I La stampa a caratteri mobili, messa a punto da Gutenberg a metà del XV secolo a Magonza, si diffuse rapidamente in Italia, culla dell’Umanesimo: nelle grandi città come Roma e Venezia o in molte sedi universitarie già negli Anni ’60 del Quattrocento furono stabilmente attive botteghe tipografiche.
Ad Asti il primo libro a stampa vide la luce nel 1518 per opera del tipografo Francesco Silva che Alberto Bruno, giureconsulto astigiano, chiamò in città per la stampa delle sue opere. E non casualmente, se si considera la vocazione commerciale astese, il primo libro uscito dai torchi in quell’anno fu un trattato del Bruno sulla monetazione: De augmento, diminutioneque monetae.
Ma la città non era in grado di offrire lavoro sufficiente a una tipografia stabile: Silva è attestato fino al 1521, poi si dovette attendere il 1534 per avere nuovamente un tipografo attivo in Asti. E questa volta la committenza per la stampa fu pubblica: a
Francesco Garrone, originario di Livorno Vercellese e già attivo a Venezia e Bologna, nel 1534 viene commissionata la stampa di due libri di leggi municipali, Statuta e Statuta Revarum.
Il primo dei due volumi raccoglieva una serie di regole giuridiche che disciplinavano molteplici aspetti della vita quotidiana ad Asti, sia nell’ambito pubblico che privato, mentre il secondo conteneva gli elementi di diritto tributario dell’epoca, e nella fattispecie importanti riferimenti alle tasse indirette sugli scambi e sui consumi di merci nel territorio di Asti. Entrambi attestati da esemplari manoscritti risalenti al XIV secolo, rispettivamente il Codice Catenato, ancora oggi conservato in originale presso l’Archivio Storico, e gli Statuta Revarum, conservati nei Conti orléanesi dell’Archivio di Stato, grazie alla nuova tecnica tipografica furono resi disponibili in numerose copie, generalmente giunte sino a noi legate in un solo volume.
La Biblioteca Astense ne possiede 5 esemplari, sono stati rilegati in ordine diverso, rispettando probabilmente gli interessi dell’acquirente o per scelte autonome del legatore. Sono appartenute a studiosi quali Niccola Gabiani, Carlo Vassallo, Giuseppe Vernazza, come testimoniano gli ex libris o attestano corposi appunti e annotazioni a margine. E pur non essendo oggetto di frequente lettura, sono certamente familiari agli astigiani per un’immagine che compare sul frontespizio e che anche la Biblioteca ha utilizzato in passato per il periodico Palinsesto: comunemente considerata un’antica – se non la più antica – visione di Asti, è una xilografia che presenta una ricca cornice al cui centro campeggia una città cinta da mura, all’interno della quale si distingono chiese e torri e sulla quale vegliano quattro figure, in due dei quali è consuetudine individuare San Secondo e Sant’Evasio.
La scritta AST in alto a sinistra pare non lasciar dubbi in merito. Ma non è così, o meglio non proprio: la stessa immagine – senza la scritta – fu infatti usata dal tipografo di Reggio Emilia Alessandro Lippo per l’opera da lui stampata a Bologna nel 1515 dal titolo Officia Sanctorum Patrum protectorum alme urbis Regiensis. Essa raffigura Reggio Emilia con le mura, le chiese e i santi protettori Prospero, Daria, Gioconda e Crisante. Probabilmente Garrone entrò in contatto con questo tipografo durante il suo soggiorno bolognese e ne acquisì i materiali, forse i caratteri e per certo l’originale cliché in legno, che portò in Piemonte e utilizzò per il frontespizio degli statuti astigiani: un esempio antico di sapiente riuso che ha indotto molti studiosi all’errore iconografico.