Arriverà l’estate, stagione di afa e temporali, e con essi il rischio grandine. La “tempesta” è sempre stata temuta in campagna. Un tempo non c’erano i consorzi di assicurazioni o altre difese e una grandinata che rovinava il raccolto, soprattutto delle uve, poteva significare un inverno di stenti. Quelli che di solito provocavano danni maggiori erano i temporali bielèis, i biellesi, chiamati così perché arrivavano da Nord-Ovest; c’è chi con amaro sarcasmo chiamava la grandine negussiant da barbèri, negoziante di barbere, perchè spogliava i filari come se si fosse già vendemmiato. Nelle campagne si riteneva che il buon andamento meteorologico potesse essere propiziato da pratiche scaramantiche di antica e spesso misteriosa origine e tramandata consuetudine. La Chiesa organizzava le “rogazioni”, pellegrinaggi di preghiera per auspicare buoni raccolti e tener lontani grandine e siccità. Per scongiurare il pericolo della grandine, ad esempio, al primo rombo di tuono si sistemavano nell’aia, prima che cominciasse il temporale, due roncole o due falcetti incrociati.
In periodi di siccità erano molto frequenti le novene per invocare la pioggia: per nove sere consecutive si recitava il rosario e si aspettava con fiducia. Sull’argomento a Migliandolo si racconta una storia. Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale c’era un parroco, don Rocca, decisamente sui generis per quell’epoca: gran giocatore di scopa, tressette e tarocchi, si limitava al minimo nelle sue attività di curatore di anime e soprattutto non amava troppo le liturgie. Aveva sempre la battuta pronta e amava scherzare, in bel gèner, come si dice in astigiano. La sua perpetua, Brigida, era fanatica delle novene e aspettava sempre l’occasione per organizzarne una.
Radunava le donne nella cappella di San Rocco, precettando per prime quelle che già partecipavano assiduamente alle varie funzioni in chiesa: c’erano le Donne di Maria, dette anche con sarcasmo dagli uomini cumpanìa del cü creus, compagnia del sedere basso, per motivi di età, e le Figlie di Maria, ribattezzate cumpanìa del ciapi rèidi, compagnia delle natiche sode, in quanto composte dalle donne più giovani. Un’estate in cui la siccità si stava facendo preoccupante, Brigida chiese se poteva organizzare una novena: ben sapendo che non sarebbe stato coinvolto perché l’iniziativa era autogestita dalle donne, don Rocca accordò il permesso. Passate le nove sere di preghiera, visto che in cielo non si affacciava neppure una nuvola, la perpetua tornò dal parroco proponendo un altro tentativo, che le fu concesso, ma che non sortì l’effetto sperato. Caparbiamente le pie donne ottennero di ripetere ancora una volta la novena e questa volta la benevolenza divina le ricompensò con una pioggia abbondante. Alla prima goccia Brigida si precipitò in canonica e disse con tono trionfante: «A l’ha vist, prevost, che a forsa ’d dej a j’uma facc pieuvi?», «Ha visto, prevosto, che a forza di insistere abbiamo fatto piovere?». E don Rocca rispose in modo lapidario: «Se fissi andaj anàn fin-a a Natàl a favi ’tcò fiuchè», «Se foste andate avanti fino a Natale avreste fatto anche nevicare». Del resto si diceva con saggezza contadina che «u temp l’ha nen mariàsi per pudèj fè luca ‘l veur», «il tempo non si è sposato per poter fare quello che vuole».