martedì 10 Settembre, 2024
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1920 - 1960

Revigliasco paese dei ciliegi in fiore

La capitale primaverile dell’agricoltura astigiana
Revigliasco ha ancora la fama di paese delle ciliegie, ma purtroppo negli anni questa caratteristica è andata perdendosi. La produzione di questi profumati frutti è stata per decenni un’attività agricola redditizia. Tra le due guerre l’età d’oro: da maggio a giugno la piazza del mercato si trasformava in una brulicante sala di contrattazione all’aperto. Acquirenti di grande prestigio: Sperlari, Mazzetti d’Altavilla, Saclà. Quelle con la “picula lunga” le più pregiate. La fortunata avventura commerciale di Mario "Badin" Perosino che ogni anno ne esportava 3.500 quintali in Inghilterra. Le memorie vive dei vecchi del paese, maestri dell'innesto e di vita. Il tentativo di rinascita con la "mora di Revigliasco". L'arciconfraternita della ciliegia e la rievocazione del Festival delle Sagre completano il racconto-testimonianza di Aldo "Cerot" Marello, revigliaschese doc.

Revigliasco ha ancora la fama di paese delle ciliegie, ma purtroppo negli anni questa caratteristica è andata perdendosi. La produzione di questi profumati frutti è stata per decenni un’attività agricola redditizia. Tra le due guerre l’età d’oro: da maggio a giugno la piazza del mercato si trasformava in una brulicante sala di contrattazione all’aperto. Acquirenti di grande prestigio: Sperlari, Mazzetti d’Altavilla, Saclà. Quelle con la “picula lunga” le più pregiate.

La fortunata avventura commerciale di Mario “Badin” Perosino che ogni anno ne esportava 3500 quintali in Inghilterra. Le memorie vive dei vecchi del paese, maestri dell’innesto e di vita. Il tentativo di rinascita con la “Mora di Revigliasco”. L’Arciconfraternita della Ciliegia e la rievocazione del Festival delle Sagre completano il racconto-testimonianza di Aldo “Cerot” Marello, revigliaschese doc.

Mario Perosino avviò l’esportazione delle ciliegie verso l’Inghilterra

 

I frutti venivano sistemati nelle botti dopo l’irrorazione con acido solforico che aiutava la conservazione

Quel mercato in piazza prima del tramonto

Il nome “Ruviliasco” appare per la prima volta su un documento dell’886, ma pare certo che il borgo abbia avuto origine già in epoca romana, probabilmente nel I secolo a.C., come attesta l’iscrizione di una stele funeraria deposta sulla tomba di un soldato della XIII legione, rinvenuta in regione Grisana, alle porte del paese in direzione di Asti, e ora murata all’esterno dell’abside della chiesa parrocchiale. Un’altra testimonianza certa attesta che l’insediamento, sorto per la posizione favorevole e per la fertilità del territorio, era attraversato dall’antica strada che collegava Hasta (Asti) a Pollentia (Pollenzo).

Il termine “ruvus” non indica soltanto l’arbusto selvatico spinoso comunemente definito “rovo”, ma anche “pianta che cresce spontaneamente” e non è il caso di correre troppo con la fantasia per ipotizzare che quel “ruvus” potesse essere il ciliegio, curato per la facilità di crescita e la buona capacità di adattamento ai terreni alluvionali di Revigliasco. L’ipotesi, per quanto suggestiva, non trova però conferma in alcuna carta dell’Archivio comunale, tuttora in fase di riordino. Resta il fatto che a Revigliasco la coltivazione dei ciliegi è stata per decenni al centro della vita economica del paese.

Luogo simbolo della produzione di ciliegie è sempre stata la Piazza del Mercato (oggi Vittorio Veneto), anima commerciale di Revigliasco, ma anche sede di tutte le attività sociali, amministrative e ricreative del paese. Per i revigliaschesi piazza Vittorio Veneto è stata e sempre sarà soltanto “la piazza”. Ancora oggi «andè ‘ntra vila» significa andare in piazza, il luogo dove la vita del paese si esprime in tutte le sue declinazioni. Negli anni d’oro delle ciliegie, la piazza diventava, a seconda dei periodi e delle necessità, bocciodromo, sferisterio per il gioco del tamburello, velodromo per corse in bicicletta e gimkane nel lunedì della festa di Sant’Anna a fine luglio, salotto di discussioni, base per impiantare il ballo a palchetto delle feste di leva.

Ma dall’inizio di maggio alla fine di giugno e anche oltre, era soprattutto la sede del mercà delle ciliegie, famose ben oltre i confini del Piemonte, trasformandosi in una sorta di sala di contrattazioni all’aperto, al termine di ogni giorno di raccolta. Fino a pochi anni fa la piazza era dominata dalla chiesa di San Bastian, sede dei “Battuti”. Sconsacrata già nel primo dopoguerra, fu demolita a metà degli Anni ‘60 per allargare la carreggiata all’altezza del bivio che porta in valle Pozzo da una parte e a Celle Enomondo dall’altra. Qualche anno dopo, nel 1974, fu abbattuto anche il campanile, così come la casa attigua, poi riedificata a condominio, dove era aperta la panetteria di Teresa e Maurizio Novara.

Poco distante l’Ufficio Postale confinava con la casa dei Risso, ricca di un ampio podere che arrivava fin quasi al fondo della piazza e che forse un po’ enfaticamente era definito “giardino”. Un muretto sormontato da una rete metallica impediva, quasi sempre, che vi finissero le palline del tamburello. Le case che chiudevano la piazza sono ancora oggi abitate dai Boggio e da Placido Marello. Di fronte alla chiesa si apriva il negozio di alimentari di Angelo Boschiero e poi, in successione, c’era una seconda casa dei Boggio (“Baragna”), la macelleria, una scarpata retta da numerose “gaggìe”, la casa ’d Paulin (poi riedificata dalla famiglia Gerbo a condominio nel 1964 e tuttora sede della filiale della Cassa di Risparmio di Asti), dove in estate si vendevano gelati, bibite e granatine.

Un muro in cemento ha sostituito nel tempo la scarpata della “castagna”, rinforzando il sostegno in mattoni del Municipio, edificato nella piazza alta a cui si accedeva per una scalinata di pietre del Tanaro (oggi sostituite da un ben più prosaico manto d’asfalto) e un selciato che partiva di fronte al negozio di alimentari dei Basso e all’osteria di Romolo Binello, successivamente passata, al suo ritorno dall’Australia, a Firmino Sabbione.

I testimoni di un mercato e il mistero del Tempurije

La raccolta delle ciliegie rappresentava per molti revigliaschesi la prima entrata di denaro dell’anno, dopo la pausa produttiva dell’inverno, ed era un evento fondamentale per la vita del paese. Nei fatti, pur cercando di avere qualche fondata notizia dai patriarchi del paese, è stato impossibile stabilire in quale periodo storico abbia avuto inizio il commercio delle ciliegie in dimensioni tanto ampie da richiedere l’istituzione di un vero e proprio mercato sulla “piazza”. ù

Altre e numerose sono però state le notizie sul mercato stesso e le sue dinamiche, fornitemi dai “testimoni del tempo”, quasi tutti ormai sull’ottantina o anche più. I loro nomi: Angelo Boschiero, Agostino Borio, Carlo Parella e, dulcis in fundo, l’homo sapiens Pierino Gerbo Bulot, maestro per eccellenza di ciliegie. Una curiosità è stata però insoddisfatta e riguarda l’origine del termine Tempurije o Tampurije, che definisce in dialetto l’intero “monte” della produzione di ciliegie di Revigliasco. Un quesito che pongo all’attenzione degli specialisti, nella speranza che riescano a fornirmi un’adeguata spiegazione.

Tra compratori e mediatori c’era chi voleva la picula lunga

La grande notorietà acquisita nel tempo dalle ciliegie di Revigliasco ha richiamato per decenni curiosi, estimatori e compratori da ogni parte del Piemonte, e il paese contendeva a Pecetto il titolo di capitale della ciliegia piemontese. Erano tutti alla ricerca, in proprio o conto terzi, del meglio del prodotto locale.

Tra i tanti, la Sperlari e la Saclà (per quest’ultima “mediavano” Giuseppino Caldera e un certo Evaristo Ferrero, detto Vaistu), ma anche Bona, Filippone di Nizza Monferrato che per molto tempo acquistò nel cortile di casa mia per mancanza di un posto adatto sulla piazza. E ancora un Secondo Ferrero – niente a che fare con l’omonima famiglia dolciaria albese -, la Grapperia Mazzetti di Altavilla e un certo Zappa di San Damiano che acquistava solo ciliegie raccolte con cura, con la picula lunga (il gambo intero), da utilizzare esclusivamente per la conservazione “sotto spirito”, in albanelle di vetro.

Sarebbero poi servite per preparare dessert, digestivi o per il consumo diretto degli appassionati del genere. I personaggi di primo piano del mercato erano i mediatori, in molti casi persone di fiducia dei compratori e profondi conoscitori del prodotto, che quasi sempre determinavano il prezzo di giornata delle ciliegie dopo le immancabili e talvolta estenuanti contrattazioni con i contadini produttori, soprattutto quando venivano proposti ingiustificati ribassi delle quotazioni.

Non mancavano scontri verbali, anche molto accesi, tra le parti, con scambi di minacce e parole grosse senza per questo, almeno a mia memoria, che si sia passati dalle parole ai fatti.  I ricordi mi portano a una sessantina di anni fa, quando il colpo d’occhio sulla piazza durante il periodo della raccolta era davvero impressionante e oggi difficilmente immaginabile. Carri e carretti trainati da mucche e buoi, carriole, ceste, cestoni, bigonce: ogni contenitore era buono per il trasporto in piazza delle ciliegie, possibilmente ancora sul chiaro, per evitare ingorghi e ritardi nelle operazioni di prima pesatura.

Intere famiglie si ammassavano sulla piazza per conoscere i prezzi e vantare la qualità del loro prodotto che acquisiva maggior valore se era “pulito”, cioè raccolto direttamente sulla pianta, al contrario di quello recuperato con la “battitura con la canna”, tipo quella per le olive, che facilitava l’operazione ma danneggiava l’integrità dei frutti. 

 

Foto ricordo alla fine della stagione della raccolta di ciliegie negli Anni ’30.

Negli anni Trenta un interessante esperimento di export verso l’Inghilterra

In tutta quella gran confusione, i più felici eravamo noi bambini che ci divertivamo a scorrazzare in mezzo alla gente ma soprattutto, se il ricavato della giornata era stato soddisfacente, ci guadagnavamo un gelato, un ghiacciolo o una gassosa, un chinotto e forse addirittura un’aranciata.

Con il passare degli anni, i trattori, i camioncini e le prime frese sostituirono gli animali, snellendo le operazioni di carico e scarico e rendendo più agevole l’arrivo al mercato anche di produttori dei paesi e delle località vicine: Celle Enomondo, Antignano, San Damiano, i Gonella, i Perosini, Variglie.  Va detto che il periodo della raccolta era troppo spesso funestato da incidenti, anche gravi, taluni mortali, causati da cadute dagli alberi.

La fretta, la caratteristica della pianta del ciliegio che è spesso “traditore”, l’età avanzata dei contadini erano sovente all’origine di questi drammatici eventi causati da una sostanziale mancanza di precauzioni, dettata anche dai tempi molto stretti richiesti dalla raccolta — interrotta, con una certa regolarità, da precoci temporali o gelate tardive — che doveva avvenire nei tempi giusti per non arrivare al mercato con un prodotto in cattive condizioni di maturazione. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che, in stagione di raccolto, affluivano a Revigliasco molti lavoratori stagionali sovente del tutto impreparati, si capisce come schiene, braccia, gambe e teste rotte fossero all’ordine del giorno. 

Angelo Perosino, noto come Lorenzo, secondo un’antica tradizione nostrana che cambia il nome di unapersona quando la si potrebbe confondere con un’altra della stessa famiglia, vive a Revigliasco in via Roero, insieme alla moglie e al figlio Mario. Nato nel 1925, è lucido testimone di una interessante iniziativa commerciale del padre Mario, personaggio estroso e stravagante che, nato nel 1883, aveva molto viaggiato per vedere e capire il mondo. 

 

Angelo Perosino detto Lorenzo figlio di Mario, primo esportatore delle ciliegie revigliaschesi

 

Nel 1932 Mario Perosino fondò la “Società Anonima Esportazioni-Prodotti Italiani” con sede in strada San Carlo, alla periferia occidentale di Asti, allo scopo di esportare all’estero il tipico prodotto di Revigliasco.

Appena raccolte, le ciliegie venivano irrorate con acido solforico e subito dopo sottoposte alla “sgambatura” (asportazione della picula). Seguiva la snocciolatura, effettuata con un apposito cucchiaino, e subito dopo la calibratura, operazione che selezionava i frutti a seconda del diametro. Così trattate, le ciliegie erano immesse in fusti da 2 quintali e trasportate a Genova-Bolzaneto dove uno spedizioniere internazionale, certo Jean Marcet, provvedeva a farle giungere, via mare, a Birmingham, in Inghilterra, dove erano soprattutto candite o utilizzate per la produzione di marmellate. 

Ogni anno si esportavano circa 3500 quintali di ciliegie con un ciclo di lavorazione che durava 8 mesi, occupando una cinquantina di donne e una decina di uomini, tutti regolarmente retribuiti secondo le regole del tempo. Un illuminato esempio di capacità imprenditoriale che ebbe però fine tra il 1937 e il 1938 quando l’Italia, dopo le sanzioni inflittele dalla Società delle Nazioni (causa la guerra d’Etiopia), interruppe ufficialmente i rapporti commerciali con il Regno Unito. 

Nel regno dei “Graffioni” un trionfo di varietà

Finora abbiamo parlato genericamente delle ciliegie di Revigliasco.

È tempo di fare chiarezza sul prodotto proposto con grande successo al mercato almeno fino alla metà degli Anni ‘70 del Novecento. Cos’erano dunque le ciliegie di Revigliasco? A spiegarcelo è Pierino Gerbo Bulot, classe 1927, considerato l’ultimo artista della ciliegia revigliaschese. Fino a cinquant’anni fa, due erano le eccellenze locali: i Graffioni bianchi e le Ciliegie comuni.

 

La festa in municipio negli Anni ’50 con il presidente della Provincia Norberto Saracco e il sindaco Alfonso Viarengo

L’ultimo tentativo di rilancio con la varietà “mora” frutto di innesti da piante provenienti dalla Cecoslovacchia

 

I Graffioni, o Duroni, prendevano denominazioni particolari a seconda della zona di provenienza e del periodo di maturazione. Le più importanti:

– i “Giaiet” (giallognoli) che ben sopportavano le instabilità climatiche stagionali

– i “Vulet”, piccoli ma con rese produttive decisamente eccezionali

– “di San Pietro”, con maturazione tardiva

– i “Bianchi”, con la picula curta, durissimi e ideali per la conservazione sotto spirito. Erano i preferiti dalle ditte Sperlari e Mazzetti di Altavilla Monferrato.

Le Ciliegie comuni si dividevano in due grandi tipologie:

– le Dolci di “Baragna” (soprannome di alcune famiglie del paese) e “dell’Ascensiun” (così indicate per il periodo di maturazione)

– le Acide come le Amarene e le “griote”

Nei primi Anni ‘70 il mercato cominciò a sentire in modo sempre più pesante gli effetti di una crisi da cui, malgrado i molti tentativi di ripresa, non si sarebbe più ripreso. Per tentare di contrastare la congiuntura negativa, Pierino Gerbo e Grato Boggio, oggi non più con noi e considerato un vero maestro dell’innesto, pensarono di mettere in produzione un tipo di ciliegia più adatto alle esigenze di mercato di quegli anni. In loro aiuto venne Augusto Polastro (anticipando i tempi, aveva il vezzo di farsi conoscere con il cognome della madre), revigliaschese doc e direttore di banca a Cuneo che, invitato dal governo cecoslovacco dell’epoca a visitare il sistema agricolo di quel paese, ne ritornò entusiasta promotore di una cultivar “mora” che aveva avuto modo di degustare e apprezzare nella repubblica dell’est europeo. Ne parlò con Grato e Pierino e decisero di farsi mandare per posta un migliaio di piantini di quei ciliegi, allo scopo di innestarli sulle piante dei graffioni, su suggerimento di un esperto tecnico della Sperlari che aveva accertato la perfetta vocazione del terreno revigliaschese a tale esperimento.  Nacque così la “Mora di Revigliasco”. Un risultato botanico di grande interesse, ancorché con risultati commerciali modesti. Ha consentito comunque di avere una gamma di tipologie più vasta, ancor oggi rintracciabile in paese: 

– ciliegie “more” prodotte dagli innesti di piantini cechi su fusti selvatici e di graffioni, che offrono in primavera una spettacolare fioritura

– ciliegie da innesti su piante “Sunburst” succosissime e molto ricercate

– ciliegie da innesti su piante “Lapius” con maturazione leggermente tardiva e particolarmente indicate per la produzione di marmellate, dal gusto inimitabile

– ciliegie da innesti su piante “Burlat”, originarie del sud della Francia, “mattiniere”, molto appetite dagli uccelli che, grazie ad esse, sfamano i piccoli ancora in nido, in mancanza di insetti e vermi

– ciliegie da innesti su piante “Ferrovia”, di origine pugliese, che hanno trovato a Revigliasco un habitat particolarmente favorevole alla loro diffusione. Malgrado questa ricchezza di tipologie e la notevole qualità media del prodotto, di quel grande mercato è rimasto soltanto un malinconico ricordo, mentre la produzione è ridotta a pochi sporadici casi di raccolta famigliare. L’esodo verso la città di molti abitanti della zona, il graduale abbandono della terra da parte delle giovani generazioni, orientate ad altri guadagni ed esperienze, il progressivo invecchiamento della popolazione residente e infine il crescente disinteresse di amministratori ed enti del territorio nei confronti dell’agricoltura, hanno finito per far mestamente chiudere l’ultracentenaria epopea delle ciliegie di Revigliasco, mandando in archivio i fermenti e gli entusiasmi di una stagione irripetibile della vita del paese. Chissà che la crisi e la necessità di ritrovare forme di reddito non rimettano in moto un circolo virtuoso legato anche alla ripresa della coltivazione delle ciliegie. 

 

Il tema delle ciliegie portato in sfilata al Festival delle Sagre

È rimasta soltanto la rievocazione alla sfilata del Festival delle Sagre

 

Nel 2003 è nata l’Arciconfraternita della Ciliegia di Revigliasco, con il dichiarato scopo di far rivivere fuori dai ristretti confini del Comune il ricordo del mercato delle ciliegie grazie all’operato di Ambasciatori e Cavalieri che organizzano periodicamente degustazioni del frutto-bandiera del paese. Si ispira proprio alla Sagra delle Ciliegie anche il tema che la Pro Loco di Revigliasco interpreta nella straordinaria sfilata contadina di settembre del Festival delle Sagre di Asti: per un giorno viene riproposta alle migliaia di spettatori del corteo la suggestiva atmosfera di quel mercato che per decenni fece di Revigliasco la primaverile capitale agricola dell’Astigiano.

La Scheda

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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