Parrà strano, ma ci sono personaggi della storia che non ricorderemmo affatto se il loro nome non fosse legato a una preparazione culinaria.
Qualche esempio. John Montagu conte di Sandwich, chi era costui? Un lord dell’Ammiragliato britannico che non fece nulla di memorabile se non farsi servire due fette di pane con in mezzo delle fettine sottili di manzo per non lasciare il tavolo da gioco del club, dove stava disputando un’avvincente partita a carte. Ecco “inventato” il sandwich o,
per dirla con D’Annunzio che non amava la “perfida Albione”, il tramezzino.
Altri piatti entrati nella storia sono legati al nome degli chef che li hanno ideati: dall’oscuro Monsieur Paillard – cuoco parigino di fine Ottocento che escogitò di tagliare a metà per lungo la classica entrecôte, ricavandone due fette più sottili, che si prestavano a una cottura diversa con un rapido passaggio sulla griglia caldissima – ad Auguste Escoffier (questo decisamente celebre), che un bel giorno fece trovare al tavolo del Carlton dove cenava una cantante lirica australiana un dolce inventato in suo onore: «Ripensando al maestoso cigno mitico che apparve nel primo atto del Lohengrin, le feci servire delle pesche disposte su di un letto di gelato alla vaniglia, all’interno di una coppa d’argento incastrata tra le ali di un superbo cigno scolpito in un blocco di ghiaccio e ricoperto da un velo di zucchero filato.
L’effetto prodotto fu sorprendente» (da Auguste Escoffier, Ricordi inediti, Slow Food Editore). Una leggera purea di lamponi zuccherata completava la Coppa Melba – proprio il
nome d’arte della soprano –, che da quel momento diventò un dessert popolarissimo e molto imitato.


Se poi consideriamo le ricette a base di carne, i “patronimici” sono parecchi: filetto alla Voronoff (sarebbe nato al desco dell’omonimo chirurgo e sessuologo russo ottocentesco alla ricerca di alimenti “vigorosi”), filetto alla Wellington (legato al nome del generale che sconfisse Napoleone a Waterloo, talmente radicato da essere il piatto natalizio per eccellenza degli inglesi), Chateaubriand (costata dedicata all’omonimo scrittore dell’Ottocento francese).
Cotture particolari, anche in crosta, nappature e salse raffinate a base di cognac e panna. Piatti sofisticati diventati internazionali, come quelli associati al nome di
Gioacchino Rossini che, com’è noto, univa al genio di compositore la passione per la gastronomia. Le uova in camicia, i cannelloni e, soprattutto, i tournedos da lui “insegnati” al parigino Café Anglais: Madera, salsa demi-glace, tartufo nero e persino foie gras sono gli ingredienti che impreziosiscono le ricette.
E dalla Germania? Bismarck e ancora Bismarck. In verità, le due più celebri preparazioni che gli furono intitolate – gli asparagi e la bistecca – non fanno parte della cucina tradizionale tedesca, ma vennero battezzate alla fine del secolo XIX, quando il “cancelliere di ferro” era all’apice della sua potenza.
Sono piatti robusti che prevedono sempre l’aggiunta di un uovo cotto all’occhio, a ricordare non solo l’energia e la forza ma anche la predilezione di Bismarck per le uova: si dice che ne consumasse dodici alla volta!
Ma veniamo al nostro Piemonte, dal cui ricettario “storico” vale la pena pescare almeno tre riferimenti: Napoleone, Cavour e… la Bela Rosin: due giganti e una florida popolana diventata regina, anche se senza corona.

Nel menù dell’odierno Ristorante del Cambio, dove lo statista sabaudo godeva di un posto riservato, si propongono ancora il Riso Cavour (riso condito con sugo d’arrosto e uovo in camicia, oggi arricchito da chicchi croccanti di riso nero), la Finanziera di Cavour, talora le
piccatine. Il prestigio del “tessitore” dell’unità d’Italia ha fatto sì che nel 1904 nascessero ben cinque piatti “alla Cavour”!
Era un vezzo francese e una moda europea dedicare i piatti ai personaggi con denominazioni che regalavano nobiltà alla ricetta. Molto interessanti sono anche le ricette legate a eventi storici: tra fonti documentali e aneddotistica, si consegnano così ai posteri la memoria dei fatti, l’identità territoriale e la tipicità. È il caso del Pollo alla Marengo.
Piatto complesso, che prevede champignon, gamberi di fiume e crostoni di pane sormontati da uova fritte, pare sia stato improvvisato dal cuoco dell’imperatore la sera della battaglia di Marengo (14 giugno 1800), con ingredienti rimediati sul posto, dato che le salmerie, nella confusione, si erano perse. Entusiasmo di Napoleone e nascita di una tradizione che ad Alessandria e dintorni resta viva.
Imperatori e re a tavola, gli aneddoti si sprecano. Basta pensare alla Regina Margherita di Savoia e alla pizza a lei dedicata durante il suo soggiorno a Napoli. Parlando, invece, di
Vittorio Emanuele II, il segretario della delegazione francese a Torino riferisce: «Il re è sobrio, mangia una sola volta al giorno. Quando è costretto ad assistere a un banchetto
ufficiale, a un pranzo di Corte, non svolge nemmeno il tovagliolo, non tocca cibo: con le mani appoggiate all’elsa della sciabola, esamina i convitati, senza cercar di nascondere
la noia e l’impazienza».
Ma si sa che nel privato spazzolava stufati, arrosti, cacciagione, polenta, bagna caoda,
uova, soprattutto quelle predisposte dalla Rosin. La “sua” Bela Rosin, naturalmente.





