Al loro primo incontro lui ha 27 anni e lei appena quattordici
I castelli di Racconigi, Val Casotto, Sommariva Perno, Moncalieri, la palazzina di caccia di Stupinigi, le tenute de La Mandria, Fontanafredda e Mirafiori. Sono tutti luoghi piemontesi legati alla dinastia dei Savoia e chi li va a visitare in ognuno di essi sentirà nominare dalla voce della guida forse ancora prima dei nomi dei sovrani sabaudi quello di Rosa Vercellana, la Bela Rosin, l’amante e poi sposa morganatica di re Vittorio Emanuele II.
Sono tutte dimore in cui la coppia ha risieduto, alla ricerca di un momento di quiete, lontano dal fasto della corte e dalle malevolenze dei cortigiani. E a questi luoghi del Piemonte se ne potrebbero aggiungerne altri a Firenze, quando la capitale fu portata nel capoluogo toscano, e a Roma, dopo la conquista della città nel 1870, divenuta la capitale del Regno d’Italia.
Rosa Vercellana, per tutti la Bela Rosin, folgorò al prim incontro il non ancora re sabaudo nel 1847: il principe la vide affacciarsi da una finestra del castello di Racconigi, dove era andato per una battuta di caccia e fu amore vero e duraturo, per ben più di tre decenni, sino alla morte del re e per lei anche oltre, perché gli sopravvisse sette anni.
Torniamo al loro primo incontro. Rosa aveva 14 anni, Vittorio Emanuele 27, era sposato – un matrimonio combinato per cementare un’alleanza politica e militare – con la cugina austriaca Maria Adelaide d’Asburgo- Lorena ed era già padre di quattro figli, con un quinto in arrivo (in tutto sarebbero stati sei).

Una bellezza lontana dai canoni estetici classici
Rosa era una ragazza quasi analfabeta, non bellissima secondo i nostri attuali canoni estetici; e del resto anche Vittorio Emanuele non era una gran bellezza: se suo padre Carlo Alberto era snello e alto due metri, lui era basso, tozzo, al punto che il D’Azeglio malignò di uno scambio di bambini in culla, con il vero erede di sangue blu, nato nel 1820, a Torino che sarebbe morto in un incendio e sostituito con il figlio di un macellaio.
Vittorio Emanuele, destinato a essere l’ultimo re di Sardegna e il primo re d’Italia, comunque una matrice popolare l’aveva ben marcata. Nonostante l’educazione rigida, disdegnava i compiti regali e preferiva le battute di caccia: anche a corte parlava in dialetto
piemontese o semmai in francese, pressoché mai in italiano.
Quei suoi gusti valevano anche nelle scelte amorose. Ecco perché la giovane Rosa gli piacque subito. «Bella è bella, molto bella. Gran massa di capelli corvini, occhi scurissimi,
carnagione perfetta. Il petto tutt’altro che acerbo» l’avrebbe così descritta.
Gianni Farinetti, scrittore braidese, nel romanzo storico Regina di cuori edito da Marsilio, ha pennellato un avvincente ritratto della Bela Rosin: «A guardarla in foto nella sequenza
di ritratti più o meno ufficiali, questa donna è tutt’altro che ossequiosa ai canoni estetici: viso un po’ squadrato, lineamenti decisi, occhi troppo distanti, nasino non certo alla francese. Ma una bocca carnosa, inevitabilmente sensuale. E quella natura corvina che non è solo un colore di capelli ma una profondità fisica di tutto il corpo, stranamente in lei unita a un’infinita dolcezza. Bella? Sì. Ma non certo secondo i modelli di oggi: la Rosina Vercellana, se fosse vissuta un secolo e mezzo più tardi, non sarebbe diventata una modella, né una star e nemmeno una comprimaria da palcoscenico, con le sue abbondanze e i suoi tratti grezzi».
Eppure, Vittorio Emanuele II se ne innamorò e l’amò per un suo lungo pezzo di vita. Di un amore certamente tumultuoso e passionale nel segreto delle loro stanze da letto, ma che
visto da fuori e a distanza di tanto tempo fu soprattutto un amore pacato, domestico e familiare, rasserenante malgrado tutto. Una coppia dall’aria niente affatto regale: tracagnotti entrambi, però fieri. Sguardo dritto e profondo di chi sa cosa vuole dalla vita.

L’ipotesi della nascita a Moncalvo nel 1833, terra d’origine del padre smentita dai registri battesimali di Nizza Marittima
Che cosa sappiamo di lei? Di certo ci sono le origini monferrine anche se pare appurato che Rosa Vercellana sia nata a Nizza, allora detta Marittima, l’11 giugno 1833 (per l’Enciclopedia Italiana Treccani invece sarebbe nata a Moncalvo, luogo di origine del padre, il 3 gennaio dello stesso anno; altre fonti la fanno nascere a Pinerolo, dove la famiglia visse per qualche tempo).
Tuttavia a far fede sono i registri di battesimo della chiesa di San Giacomo a Nizza, che riportano per intero il suo nome, Maria Rosa Chiara Teresa Aloisia.
Il padre era originario di Moncalvo, si chiamava Giovanni Battista ed era un militare di carriera, prima con Napoleone e poi nell’esercito sabaudo, granatiere di Sardegna col grado
di tamburo maggiore e infine guardia del corpo di re Carlo Alberto; la madre si chiamava Maria Teresa Griglio. La coppia aveva altri due figli, Adelaide e Domenico.
Nel 1847, al momento del primo incontro tra il futuro re e la Bela Rosin, il padre di lei comandava il presidio militare della tenuta di caccia di Racconigi, dove Vittorio Emanuele era giunto per una delle sue consuete battute.
Altre versioni ci dicono che l’incontro avvenne in modo diverso, con la Bela Rosin che chiese udienza al principe per perorare la causa di suo fratello Domenico, militare, che doveva aver combinato qualche piccolo guaio ed era stato punito.
Fatto sta che i due non si separarono più, anche se i loro incontri, almeno all’inizio, furono clandestini per l’aperta ostilità di re Carlo Alberto a una relazione stabile tra l’erede al trono e una popolana. Poco importava, visti i canoni del tempo, che la ragazza fosse minorenne.
Rosa, nonostante la giovane età, era ben sviluppata e appena un anno dopo il loro primo incontro diede al principe una figlia, chiamata Vittoria, e più tardi nel 1851 un figlio, Emanuele Alberto. Un terzo morì appena dopo il parto.
Entrambi furono registrati come figli di ignoti e successivamente venne dato loro il cognome Guerrieri. Saranno riconosciuti dalla madre soltanto nel 1879. Proprio per evitare contrasti troppo forti con il padre e con la nobiltà sabauda, Vittorio Emanuele volle che la Bela Rosin lasciasse Racconigi per andare a vivere prima in una dépendance della palazzina di caccia di Stupinigi e poi al castello di Moncalieri, dove a una certa Madama Michela fu affidato il compito di insegnarle l’etichetta di corte. Ciò anche per allontanarla dalla sua famiglia, che aveva cominciato ad approfittare della situazione accampando pretese economiche.
Il padre avrebbe voluto che la ragazza sposasse un suo commilitone, sergente dell’esercito. Vittorio Emanuele non voleva però perdere la sua donna e il malcapitato sergente fu spedito d’imperio in una caserma in Sardegna.
È noto che Vittorio Emanuele era più interessato alla caccia e soprattutto alle donne che alla politica: ebbe un gran numero di amanti, tra cui le attrici Laura Bon (da cui ebbe una figlia, Emanuela Maria Alberta, ufficialmente figlia del conte Vittorio di Roverbella) ed Emma Ivon, e forse anche la contessa di Castiglione, e un numero imprecisato ma cospicuo di figli illegittimi, tanto da fare dire a quella malalingua di D’Azeglio che Vittorio più che padre della patria era il padre degli italiani.
La Bela Rosin ebbe due figli dal re e sopportò le sue numerose scappatelle

La vulgata popolare voleva che il re spesso ricompensasse le sue estemporanee e giovani amanti concedendo alle loro famiglie una “privativa” per la vendita di sali e tabacchi.
La Bela Rosin sopportò tutto, senza invadere campi che non erano i suoi (ha scritto Roberto Gervaso: «Vinse la battaglia fingendo di perderla, catturò Vittorio dandogli l’impressione di consegnarsi a lui»), consapevole che tanto il re dopo le sue periodiche scappatelle sarebbe sempre tornato da lei, magari per gustare quelle uova alla Bela Rosin, una preparazione che ci è stata tramandata (si veda la ricetta a pag. 91).
Nel 1855 Vittorio Emanuele, diventato re già da sei anni, rimase vedovo (Maria Adelaide morì nel corso della sua settima gravidanza), e le eminenze grigie della corte di Torino, con in testa Cavour, si diedero da fare per trovargli una nuova consorte degna del prestigio che il Piemonte stava acquisendo a livello internazionale. Perfino la regina d’Inghilterra, la regina Vittoria, che conobbe Vittorio Emanuele quando lo invitò a Windsor per insignirlo dell’Ordine della Giarrettiera, fece qualche passo per dargli in sposa sua figlia Mary, pur
avanzando riserve sui comportamenti non proprio eleganti del personaggio (ne parla a lungo nel suo diario privato).
Vittorio Emanuele II rimasto vedovo nel 1855 rifiuta ogni nobile partito e assegna a Rosa il titolo di contessa di Mirafiori
E anche Napoleone III voleva dare in moglie al re sabaudo una principessa belga.
Ma Vittorio Emanuele rifiutò ogni partito, affermando che si sarebbe sposato soltanto con la Bela Rosin, cosa impossibile, visti i natali non nobili di lei. Per questo Costantino Nigra, il più stretto collaboratore di Cavour, la definì «regina senza trono e senza corona».
L’amante del re era disprezzata a corte per i suoi umili natali e i suoi modi contadineschi, ma proprio per questo, tuttavia, fu apprezzata dal popolo, tanto che si dice che la fanciulla cantata nella celeberrima canzone La bela Gigugin sia proprio lei.
Per Rosa Vercellana quelli furono anni di continui traslochi: da Racconigi a Stupinigi e poi a La Mandria, a Fontanafredda e a Sommariva Perno, nel castello che il re le aveva comprato dopo averla nobilitata, l’11 aprile 1858, con il titolo di contessa di Mirafiori e Fontanafredda, dandole anche un motto per il suo casato, Dio, Patria, Famiglia. Fu con lo stesso decreto che Vittorio assegnò il cognome Guerrieri ai figli avuti da lei.
Con il trasferimento della capitale a Firenze, nel 1864, Rosa seguì il re e si stabilì nella villa detta La Petraia, poi, quando Roma divenne capitale d’Italia, risiedette in una villa romana sulla via Nomentana, alla quale fu dato il nome di Villa Mirafiori.
Nel frattempo i due erano riusciti a sposarsi: nel 1869, con il re gravemente ammalato e a rischio di morte (ma si riprese presto), il matrimonio venne celebrato nella tenuta di San Rossore, nei pressi di Pisa, alla presenza dei figli legittimi di Vittorio e del primo ministro
Menabrea, un matrimonio “morganatico”, vale a dire senza che a Rosa fosse attribuito il titolo di regina e senza diritti ereditari per il figlio, visto che la legge sabauda permetteva la successione solo agli eredi maschi.
Il matrimonio fu celebrato in forma religiosa il 18 ottobre, mentre qualche anno dopo, il 7 ottobre 1877, si tenne anche il rito civile, ma misteriosamente sull’atto di morte del registro dello stato civile di Pisa Rosa Vercellana sarà indicata come “nubile”.
Cantine storiche e la loro stanza cinese ai Tenimenti di Fontanafredda

I figli Vittoria ed Emanuele furono riconosciuti dalla madre soltanto nel 1879 ed ereditarono da lei il titolo di conti di Mirafiori e Fontanafredda; fu proprio Emanuele, che tra l’altro aveva partecipato a fianco del padre alla terza guerra di indipendenza nel 1866 a soli 15 anni, a sviluppare la tenuta agricola di Fontanafredda, acquistata dai Savoia nel 1858, facendola diventare la prestigiosa azienda vinicola ancora esistente.
Nel 1878 coltivava 300 ettari tra campi e vigne di barbera e nebbiolo con decine di contadini salariati ai quali assicurava vitto, alloggio e scuole per i figli. Nel 1894 alla morte di Emanuele l’azienda passò al suo secondogenito Gastone, nipote della Bela Rosin. Agli inizi del Novecento i Tenimenti ebbero la loro massima espansione, ma con l’arrivo della fillossera che distrusse le vigne e la crisi finanziaria del 1929 furono ceduti per un valore di un milione di lire al Monte dei Paschi di Siena.
La banca toscana gestì l’azienda per decenni fino a quando Fontanafredda entrò nel 2009
nella galassia di Oscar Farinetti, patron di Eataly, che le ha dato nuovo prestigio e una decisa impronta ecologica.
Durante il periodo “senese”, la Bela Rosin nei giardini di Fontanafredda veniva ricordata tutti gli anni con una grande festa della Rosa e dalle cantine usciva uno spumante a lei dedicato.
Una curiosità: l’etichetta Mirafiore venne invece gestita per anni dalla Gancia di Canelli, prima che tornasse nella disponibilità dei Tenimenti di Fontanafredda dove ancora c’è la camera cinese, prediletta da Rosa e da Vittorio per i loro incontri amorosi.
Per quanto riguarda i figli, Emanuele morì nel castello di famiglia a Sommariva Perno, Vittoria invece visse a Pisa, sposata con il marchese Giacomo Filippo Spinola, primo aiutante di campo del re.
Morto Vittorio Emanuele il 9 gennaio 1878, Rosa, a cui fu impedito persino di avvicinarsi al letto di morte del re, fu considerata persona non gradita e vennero confiscate tutte le residenze a lei intestate tranne il castello di Sommariva Perno.
Allora si ritirò a vivere a Pisa nel palazzo che il re aveva acquistato per la loro figlia Vittoria.
Qui, visse gli ultimi anni in sostanziale solitudine affetta da diabete, e venne a morte nel 1885, sopravvissuta al suo re – ebbe lei stessa a dire – per sette anni.
Nel 1885 i Savoia vietano la sepoltura al Pantheon di Roma: avrà il suo mausoleo a Torino

L’amore tra i due fu contrastato anche dopo la loro morte. In quanto moglie del re, seppur morganatica, i figli chiesero che la loro madre fosse sepolta nel Pantheon e quando il re Umberto I respinse la richiesta, in evidente sfida con la casa reale, fecero costruire a Torino, nella zona della Mirafiori, una copia del Pantheon in scala ridotta, dal diametro di 16 metri, detta il Mausoleo della Bela Rosin. L’edificio, progettato dall’architetto Angelo Demezzi, fu costruito tra il 1886 e il 1888 e sul frontone reca il motto della famiglia dei
conti di Mirafiori: Dio, Patria, Famiglia.
All’interno ci sono otto colonne, dove si trovavano le tombe di Rosa Vercellana e dei figli, oggi rimaste vuote, perché alcuni tentativi di saccheggio da parte di chi andava alla ricerca di gioielli e cimeli della ricca famiglia e lo svolgimento di riti esoterici indussero nel 1972 il Comune, a cui nel 1970 il Mausoleo era stato venduto dall’ultima discendente diretta della famiglia Vercellana, a spostare i resti nel cimitero monumentale di Torino.
Dopo anni di restauro, aperture e chiusure dovute sempre a episodi di vandalismo, il Mausoleo della Bela Rosin è stato finalmente riaperto al pubblico nel 2005. La sua gestione è affidata oggi al Sistema bibliotecario della città di Torino che si occupa delle aperture al pubblico e degli eventi.
La Bela Rosin è rimasta nelle insegne di molti ristoranti aperti nei luoghi dove visse, da Moncalvo a Rocconigi, e nella ricetta delle sue uova ripiene, che ci fanno ricordare lei e il suo grande contrastato amore.
A pagina 91 di questo numero proponiamo la ricetta ispirata alla Bela Rosin nella rubrica Memorie a tavola.
Per saperne di più
FONTI
Roberto Gervaso, La bella Rosina. Amore e ragion di stato in Casa Savoia, Bompiani 1993
Giovanni Gigliozzi, Le Regine d’Italia, Newton Compton 2001
Tersilia Gatto Chanu, Le grandi donne del Piemonte, Newton Compton 2006
Gianni Farinetti, Regina di cuori. La donna che Vittorio Emanuele amò tutta la vita, Marsilio 2011
Denis Mack Smith, Vittorio Emanuele II, Laterza 1983
Gianni Oliva, I Savoia, Mondadori 2° edizione 2019
Anita Piovano, La contessa di Mirafiori: il fascino misterioso di una regina senza corona, Gribaudo, Cavallermaggiore 1985










