L’ultima ruota del carro l’avrete vista appesa al soffitto trasformata in lampadario in qualche pizzeria o cantinetta. Altri le usano come elementi di staccionata. Se ne trovano ancora nei mercatini e dai robivecchi. Per secoli, anche in epoche recenti, prima del dominio dei motori a scoppio, tutto girava sulle ruote di mezzi di trasporto che nelle campagne piemontesi avevano nomi specifici: baròsa, barusòn, còr, caratòn, birucin ecc. Le ruote erano a raggi e costruite totalmente in legno molto resistente (generalmente in rovere ben stagionato), con rinforzi e lamine in ferro, di varie misure. Nelle città e nelle campagne c’erano i “carradori”, officine per la costruzione e riparazione dei carri (uno famoso era a Calamandrana dove oggi c’è il ristorante Violetta) che firmavano il mezzo incidendo o pennellando il proprio marchio sulla fiancata o sul retro. Il carro più comunemente usato nelle nostre campagne era adattato per il traino dei buoi. A quattro ruote, rivestite da un cerchio in ferro, con il doppio timone o singolo (a seconda se trainato da un bue o dalla coppia), era adatto al trasporto di foraggio, legna da ardere, pali da vigna, e naturalmente per le uve, che venivano versate nella bigoncia di legno (arbi o òrbi) sistemata sul carro.
Questi mezzi agricoli, dotati di vari tipi di freno a mano, avevano anche una targa in metallo con trascritti i dati del proprietario rilasciata dal comune di residenza. Il carro, detto anche tamagnun, era adoperato anche per le cerimonie funebri e in momenti di festa come il carnevale, la leva dei coscritti, il matrimonio. Il lavoro dei carri ha fatto nascere il mestiere dei cartuné, i moderni camionisti. Quando incontravano salite o discese troppo impervie e fangose ricorrevano alla traina ovvero al supplemento di un bue o due a quelli attaccati. Il servizio della traina era a pagamento ed era svolto da chi abitava nei pressi di tratti di strada problematici.
Storica nell’Astigiano la traina alle salite del Dusino sulla strada da Asti verso Torino e quella di Moncalvo sulla strada verso Casale. La baròsa invece aveva due ruote e sponde alte, con una portata più limitata rispetto al còr, veniva utilizzata per il trasporto al mercato di prodotti come ortaggi, fieno, oppure di animali come vitelli o maiali. Solitamente la baròsa era trainata da un solo bue o dal cavallo e in alcuni casi dal mulo. Il birucin, invece, era un calesse a due posti, che si utilizzava da passeggio o da viaggio. Con finiture in legno smaltato e inserti in ottone, più elegante rispetto ai mezzi prettamente utilizzati per il lavoro della terra, poteva essere munito di capottina e veniva trainato quasi sempre da un cavallo adatto al trotto.
Possedere un birucin era segno di benessere economico, un po’ come oggi un’auto di grossa cilindrata o una spider. Una curiosità etimologica. I carri e anche le carrozze avevano ai piedi del guidatore una paratia o cassetto contenente della crusca, utilizzata per tenere tranquilli i buoi o i cavalli durante le soste. Era chiamato cruscotto, lo stesso nome che gli operai della Fiat iniziarono a dare alla parte dell’auto che conteneva il quadro comandi, trovando difficile pronunciare il nome tedesco armaturenbrett, indicato nei primi progetti. Cruscotto: una parola nata sui carri che ha fatto e continua a fare strada.