Qui siamo in piazza Vittorio Veneto, ma per noi è sempre stata la piazza del mercato o del tamburello, a seconda delle esigenze». Angelo Boschiero, detto Angelo d’Lic, è una delle anime storiche di Revigliasco d’Asti e tra i frequentatori della «Panchina degli amici», una singolare istituzione «parlamentare» del paese. Un ritrovo all’aperto, che può variare la sua postazione a seconda del tempo. «Di volta in volta cerchiamo il posto più adatto: alla ricerca dei primi raggi di sole in primavera, più all’ombra d’estate, ma sempre riparati dalla pioggia o dal vento. A seconda del tempo noi spostiamola panchina, ma restiamo comunque sulla piazza».
È un punto di incontro, una sorta di consiglio degli anziani. La panchina si popola in tarda mattinata e poi nel pomeriggio, dopo l’immancabile pennichella dei frequentatori, fino a tarda sera. D’estate è animata anche nei dopo cena.
Su quella panchina si sono seduti e si siedono in tanti a parlare e a discutere. l temi sono liberi e spesso intrecciati, dallo sport alla politica, dai capricci del tempo alle pensioni, alla situazione internazionale. E naturalmente tengono banco i fatti e i personaggi del paese di ottocento anime. Nascite e morti comprese. Passano le stagioni e inevitabilmente viene a mancare qualche frequentatore della panchina. Chi resta li ricorda con l’affetto di chi ha vissuto scorci di vita insieme. Angelo è la memoria storica del gruppo. Con lui ci sono Carlo Parella ex impresario edile, Fulvio Machetti ex maresciallo dei vigili del fuoco, il sarto Alessandro Mansone e altri più giovani, ovvero non ancora over ottanta.
«Su questa piazza – ricorda Angelo – viveva l’intero paese. Si batteva il grano e c’era il mercato delle ciliegie; per la festa di Sant’Anna a fine luglio si metteva il ballo a palchetto e poi si giocava alle bocce, alle biglie, al pallone e soprattutto al tamburello… ogni momento era buono per dare due coIpi e la gente si fermava a commentare le battute migliori».
Angelo è nato a Revigliasco il 31 marzo 1930 e non ha mai lasciato il paese. Dopo l’asilo dalle suore Stefanine, è andato alle elementari ospitate nel Palazzo del Comune. Ha ricordi vivissimi di quei tempi: la messa alle nove del mattino della domenica nella chiesa di San Sebastiano, in fondo alla piazza, abbattuta nel 1968 per motivi «logistici», con i chierichetti che nascondevano il tamburello sotto il rocchetto pronti a scatenarsi dopo l’ite, missa est del parroco.
Revigliasco è stato per decenni il paese delle ciliegie (Vedi Astigiani n. 7 del marzo 2014). Angelo lo ricorda bene: «La piazza si riempiva per giorni e giorni di venditori e compratori che venivano anche da lontano tanto era la fama delle nostre ciliegie. Oggi – aggiunge con un velato sorriso – i bambini non salgono più sugli alberi a raccoglierle e molti non sanno neppure più distinguerne le piante». Lui da ragazzino di ciliegie ne ha mangiate tante con gli amici e le sorelle Olga ed Elia. A 11 anni, per poter frequentare le medie, su consiglio di don Alfredo, fu mandato in collegio ad Asti. Ma ci rimase per poche settimane. L’Italia era entrata in guerra. I genitori preferirono averlo vicino ad aiutare nel negozio di alimentari, la »bottega» che allora si apriva sulla piazza prima della salita verso la chiesa. A quel tempo a Revigliasco c’erano sette negozi e una macelleria. Quando la guerra finì, con il suo strascico di morti e paure, Angelo, che era ormai un ragazzo di 15 anni, non riprese a studiare. Dopo qualche ripensamento e contro il parere dei genitori, papà Federico e mamma Maria, fece domanda per entrare in Marina come motorista, a La Spezia. Poi ci ripensò e trovò un lavoro in Ferrovia: qualche mese di tirocinio come aiuto macchinista, poi entrò di ruolo. Farà il ferroviere tutta la vita, fino alla pensione.
Il «Bufalo» del tambass diventa ferroviere e fisarmonicista folk
Ma nella vita di Angelo ci sono altre passioni. Prima fra tutte il tamburello. Angelo era chiamato «Bufalo» per la potenza e lo stile irruente di gioco. Atleta poderoso, resistente alla fatica, e tenero maestro con i giovani, mi ha aiutato a crescere nello sport e insieme abbiamo vinto due campionati, nel 1967 con il Revigliasco in serie C e con il Monale l’anno successivo in serie B. È stato tra i fautori della costruzione dello sferisterio in Valle Pozzo, ora abbandonato, e Revigliasco lamenta da anni la mancanza di una squadra locale. Angelo e i suoi amici hanno avuto anche un’altra passione: la caccia, vissuta come sport antico e come occasione per mettere in comune le prede nel carniere, trasformando il finale delle battute in grandi cene tra amici, dove non mancavano mai il vino e la voglia di cantare, accompagnati dalla fisarmonica che Angelo suona benissimo.
Tra le sue «manie» ci sono stati anche i motori. Nel Dopoguerra i miti dei giovani divennero presto la Vespa e la Lambretta e poi arrivò la prima auto, una Fiat 500. Raggiunta la maggior età a 21 anni, fu Pierinu del Fré, al secolo Ermenegildo Lumello, suo compagno di tambass, con officina ad Asti in piazza Torino, a vendergli la prima moto «Parilla» e a insegnargli i trucchi del mestiere per partecipare alle gimkane, tipiche corse di abilità e velocità, molto in voga in quegli anni. Angelo ricorda un certo Libero, ex operaio mutilato della Vetreria, capace di conquistare trofei in tutti i paesi della zona guidando la moto con la sola mano destra.
Racconti epici che ha ripetuto tante volte anche agli amici della panchina. Ma la vita di Angelo si è ancora arricchita di un’altra passione: la musica che da divertente passatempo è diventata quasi un secondo mestiere, come fisarmonicista.
«Ho girato molto – confessa Angelo – con diversi gruppi e in particolare con l’orchestra Piemontesina folk. Con il cantante Pier Carlo Quercia, Anselmo Ruffa al sax-contralto, Gino Marello alla chitarra, Domenico Masenga, chitarra/ basso, Giancarlo Fassio, sax-tenore e clarino, Ferruccio Schiavone, batteria, Nino Delaude, basso e basso tuba, abbiamo suonato in quasi tutte le balere del Nord Italia e mi sono fatto tanti amici. Ricordo Achille Togliani, Dino Crocco, Gipo Farassino, Piero Montanaro e Paolo Tomalino. Una cosa ho imparato dagli artisti: più sono grandi e meno si danno arie. L’ho capito di persona con gente come Mina o la Vanoni». Sono le storie che ha raccontato prima ai figli Grazia (1957) e Massimo (1965), nati dal matrimonio con Rosa Morando, sposata nel 1955, e poi ai nipoti Matteo e Federico, Carlotta e Ludovica. E ora le racconterà anche ai pronipoti Pietro e Anna. Storie di un paese che faceva festa con le ciliegie e di una piazza dove i colpi di tamburello erano la musica di un gioco epico.