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Il medico monferrino che fece risorgere le case popolari torinesi

Domenico Coggiola, originario di Calliano fu sindaco di Torino nel dopoguerra dal 1948 al 1951. Tenne l’orazione funebre dopo Superga

 

Forse non sono in molti, nell’Astigiano, a ricordare il nome di Domenico Coggiola. Eppure nei primi anni del secondo dopoguerra Coggiola fu una personalità politica di primo piano, non solo a livello locale: fu sindaco di Torino e poi per due legislature deputato al Parlamento, eletto nelle liste del Pci.

Durante la lotta di Liberazione era stato partigiano combattente, per due volte catturato e imprigionato dai fascisti. Toccò a lui, in qualità di sindaco del capoluogo piemontese, nel maggio 1949, dopo che l’aereo del Grande Torino si schiantò sulla collina di Superga, tenere un’appassionata orazione alla cerimonia funebre, accanto al rappresentante del governo, Giulio Andreotti e davanti alle bare dei calciatori caduti. La famiglia Coggiola era di Calliano, anche se dai documenti Domenico risulta nato a Voghera il 22 novembre 1894, perché il padre, geometra rinomato (all’Expo internazionale di Torino del 1911 vinse una medaglia d’oro per i suoi rilievi grafici del Parco di Pegli), per motivi di lavoro si era trasferito temporaneamente con la moglie incinta nella cittadina in provincia di Pavia. Resta però la sua origine callianese, tanto che l’atto di nascita fu registrato anche nel comune di Calliano. Dopo aver frequentato il liceo ad Asti, Coggiola si era laureato in medicina all’Università di Torino. Terminata la prima guerra mondiale, a cui aveva partecipato prima come ufficiale medico degli Alpini, aveva iniziato a svolgere la sua attività professionale ad Asti, in uno studio al numero 9 di via Bonzanigo, in cui, a quanto risulta, per la prima volta in città fu installata un’apparecchiatura a raggi x.

Agli stessi anni risale anche l’inizio della sua attività politica: nel 1918, alla fine della guerra, Coggiola si iscrisse al Partito Socialista Italiano (si era schierato sulle posizioni di Filippo Turati, divenendo amico del giovane Giuseppe Saragat, di cui fu testimone di nozze), per poi passare, nel 1925, proprio mentre il regime stava emanando le cosiddette “leggi fascistissime”, al Partito Comunista, nato quattro anni prima al congresso di Livorno.

Durante il ventennio Coggiola fu sottoposto a stretta sorveglianza dalle autorità fasciste, anche perché rifiutò sempre di iscriversi al Pnf, rinunciando quindi alla carriera medica e a ogni vantaggio economico.

Domenico Coggiola

 

Il Partito Comunista clandestino gli aveva affidato il compito di organizzare l’espatrio dei militanti perseguitati dalla polizia politica fascista. Fu proprio grazie a questa sua attività che Coggiola sospettò che Dino Segre, il discusso scrittore saluzzese noto con lo pseudonimo di Pitigrilli, fosse anche una spia dell’Ovra infiltrata tra gli antifascisti.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Coggiola fu richiamato alle armi come ufficiale medico, raggiungendo il grado di capitano; partecipò alle operazioni militari in Jugoslavia e sul fronte russo, con il 92° reggimento fanteria. Al ritorno dalla Russia si trasferì a Torino, dove prestò servizio all’Ospedale Mauriziano e tenne uno studio medico nella sua abitazione di via Legnano; frattanto si era sposato con Leopoldina Ferré, da cui ebbe un figlio, Franco, che vive tuttora a Torino. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte del primo Cln torinese, e venne successivamente arrestato e torturato nella tristemente nota caserma di via Asti; fu liberato in seguito a uno scambio di prigionieri, in una trattativa che coinvolse anche la figlia del console tedesco a Torino Von Langen, che era stata catturata dai partigiani di Edgardo Sogno.

Coggiola continuò, nei primi tempi della Resistenza, nell’incarico che aveva già svolto nel ventennio: dare assistenza ai perseguitati politici. In particolare costituì nell’Ospedale Mauriziano, dove lavorava, una “sezione infettivi” in cui ricoverava chi rischiava la deportazione, riuscendo così a salvare la vita a numerose famiglie ebree non solo torinesi. Tanto importante fu la sua opera per la difesa di chi altrimenti sarebbe finito nei lager nazisti che al termine della guerra la comunità ebraica italiana lo ha voluto ringraziare conferendogli una importante onorificenza.

Agli inizi del 1945 Coggiola fu nuovamente arrestato; ancora uno scambio di prigionieri gli permise di riconquistare la libertà e di raggiungere il Monferrato, dove entrò a far parte di una formazione garibaldina, diventandone uno dei dirigenti politici, con la qualifica di ispettore di divisione. Il suo nome di battaglia era Quercia.

Terminata la guerra e tornato a Torino, alla fine dell’aprile 1945 divenne assessore alla sanità nella prima giunta popolare amministrativa guidata dal sindaco Giovanni Roveda e dopo la successiva tornata elettorale, in cui ebbe ben 129 mila preferenze, fu nominato dal nuovo sindaco Celeste Negarville assessore con delega agli ospedali e all’igiene pubblica.

Nel maggio del 1948, in un quadro politico scosso dalla scissione socialista e caratterizzato dalla vittoria democristiana alle elezioni del 18 aprile, Coggiola divenne sindaco del capoluogo piemontese succedendo allo stesso Negarville; rimarrà alla testa della nuova amministrazione di sinistra sino al 16 luglio 1951.

La sua giunta si occupò in primo luogo dei problemi legati alla ricostruzione edilizia della città dopo i danni provocati dalla guerra: l’edificazione di nuove case per sostituire quelle distrutte dai bombardamenti («Noi dobbiamo fare le case popolari a ogni costo!» ebbe a dire nel corso di un Consiglio comunale).

Da sindaco si adoperò per il ripristino degli ospedali, in particolare il Martini, e delle linee ferroviarie, per l’avvio di nuove infrastrutture tra cui soprattutto l’aeroporto di Caselle (di cui una prima parte venne completata durante la sua amministrazione, mentre l’attività vera e propria ebbe inizio nel 1953), le nuove sedi del Politecnico e di Torino Esposizioni, a cui collaborarono gli architetti Pier Luigi Nervi e Carlo Biscaretti di Ruffia, i trafori verso la Francia e la Svizzera, la nuova sede del mercato ortofrutticolo e di quello del pesce, la centrale del latte e anche la riapertura del Teatro Alfieri, con uno spettacolo di Wanda Osiris.

Il quartiere operaio di Mirafiori fu tra le opere di edilizia popolare cui contribuì Domenico Coggiola, nel suo ruolo di sindaco di Torino. La necessità di nuovi alloggi era pressante fin dall’immediato Dopoguerra

 

Ma indubbiamente quello della costruzione di vasti complessi di case popolari fu il suo maggiore impegno. Dopo ripetute sue sollecitazioni, il Comune di Torino ottenne in quel periodo un prestito di due miliardi per l’edificazione di circa 4000 nuovi alloggi nei quartieri operai della città, in particolare nel quartiere di Mirafiori. Alloggi che vennero effettivamente costruiti, anche se ciò causò non pochi problemi di bilancio (il deficit del Comune aumentò considerevolmente) e se la costruzione avvenne quasi sempre senza un preciso progetto urbanistico.

Esisteva già, redatto nei primi mesi dopo la guerra, nel 1946, ma per diversi anni rimase lettera morta e alla sua attuazione si arrivò soltanto dieci anni dopo, nel 1956, quando Torino ebbe un sindaco democristiano, Amedeo Peyron, che fu il diretto successore di Coggiola e resse il Comune per undici anni.

Lasciata la guida del Comune di Torino (mantenendo però il suo seggio di consigliere comunale, confermato alle amministrative del 1951 e 1956), Coggiola fu eletto deputato per il Pci nel 1953, nel corso della seconda legislatura (che si protrasse sino al giugno ’58) e fu deputato anche nella terza (dal 1958 al 1963) subentrando ancora una volta a Celeste Negarville, scomparso nel 1959.

Nel corso della seconda legislatura fu membro della Commissione Finanze e Tesoro, della giunta per i trattati di commercio e la legislazione doganale, e di varie commissioni speciali. Nella terza legislatura fece parte delle Commissioni Esteri, Giustizia, Finanze e Tesoro, Igiene e Sanità pubblica. Tornato a Torino, nella sua casa di via San Secondo, fu colpito da una grave malattia alla spina dorsale che lo costrinse a muoversi in carrozzella; per questo dopo la morte della moglie decise di lasciare la città per trasferirsi a Montegrosso d’Asti, presso alcuni parenti, tra cui la nipote Anna Garberoglio, alla cui cortesia dobbiamo parte delle informazioni su Domenico Coggiola e alcune delle fotografie qui riportate.

Celeste Negarville sindaco di Torino nel Dopoguerra, Domenico Coggiola fu assessore alla sanità nella sua Giunta

Gli ultimi anni di vita a Montegrosso L’amicizia con Saragat

Dopo qualche tempo trascorso a Montegrosso, le sue condizioni si erano improvvisamente aggravate; trasportato all’Ospedale Mauriziano, morì il 16 giugno 1971, all’età di 77 anni. Il suo decesso venne annunciato soltanto a funerali avvenuti e l’unica corona di fiori che la famiglia accettò di porre accanto alla bara fu quella di Giuseppe Saragat, allora Presidente della Repubblica.

Racconta chi l’ha conosciuto che Coggiola era un uomo semplice, che sembrava più vecchio della sua età anagrafica anche per via dei radi capelli bianchi, ottimo medico amato dai suoi pazienti e da tutta la città, al punto che negli ultimi anni, affetto già da qualche difficoltà di deambulazione, una sottoscrizione popolare gli regalò un’automobile, una giardinetta.

Il Comune di Torino gli ha intitolato una via, nel quartiere Mirafiori Sud, quel quartiere dove sorgono le case operaie per cui tanto si era battuto.

 

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