Astigiani 13 – settembre 2015
Abbiamo fatto 13
di Sergio Miravalle
Abbiamo fatto 13. Ai tempi del Totocalcio era un modo per indicare vittoria e fortuna. Astigiani ha vinto la sua sfida editoriale grazie alla tenacia della redazione, alla capacità degli autori e all’aiuto crescente dei lettori. Con questo 13° numero entriamo nel quarto anno di vita della nostra rivista e della nostra associazione determinati a continuare a scavare, come curiosi minatori, nello straordinario filone d’oro della nostra memoria collettiva.
Astigiani, lo constatiamo con orgoglio in tante occasioni, è una rivista amata, sostenuta e profondamente “identitaria”, che si apre anche a temi che superano i vecchi confini provinciali. Trova consensi in un’area più vasta dal Monferrato alle Langhe che è, e dovrà diventare, il vero punto di riferimento di un territorio con comuni interessi, culture, storie da raccontare e conoscere.
La nostra associazione quest’estate, dopo aver approvato il bilancio, si è riunita il 23 luglio a tre anni dalla sua costituzione a Palazzo Alfieri per il rinnovo della cariche. Un incontro che è diventato occasione di confronto, scambi di idee nuove, proposte da attuare. Luciano Nattino è stato confermato per acclamazione alla presidenza, affiancato dagli altri componenti del direttivo e del gruppo di redazione.
Un gruppo aperto al contributo di tutti che potrà realizzare nuovi progetti con energia e fantasia. Buona lettura.
Come astigiani
di Luciano Nattino
Ho, nel titolo, volutamente omesso il punto interrogativo per rendere la frase affermativa. E scritto la “a” minuscola perché non intendo questa rivista, ma riferirmi agli astigiani, ai miei concittadini. Mi rivolgo ai molti che ritengono Asti città del mugugno, del lamento perpetuo e abbinano Asti all’astio, abbandonandosi a un facile utilizzo delle radice “asti”. Voglio invece pensarla come la città di Paolo Conte dai “tasti casti che alimentano orizzonti vasti”, usando la stessa desinenza “asti”.
E non dimentico Giogio Conte, giocoso e gentile non solo in musica. O ancora la Asti di Giorgio Faletti, sublime ed eclettico creativo, e di tanti altri artisti scomparsi quali Valerio Miroglio, Eugenio Guglielminetti, Amelia Platone, Silvio Ciuccetti, Gianni Basso. Su tutti il Vittorio nazionale, al quale abbiamo dedicato teatro, piazza, monumento, corso principale, ma fatichiamo a ridargli una casa degna del suo nome.
Per venire a tempi più recenti, non posso dimenticare la stagione fertile a cavaliere degli anni Sessanta e Settanta: di “Pensieri Nuovi”, diretti da don Luigi Berzano, della San Giorgio di don Mignatta, la presenza di Gianfranco Monaca, l’attività politico culturale intensa di Laurana Lajolo e di Gianni Goria, che seppe coniugare politica e buon senso anche da presidente del Consiglio dei ministri. Come non posso non ricordare sentieri antropologici nazionali di Gian Luigi Bravo e di Piercarlo Grimaldi: il primo ha formato decine di operatori e il secondo guida come Rettore la “communitas” di Pollenzo.
Come ricordo perfettamente le provocazioni e le proposte teatrali del nostro Mago Povero, oggi diventato Casa degli Alfieri. Penso anche alle rassegne come Asti Teatro e Asti Musica e il Settembre Astigiano, con il Palio e la sua magnifica rievocazione storica, con la Douja d’or e la insostituibile sfilata dei paisan e della civiltà contadina. Dunque Asti è una città culturalmente vivace che ha trovato e trova in sé risorse, proposte e fermenti che hanno travalicato i confini ristretti del suo territorio per farne un punto di riferimento creativo e contemporaneo. Dobbiamo continuare a crederci da astigiani.
In copertina: Quella vendemmia del 1949
L’immagine di copertina di questo numero di Astigiani, il 13°, ci è stata fornita da Bruno Murialdo, fotografo albese, tratta dal suo archivio, ma, come ci precisò, di incerta origine. Gino Anchisi, lettore attento e collaboratore di Astigiani, è stato in grado di ricostruirne la nascita, riconoscendo alcuni parenti della moglie. Ecco dunque chi sono i vendemmiatori secondo quanto ci scrive Anchisi, che ringraziamo per la precisione della sua ricerca.
Siamo a San Martino Alfieri sulla collina dei Quaglia, nella cascina Alfierina, di proprietà degli eredi Visconti Venosta, Alfieri di Sostegno e Benso di Cavour. Sullo sfondo c’è la frazione dei Saracchi, dove è nata Francesca Armosino, la moglie del Generale Giuseppe Garibaldi. La foto, scattata da Cesare (Cino) Nano, nell’ottobre 1949, racconta la storia di una famiglia di mezzadri dell’Astigiano che di lì a poco emigrerà nei dintorni di Torino.
I Nano stanno vendemmiando. L’azienda per cui lavorano, nella prima metà dell’Ottocento sotto la guida di Cesare Alfieri di Sostegno, era integrata con le proprietà di Camillo Cavour a Grinzane, di Giulia di Barolo a Castiglione Falletto e di Carlo Alberto a Pollenzo: tre tenute dove si è scritta la storia della viticoltura e dell’enologia del Piemonte e dell’Italia.
Al centro c’è la mamma, Amalia Ronzano, con il marito Giovan Battista Nano e la vicina di casa, Luigina Omedè. Sulla bigoncia, in canottiera, il sedicenne Franco Nano, a destra il suo coscritto Ugo Giovara, con la brenta sulle spalle. Dietro, con la cappellina, Armando Nano e due vendemmiatrici di Montà di Canale. Il capo famiglia morirà nel 1953. A metà anni Cinquanta la famiglia lascia la terra e le colline stabilendosi a Santena. Cesare (1921-1987) farà il custode del Castello Cavour di Santena.
Armando (1916-1993) lavorerà in una piccola fabbrica di Cambiano. Franco (1933) entra alla Fiat e termina la carriera come caposquadra nello stabilimento carrozzeria di Rivalta. Ugo si trasferisce a Torino, impiegandosi nel campo assicurativo. Luigina resta a San Martino (1900-1983). Amalia, nata nel 1892, morirà a Santena il 24 dicembre 1978. I discendenti dei Nano oggi vivono nell’Astigiano e nella provincia di Torino, nessuno di loro coltiva più le vigne.
Gino Anchisi