venerdì 19 Aprile, 2024
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1945-1955

Quando la “nera” tornò a far notizia

I fatti di cronaca del dopoguerra
Dopo vent’anni di quasi totale assenza, la cronaca nera irrompe subito dopo la fine della guerra anche sui giornali astigiani. Ma non andò quasi mai in "apertura", unica eccezione l’alluvione del ’48, trattata comunque in maniera molto diversa a seconda dei giornali. Un periodo convulso e tumultuoso in cui le battaglie politiche ed il difficile ritorno alla normalità prevalevano, nelle cronache dell’epoca, sui numerosi fatti di sangue, rapine, frodi annonarie e processi ai criminali fascisti. La testimonianza di Luigi Garrone, il primo dei cronisti "apprendisti stregoni" e la non facile vita di chi doveva imparare le nuove regole della libertà di stampa. "Cittadino", "Gazzetta d’Asti", "Galletto" e altre nuove e spesso effimere testate di una stagione bella ed irripetibile, il cui "racconto" cambiò radicalmente nel corso degli anni '50 con l’arrivo di nuovi giornali.

Testate storiche e nuovi fermenti editoriali animano le vendite nelle edicole negli anni dopo la Liberazione

La fine della seconda guerra mondiale – per l’Italia la data ufficiale del termine del conflitto è fissato al 25 aprile del 1945 – non fu soltanto il ritorno della libertà e della democrazia, ma anche della libera stampa. Ad Asti, come peraltro in quasi tutto il resto del paese, fu tutto un fiorire di testate, alcune delle quali eredi di quelle clandestine, come “Il lavoro” diretto quasi subito da Oddino Bo, futuro parlamentare del Pci, altre del tutto nuove legate a partiti politici e movimenti d’opinione, o eredi di periodici dell’era prefascista. Nacquero così “Il popolo astigiano” di ispirazione democristiana, L’Eco del Monferrato” a tendenza socialista, la “Voce del Contadino” e la risorta “Voce socialista” a cui subentrò quasi subito lo storico “Il Galletto”, che aveva seguito fin dalla fine dell’Ottocento le idee del partito socialista e divenne negli Anni Cinquanta poi testata legata ai socialdemocratici, diretta ad Asti da Angelo Marchisio. I due periodici locali di più lunga storia come “Il Cittadino”, di ispirazione liberale e diretto da Edmondo Barberis, “La Gazzetta d’Asti”, organo della Curia vescovile, proseguirono regolarmente la loro vita dopo le traversie del ventennio fascista e del periodo “repubblichino”. Ai periodici locali si aggiungevano i quotidiani nazionali, la “Gazzetta del Popolo”, il più radicato sul territorio e che proprio per questo fu il primo, negli anni successivi, a mettere in piedi redazioni e pagine locali e “La Stampa” (o “Nuova Stampa”come uscì in testata subito dopo il 25 aprile, per distinguersi dalla precedente versione di regime). A Torino veniva stampata e diffusa in tutto il Piemonte anche l’edizione de “L’Unità” che riportava notizie locali ed era diretta da Davide Lajolo (Ulisse), l’ex comandante partigiano originario di Vinchio che ben presto passò a dirigere la più importante edizione milanese del quotidiano comunista. La grande novità per tutti gli organi di informazione, oltre alla possibilità di dar vita ad un dibattito politico sovente accesissimo e ricco di polemiche, talvolta addirittura feroci, fu quella di tornare e pubblicare senza particolari forme di censura, notizie di cronaca nera: dai fatti di sangue, con particolare attenzione per i delitti allora definiti “passionali”, ai furti alle rapine, dagli incidenti agli incendi, alle alluvioni. La “nera” era stata praticamente vietata e fortemente ridimensionata per tutti gli anni della dittatura.

Il “Galletto” sistema la notizia a fondo pagina definendo “nubifragio” il drammatico evento, preferendo dedicare il titolo principale al dibattito politico del tempo.
Il “Galletto” sistema la notizia a fondo pagina definendo “nubifragio” l’alluvione del 1948

L’alluvione del 1948
Tre modi diversi di raccontarla

Persino la terribile tragedia – avvenuta dell’agosto del ’44 in un fabbricato di via Orfanotrofio – dell’incendio nella fabbrica di penne stilografiche Stilar, in cui morirono nove giovani donne, fu riportata – con la sola eccezione della “Gazzetta d’Asti” che pubblicò anche le foto delle vittime – con poca evidenza rispetto alla gravità del fatto. Si aprivano quindi, per i giornalisti del tempo, vasti orizzonti di lavoro e di indagine. Orizzonti davvero ampi e ricchissimi di eventi e fatti rilevanti, in quanto gli anni immediatamente successivi alla fine della guerra – fenomeno che è provato si verifichi con drammatica puntualità dopo ogni conflitto armato di una certa durata – furono particolarmente turbolenti con una incredibile, per il tempo, serie di fatti delittuosi di ogni livello di gravità. Ma allo stesso tempo orizzonti che i giovani cronisti “apprendisti stregoni” dell’epoca dovettero imparare ad interpretare partendo da zero non avendo, per le ragioni già citate, alcuna esperienza nel genere. Si trattò, nel loro caso, di un impegnativo quanto rapido apprendistato in cui si distinse un piccolo gruppo di giovani giornalisti, alcuni dei quali arrivavano dalle file della Resistenza (come gli “autonomi” Luigi Garrone, Gigi Monticone, o i già citati Angelo Marchisio e lo stesso Oddino Bo che aveva militato nelle file del nuovo esercito italiano che aveva combattuto al fianco degli Alleati nel centro e sud Italia). Essi dovettero in pratica “inventarsi” il mestiere avendo tra l’altro a disposizione spazi limitati, visto che la “nera” trovava ospitalità non troppo evidente, soprattutto sui giornali cosiddetti “di informazione” (in particolare “Il Cittadino”) mentre gli altri preferivano dedicarsi alle battaglie politiche ed ai tanti problemi della ripresa postbellica. Un fenomeno che si può ragionevolmente attribuire alla scarsa abitudine a trattare, dopo vent’anni di silenzio, l’argomento, e alla notevole difficoltà nel reperire le notizie: gli organi di Polizia erano assai restii e poco avvezzi a fornire informazioni complete, e la sola cronaca della “Gazzetta d’Asti”, in genere assai scarsa, risultava dettagliatissima quando pubblicata, in quanto frutto delle informazioni che giungevano al giornale direttamente tramite i parroci. Infine altre due considerazioni: una certa abitudine dell’opinione pubblica e quindi anche dei giornali, dopo cinque anni di guerra e di convivenza quasi quotidiana con lutti e tragedie, a considerare certi drammatici fatti come “normali” e d’altra parte il fatto che il problema primo dell’epoca non era tanto quello dell’informazione sui fatti delittuosi, quanto quello di riuscire a soddisfare i bisogni primari (per mesi, quando non per anni, dopo la fine della guerra, ci fu forte scarsità di olio, burro, farina, carne, legna da riscaldamento, vestiario, perfino acqua potabile).

Asti Repubblicana
Asti Repubblicana

Il rilievo dato alla cronaca nera dall’aprile 1945 ai primi anni ’50 fu dunque sostanzialmente modesto, malgrado i fatti fossero a volte di grande impatto emotivo ed in alcuni casi di notevole gravità. Basti pensare, per capire come andavano le cose, che la tragica alluvione del settembre 1948, con un bilancio di 15 morti e ingenti danni alle popolazioni ed alle infrastrutture, fu annunciato dal “Cittadino” con un titolo di buona evidenza – cinque colonne, una vera rarità per l’epoca – ma di “taglio basso”, in fondo, cioè, alla prima pagina. Ancora una volta fu la “Gazzetta d’Asti” a dedicare grande spazio all’evento, aprendo l’edizione immediatamente successiva all’alluvione con un titolo a nove colonne e riportando le foto di tutte le quattordici vittime recuperate fino a quel momento (la quindicesima fu ritrovata nei giorni successivi in una cantina n.d.r.). In ogni caso le vicende della “nera” appassionavano e tenevano desta l’attenzione dei lettori, grazie anche all’operato, neanche troppo ben pagato, di un paio di cronisti-precursori come Angelo Marchisio, a cui si affiancò il fratello Vittorio (La Stampa) e Luigi Garrone (Popolo Astigiano, Il Cittadino e poi Gazzetta del Popolo) cui ben presto si aggiunsero, nel corso degli anni ’50 Piero Mentigassa e Gianni Bogliano (che però lasciò ben presto Asti per motivi di lavoro), mentre il rag. Agostino Bertone (dipendente della Cassa di Risparmio di Asti) fu per qualche tempo il corrispondente della “Gazzetta del Popolo”, sostituito da Piero Ferrero nel momento in cui nacquero le pagine locali del quotidiano torinese. Tutti cronisti che in genere facevano il “giornalista” non in modo prevalente. Ognuno aveva un’altra occupazione e poi, un po’ per passione ed un po’ per arrotondare, scriveva sui giornali. Il cronista di nera per antonomasia fu comunque Luigi Garrone che, pur essendo impiegato alla Way-Assauto, non rinunciò mai all’inguaribile vocazione di cacciatore di notizie, praticandola ancora oggi, alle soglie dei 90 anni, con indomabile passione.A quei tempi nacque il duello professionale con Vittorio Marchisio che sulla Stampa, allora diretta da Giulio Debenedetti, di origini astigiane, che inseguiva fatti di nera con altrettanta voglia di dare “il buco” agli altri giornali. Garrone ha raccontato in più di un’occasione (l’ultima firmando il libro “Dal Fuorisacco al Web”) la vita del cronista di “nera” di quegli anni, obbligato a costruirsi e mantenere una incredibile rete di informatori (tra cui quell’esponente delle Forze dell’Ordine che lasciava – tanto per fare un esempio – la chiave degli uffici in cui erano conservati i “mattinali” sul davanzale di una finestra, permettendo l’accesso all’ufficio stesso fuori orario). La rete era quanto di più ramificato e impensato si potesse immaginare. Esemplare è il caso della notizia della morte del Maresciallo Pietro Badoglio, avvenuta ai primi di novembre del 1956 a Grazzano, e di cui sempre Garrone fu informato da un amico centralinista dei telefoni di Stato che rilevò, in quella fatidica sera, un insolito intasamento delle linee per Roma.

La Gazzetta d’Asti dedicò invece all’alluvione l’intera prima pagina con le fotografie delle quattordici vittime
La Gazzetta d’Asti dedicò invece all’alluvione l’intera prima pagina con le fotografie delle quattordici vittime

Di cosa parlava la “nera“ di quei primi, difficilissimi e confusi anni del dopoguerra? Ovviamente di tutti i processi e gli arresti dei vari gerarchi fascisti e dei brigatisti neri che si erano macchiati di eccidi e torture, soprattutto durante gli anni della Repubblica di Salò, ma progressivamente sempre di più, di alcuni clamorosi delitti che si susseguirono con una certa frequenza in Asti e provincia. Trovavano un po’ di spazio le storie di “Due loschi figuri autori di parecchi omicidi davanti alle Assise” (i “repubblichini” Licio Pagot e Giuseppe Oddone) o le notizie dei processi e delle fucilazioni di criminali fascisti come Giovanni Nardulli, Giuseppe Saladinio ed il famigerato “Sgheria” Marco Oddone. L’attenzione era più indirizzata a delitti senza sfondo politico come il “Fatto di sangue in frazione Poggio”, l’arresto di un casellante e di una contadina per il “delitto di Vallarone”, l’ingente furto di preziosi nel Castello di San Martino Alfieri (per cui venne arrestata un’intera famiglia). Fece scalpore la vicenda processuale dei Villata, famiglia ricchissima di suo tra alloggi e l’omonima clinica, che si sarebbero appropriati dei beni della famiglia Jona, lasciati loro in custodia, causa le persecuzioni degli ebrei, prima di essere quasi del tutto sterminata nei campi di concentramento nazisti. Grande clamore, ma sempre senza una evidenza da “apertura di prima pagina” – non si superavano se non in rari casi le tre colonne – ebbero i casi dell’amnistia per i tre responsabili dell’incendio alla Stilar (in un primo tempo condannati a pene piuttosto pesanti), dell’avvelenatrice di Montaldo Scarampi che uccise l’amante e probabilmente anche i suoi precedenti tre mariti (cosa però mai provata in sede giudiziale), dell’omicidio per rapina di un noto commerciante di bestiame di Tonco nel ’49, di due omicidi, questa volta per motivi d’onore, avvenuti nel ’45 sempre a Tonco, e di cinque giovani di Vinchio annegati nel Tanaro a Rocchetta. Grande impressione fecero in città, ma sempre con titoli assai poco “gridati”, i casi del “Questore Serra sotterrato vivo a Buttigliera?”, della cosiddetta “Banda del Maestro” protagonista di audaci e violente rapine tra cui quella nell’abitazioni dell’avvocato Adorni o dell’attentato all’industriale vinicolo Michele Pistone. Particolarmente drammatico, e per molti versi commovente, fu il caso della giovanissima Pasqualina Scaglia di Vigliano, trovata cadavere con la carotide recisa nell’ottobre del ’45 in un fossato, da due cacciatori. Poiché la ragazza era incinta, i sospetti si orientarono in un primo tempo sui suoi stessi famigliari e solo quattro anni dopo il fidanzato della giovane confessò di essere l’autore del delitto.

All’epoca i fatti di nera erano in generale contenuti in titoli a una o due colonne
All’epoca i fatti di nera erano in generale contenuti in titoli a una o due colonne

Al giovane venne comminato l’ergastolo, ma il delitto ebbe altri due tragici risvolti: il fratello della vittima, sospettato a suo tempo di essere coinvolto nella vicenda, fu ricoverato in una clinica psichiatrica, mentre il padre dell’assassino, per la vergogna ed il disonore, si avvelenò e morì qualche giorno dopo la confessione del figlio. Una terribile tragedia famigliare a cui i giornali non concessero, come già accennato, che titoli di modesto rilievo. Con l’arrivo degli anni ’50, la scia di sangue dell’immediato dopoguerra sembrò in qualche modo placarsi e la “nera” diventò un po’ meno tumultuosa permettendo ai cronisti dell’epoca, di cimentarsi su fatti importanti come la morte di Giovanni Gerbi, il mitico “Diavolo Rosso” nel 1954 e quella, già ricordata, del Maresciallo Pietro Badoglio due anni dopo. Il mondo stava rapidamente cambiando e anche l’Italia e, nel suo piccolo, Asti ed i suoi giornali. Nel 1953 nacque “La Nuova provincia”, che voleva prendere le distanze da “La Provincia”, compromessa con il fascismo e divenne in pochi anni leader dell’informazione locale, diretta prima dal fondatore Pietro Perrone e successivamente da Angelo Marchisio che avrebbe passato il testimone, nel ’58, a Primo Maioglio, maestro elementare che era stato partigiano nel Monferrato. In quello stesso anno comparve in edicola “La Voce dell’Astigiano”, che faceva riferimento al Pci, diretta dal canellese Pierino Testore, ma sostanzialmente guidata da Valerio Miroglio e da altri giovani come Elio Archimede. Nel 1960 nacque infine “Astisabato”, con espresso legame con la Dc, diretto da Luigi Garrone. Tre testate che, ognuna a modo suo, avrebbero impresso una svolta decisiva all’informazione cittadina ed al modo di fare cronaca nera. Con i nuovi giornali, che in quegli anni si accompagnavano ai preesistenti “Cittadino” (in cui assunse un ruolo dirigente Piero Ostellino, destinato a diventare un celebre giornalista del “Corriere della Sera”) e “Gazzetta d’Asti”, c’erano le edizioni anche pomeridiane della “Gazzetta del Popolo” di cui era diventato responsabile locale Mario Rocca e della “Stampa” e “Stampa sera” sempre seguita dai fratelli Marchisio. In quegli anni si fecero le ossa anche nuovi cronisti di “nera”, considerata come una vera scuola di giornalismo “dal basso”, tra mattinali, soffiate, giri di cronaca e “pronti” (ovvero le telefonate più che quotidiane alle varie fonti di informazione). Tra queste nuove leve: Pippo Sacco, Vittorio Ravizza, Piero Cadoni, Giancarlo Gay, Gigi Mossino, Paolo Monticone (mi si passi l’autocitazione, nda) , Carlo Accomasso, Bruno Accomasso e Giuseppe Sini. Giovani e motivati, sarebbero stati i testimoni ed i “narratori” dei numerosi e grandi casi degli Anni ’60, alcuni dei quali di ampia risonanza nazionale. Ma qui comincia un’altra storia. Ne riparleremo.

All’epoca i fatti di nera erano in generale contenuti in titoli a una o due colonne
Un altro esempio di come i fatti di nera erano inseriti nei giornali
Le schede

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