mercoledì 19 Febbraio, 2025
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Memorie a tavola

Santi, lune, pazienza tra Barbanera e frate Indovino

Credenze nell’orto e in cucina

Non avete seminato l’insalata a Sant’Apollonia? Male. Perché se si semina la lattuga – o la canasta o la gentilina – il 9 febbraio, il giorno di Sant’Apollonia, le piante sono più lente a montare a seme e vengono fuori dei manigot belli pieni, di mezzo chilo l’uno.

Questo l’abbiamo sempre fatto noi contadini, ortolani a tempo perso. Si capisce che i professionisti che stanno giù in valle, con le cucce e le serre, fanno quello che vogliono. Ogni momento è buono per seminare e fare i piantini».

L’ottantenne signor Luigino, col suo orto nei dintorni di Costigliole, non dimentica di spiegare che “la Santa non basta”. Che ci vogliono terreni leggeri, drenati e ricchi di
sostanze nutritive. Che bisogna poi trapiantare e coprire, se il caso. E se ci ha messo lo zampino Santa Bibbiana ed è piovuto 40 dì e una settimana, secondo il proverbio, allora è facile che la terra sia troppo bagnata.
Allora, meglio rimandare.

E la luna? Luigino, che ha pure un pezzo di vigna, dice che il suo vicino, per piantare le barbatelle, per potare e imbottigliare, la luna non l’ha mai guardata. Ma il vicino lavora
in grande e fa quasi tutti vini maturi, che possono invecchiare due o tre anni: per questo aspetta la fine dell’estate, per imbottigliare, quando il vino non ha più residui zuccherini.

Qualunque luna è buona. «A noi, invece, piace il vino un po’ frizzantino, così io lo imbottiglio con la luna di marzo e guardo bene che sia nel primo quarto… E poi, quando devo potare, faccio attenzione che non sia mai luna nuova, altrimenti il legno che togli va in malora, r’camura. E le sermenti a noi servono per accendere la stufa. Questo l’ho proprio constatato, più di una volta».

Che le fasi lunari influenzino le pratiche agricole, l’umanità contadina lo ha da sempre pensato, fino a tessere l’ordito di un calendario che rappresenta «la massima espressione dello sforzo umano di organizzare il tempo» (Grimaldi, 1993).

Un tempo scandito dai ritmi vitali della natura, dalla ciclicità della luna, dalla posizione del sole, dall’avvicendarsi delle stagioni. Da qui la successione dei lavori e degli eventi
agricoli, accompagnata da proverbi, da feste e cerimonie religiose e profane e dalla ricorrenza di certi cibi. Varrone, Plinio, Columella, Palladio parlano diffusamente dell’influenza della luna. E Grimm, il raccoglitore di fiabe e tradizioni, enuncia una regola che, come principio generale, è tuttora condivisa: occorre seminare e piantare con la luna crescente; tagliare e raccogliere con la luna calante.

Il nostro Luigino di Costigliole aggiunge: «Tante cose non si devono fare con la luna nuova (quella, cioè, che non si vede), ma aspettare sempre qualche giorno, quando comincia a comparire una piccola falce con la “gobba a ponente”».

Questo vale anche per la conservazione dei cibi, al naturale o trasformati. Se raccolti in luna nuova, aglio e cipolle – che dovevano durare tutto l’inverno – tendono a germogliare presto. Marmellate, giardiniere, salsa di pomodoro, sottoli e sottaceti, frutta sciroppata si conservano meglio se si evita la preparazione al novilunio.

Le pesche nelle albanelle si sono inscurite nello strato superiore? Sono senz’altro state “messe via” con la luna nuova, direbbe qualche nonna. Quanto alla sicurezza e alla salubrità abbiamo a disposizione la sterilizzazione, ma per il colore, il profumo e il sapore in molti assicurano che c’entra la luna.

Lo sostengono, ovviamente, gli almanacchi e i lunari che, a partire dalla metà del Settecento, erano appesi nella cucina di ogni cascina. A quegli anni, infatti, risale la nascita del Barbanera, stampato a Foligno e poi diffuso su tutto il territorio nazionale.

Grande successo, svariate imitazioni (come il popolare Almanacco di Frate Indovino, nato in verità con obiettivi spirituali), progressivo arricchimento dei contenuti: oroscopi, proverbi, consigli salutistici, rubriche, ricette.

Citato con entusiasmo da penne illustri, dal D’Annunzio, che asseriva di tenerlo al proprio capezzale, fino a Umberto Eco che ne parlò in una sua “Bustina di Minerva” (…«è vero che il Barbanera abbonda di fanfaluche astrologiche […], ma i suoi consigli ci fanno risentire in armonia con la natura, e riscoprono il sapere dei nostri nonni, che non era tutto da buttar via»), l’Almanacco di Barbanera, nella sua collezione conservata a Spello dalla Fondazione omonima, è stato inserito nel Memory of the world register dell’Unesco, quale simbolo di un genere letterario che ha contribuito a creare la cultura di massa e a rafforzare l’identità nazionale, anche linguistica.

Che cosa si teorizza, oggi, sul tema dell’influenza lunare? Per la scienza, l’influenza della luna si limita alle maree, a un certo influsso sul comportamento di qualche organismo marino e ad alcune forme di “tropismo”, ossia i movimenti che la lieve luce
lunare può provocare sulle piante.

Le presunte influenze sulle coltivazioni non sono mai state dimostrate e risulta difficile accertarne l’esistenza sulla base delle conoscenze scientifiche. Categorico. Dall’altra parte, vanno ricordati i princìpi dell’agricoltura biodinamica (dal suo fondatore Steiner a Maria Thun, oggi un’autorità) che, insieme ad altre pratiche, crede con forza alle influenze lunari, tanto da elaborare complessi calendari per i lavori agricoli che non solo osservano le fasi della luna, ma valutano attentamente il suo rapporto con le costellazioni zodiacali.

E resta, in fondo, una specie di “nostalgia”, come quella espressa dall’antropologo Piero Camporesi (Requiem per un lunario, 1982): «Con lo sprofondarsi del vecchio mondo
incominciano a diventare incomprensibili ai lettori tutti quei tradizionali elementi portanti dei vecchi lunari […] Le previsioni meteorologiche anticipate mese per mese per tutta la durata dell’anno, agganciate al minuto calendario dei lavori agricoli, interessano sempre meno una società ormai urbanizzata anche nelle campagne, un mondo coperto, protetto, artificiale che guarda il cielo soltanto per caso e distrattamente».

 

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

Paola Gho e Giovanni Ruffa
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