Un messale. È il primo pensiero quando nella mani di Mauro Vergano appare quel piccolo taccuino nero. Lo tiene con la punta delle dita, con quel rispetto che si ha per gli oggetti preziosi. Ha lo stile raffinato di un’agendina Moleskine. Le pagine ingiallite, fitte di una bella, antica calligrafia. Molte, col tempo, si sono staccate. Più di un secolo fa, ancora immersi nell’800, la punta di un pennino correva lì sopra tracciando numeri e parole. Non è un libro liturgico, bensì un promemoria di esperimenti e di curiosi miscugli a base di erbe e segreti. Più volte dovette stare in qualche taschino della giacca di Giulio Cocchi, colui che è considerato il “padre” del vermouth piemontese. Mauro lo ha ereditato da Mario Cocchi, un suo zio acquisito. Sposò zia Leonina, sorella di suo papà. Era il figlio di Giulio, e con i due fratelli Federico e Rino, dirigeva la Cocchi, fabbrica di vermouth e chinati. Lo stabilimento era in via Sant’Evasio, poi si allargò in via Malta. «Qualche volta zio Mario mi portava con lui in ditta, io ero felicissimo e risento ancora oggi quel profumo intenso e pungente di erbe». Mauro era ancora un bambino, ma zio Cocchi riuscì a trasmettergli tutta la sua passione per quel mestiere. Il quadernetto nero di appunti e ricette non fu dunque l’unica eredità.
Fu nell’anno in cui morì zio Mario, il 1978, che Mauro cominciò i suoi esperimenti d’alchimia.
All’inizio erano pochi litri di chinato destinati perlopiù agli amici, poi l’attività crebbe. Oggi sono 7000 bottiglie della Chinati Vergano. Non c’è un’insegna all’ingresso di quel portone al numero 106 di via Brofferio. L’invito è a usare la fantasia e a provare a immaginarla quell’insegna non foss’altro perché è l’ultima cantina vinicola di Asti città, dopo che i fratelli Bava hanno acquistato la Cocchi e trasferito la sede a Cocconato. Dal 2003 il laboratorio occupa il luogo di quella che fino al 1805 fu una chiesa, distrutta in seguito all’occupazione napoleonica, e prima ancora un convento fondato, leggenda vuole, direttamente da San Francesco quando all’inizio del 1200 passò da Asti diretto in Francia. In tempi più recenti, a inizio 900, quei locali ospitarono una fabbrica di fiammiferi, che è ancora nella memoria di alcuni astigiani. Così come la bottega del fabbro Borello, che arrivò nell’ex chiesa subito dopo. Oggi Mauro Vergano respira quella storia e ne scrive, a modo suo, altre pagine. Una laurea in chimica, 62 anni e tanti progetti. Non rinnega i suoi 15 anni da chimico in una fabbrica di Cavaglià. Anzi: «Mi è servita tantissimo: lavoravo di naso, come si dice, e oggi ho solo cambiato aromi». Vive circondato da ampolle, pipette, filtri, serbatoi di alluminio, sacchi di erbe aromatiche, un piccolo torchio rosso e il buon odore di sapienti intrugli. Ama giocare e sorprendere. Apre i barattoli e invita a indovinare le erbe dall’odore. Ce ne sono più di quaranta nella sua officina di via Brofferio: dalla più familiare salvia sclarea che al naso ricorda il profumo di Moscato alla più insolita radice di galanga che arriva dalla Cina o alla cascarilla, una preziosa corteccia del Centro America dal sapore piccante. E poi, la radice di valeriana, le scorze di chinotto, l’achillea, l’assenzio, il cardamomo, i fiori di genzianella, la menta, l’origano di Creta, il rabarbaro e tante altre, senza dimenticare la china. Un armadio che è uno scrigno di profumi, che farebbe la felicità di Jean-Baptiste Grenouille, lo straordinario uomo del XVII secolo che è il protagonista del romanzo Il profumo, dello scrittore tedesco Patrick Süskind. «Colui che domina i profumi domina il cuore degli uomini» è la sua ferma convinzione e certo nel laboratorio di Mauro avrebbe tante occasioni per esercitare il suo olfatto, per costruire la prodigiosa memoria olfattiva che lo caratterizza e lo rende una sorta di superuomo dal fiuto eccezionale.
Mauro, dal canto suo, è un “mago Merlino” con uno spirito molto astigiano che dosa e trasforma Grignolino e Moscato, Nebbiolo e Cortese, le uve base dei suoi cinque “figli”: il primo fu il Chinato rosso, poi il “Lulì”, un chinato bianco, il Vermouth “VB”, l’Elisir di china e infine, ma non ultimo, l’Americano, fiore all’occhiello dell’azienda, che rappresenta quasi metà delle bottiglie prodotte. Tutti elisir profumati che hanno conquistato il cuore degli americani, così tanto che non molti mesi fa la giornalista Alice Feiring, nella sua rubrica sul New York Times, ha chiamato in causa Mauro come esperto numero uno al mondo di vermouth e affini. «Merito di Gianluigi e Alessandra Bera, vignaioli di Canelli – ricorda Vergano – che, nel 2007, sono stati i primi ambasciatori delle mie etichette a New York. Non mi sarei mai sognato di andare a vendere fino in America». Ispirate nel disegno dall’amico Bruno Vergano, conosciuto avvocato di Asti scomparso qualche anno fa, da sua figlia Sara e dal pittore Gianni Buoso, le etichette dei Chinati Vergano partono dal cortile del Torronificio Barbero, «gentile vicino di casa che ospita i bancali per mancanza di spazio», e vengono bevute in Inghilterra, Francia, Olanda.
Ora cominciano a interessare anche il Giappone. Non sarà difficile scovare una foto con il critico gastronomico Giorgio Grigliatti e lo chef Ferran Adrià, che brindano con una bottiglia di Americano Vergano. «Vendo all’estero più dell’80 per cento delle mie bottiglie – dice Mauro – ma ci sono ristoratori e osti di Asti e Torino che vengono a comprarle direttamente qui. Vendo con il passaparola: io non mi sono mai mosso di qui e non faccio pubblicità». Rispetto ai tempi di “nonno” Giulio Cocchi e del suo piccolo taccuino nero, oggi tante erbe sono proibite. Mauro ha ritoccato le ricette, ma un insegnamento è rimasto: «Al fondo di ogni pagina scriveva: “concia a palato”. Ovvero una volta che hai seguito la ricetta, non fermarti: devi sempre assaggiare, sperimentare, trovare il giusto equilibrio». Che sia questo il vero segreto del vermouth?