
Dopo il matrimonio Maria si trasferì ad Asti. Ambrogio iniziò la sua attività di pianista e compositore: aveva anche aperto un negozio di strumenti musicali in corso Alfieri, davanti alla pasticceria Giordanino. «Mio nonno Ambrogio era un grande intenditore di pianoforti – spiega Fabrizio Rolando, figlio di Vittorio, il secondogenito. Mio padre mi raccontava che il nonno prendeva il treno per andare a comprare i pianoforti in Germania e in Russia. Una volta acquistati, li firmava all’interno e seguiva il trasporto degli strumenti fino al loro arrivo a Asti, al negozio. Il nonno noleggiava pianoforti anche alla Ricordi, perché alla casa discografica sapevano che lui quando sceglieva, non sbagliava»
Nel giro di alcuni anni il giro di affari aumentò e il negozio fu trasferito in un locale più ampio, tra corso Alfieri e via al Teatro Alfieri. Il negozio del maestro Rolando era anche un luogo di ritrovo per i grandi artisti e cantanti lirici che giungevano ad Asti per la stagione teatrale all’Alfieri. Grande amico di Rolando fu infatti Aureliano Pertile, uno dei maggiori tenori del primo Novecento, passato alla storia come il “tenore di Toscanini”, o la più importante soprano leggera dell’epoca, Toti Dal Monte. Il mondo stava cambiando.
Presto nelle case degli italiani, alla radio e agli strumenti musicali sarebbe subentrato il televisore. Il 12 dicembre 1955, all’età di sessantasette anni, Ambrogio Rolando si spense. Ai suoi funerali la partecipazione di conoscenti e amici fu ampia, come scrisse la Gazzetta del Popolo.
Anche l’uccellino della radio serviva a divertire e a far musica
Il negozio fu chiuso. Il figlio Vittorio, dopo qualche tempo, riuscì ad aprirne un altro, sempre in corso Alfieri. L’ultima immagine con cui la famiglia lo ricorda è quella del piccolo Fabrizio, figlio di Vittorio, che all’epoca aveva solo un anno e mezzo.
Il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, era corso incontro al nonno con un panettone in mano per festeggiare il suo onomastico. Quel nome gli fu probabilmente dato in ricordo di quel cugino Ambrogio Rolando, curato della Collegiata di San Secondo di Asti. Ma c’è anche un’altra immagine: una bimba di pochi anni, la bellissima Marilì, che si sedeva sulle ginocchia del nonno, il suo caro nonno Ambrogio, e insieme ascoltavano “l’uccellino della radio” che preannunciava la lettura delle notizie e tutto ciò che riguardava musica, opera, operette, classica o jazz. Poi il nonno si alzava, si sedeva al pianoforte e, come all’improvviso, le regalava una melodia. Sì, proprio un altro mondo.