È nato il giorno di Ferragosto: «Erano le quattro del mattino e il destino segnato: è l’ora in cui mi sono sempre alzato nella vita». Dino sorride e cerca con lo sguardo la complicità della moglie Iolanda, con cui ha condiviso lavoro e destino. Allora era l’estate del 1939 e la famiglia Rissone abitava in una casa di ringhiera in via Pallio 4. Papà Luigi era nato in Argentina, a Santa Fé.
Da Cantarana, nonno Secondo era emigrato in Sudamerica per fame e lavoro, ma moriva di nostalgia. Così la famiglia Rissone tornò ad Asti per coltivare un lembo di terra in riva a Tanaro. Luigi cresce tra orti e fiume. Sposa Enrichetta Ferraro. La coppia apre una bottega di alimentari quando ancora corso Alessandria percorreva una distesa di orti e campi coltivati. È cambiato il volto della città, ma l’attività di Dino è ancora lì, al civico 325. Oggi l’insegna dice: “Pasticceria artigianale Rissone”. Una piccola bottega che accoglie con un buon profumo di bignole appena sfornate. Lì dentro si scrive ancora così: bignole. È così dalla fine dell’estate 1987, da quando Dino diede una svolta decisa e coraggiosa all’attività di famiglia. «Già i miei genitori – racconta il pasticciere – facevano le torte di castagne nel forno a legna. Erano conosciute in tutta Asti. Con gli anni, il lavoro ingranò. Riuscimmo a comprare la casa che era di uno zio di mia mamma e pian piano ingrandimmo il laboratorio con forni sempre più all’avanguardia». Negli Anni ’70, lavorava a pieno ritmo un forno a tunnel di 14 metri: «Si sfornavano 130 chili di panettone all’ora». La pasticceria Rissone aveva clienti in tutto il Nord Italia: da Milano a Bologna, da Reggio Emilia alle valli del Bergamasco. «Erano anni in cui si consumava tanta pasta lievitata tutto l’anno – racconta Rissone – dalle merendine tipo buondì alle ciambelle, al pan dolce. La richiesta cresceva sotto le feste con panettoni, pandoro e colombe. Per riuscire a stare dietro agli ordini, lavoravamo anche di notte». E aggiunge: «Avevamo cinque dipendenti. Due ragazzi erano dei Valenzani: quando al mattino d’inverno arrivavano a lavorare in bici, avevano le cuffie di brina in testa – sorride. Mia sorella Marisa, invece, dirigeva il reparto incarti». Si andò avanti così, a ritmo continuo, per più di dieci anni.
Solo Marisa lasciò per rilevare il negozio di abbigliamento bimbi “La luna di carta” sotto i portici di piazza Statuto. La svolta avvenne nell’estate del 1987: «Il 27 luglio morì mia mamma – racconta Dino – e io mi sono trovato a dover scegliere se continuare la produzione con i grandi numeri o decidere di dare valore alle ricette all’antica che avevo ereditato da papà Luigi. Scelsi la seconda». Un fatto favorì la scelta: «Ero a Milano a una fiera di dolci e per caso incontrai un mio compagno di militare. Si chiamava Azzarito ed era diventato il re dei pasticceri di Verona. Andai da lui e mi insegnò tutti i segreti della lievitazione». Ancora oggi segue i suoi insegnamenti: «Tutti i miei dolci vengono impastati almeno cinque volte più mezza, la “biga”, un piccolo impasto con il lievito di birra. È lo stesso metodo che utilizzano per il pandoro». Il primo impasto viene fatto alle 6 del mattino: 24 ore dopo i dolci sono pronti: «A fare le cose bene ci vuole tempo».
Nasce così quel Dolce Monferrato, un panettone monferrino, sua invenzione. Così come le creme: «Non usiamo preparati: le creme vanno ben cotte. Come la polenta, diceva mio papà». Un segreto, Dino, lo custodisce nel suo laboratorio: «È il lievito madre che mio padre impastò quando avevo 14 anni. Negli anni, insieme ai gusti, sono cambiate le farine e ho dovuto modificare il metodo di conservazione, ma il lievito madre è ancora quello di 60 anni fa». Non solo: «Ho avuto una grande fortuna – dice ancora Dino –, essere stato affiancato da una donna straordinaria, mia moglie Iolanda. Mi ha sempre aiutato a fare le scelte giuste».
L’eredità passerà al figlio Luca, 44 anni compiuti il 2 marzo, che lavora accanto a papà e mamma, a Paolo Rosso e a Giancarlo Tonin.
Anche il nipote Alessandro, 18 anni, vorrebbe fare il pasticciere.
Mamma Paola, figlia di Dino e maestra a Portacomaro, vuole che finisca almeno le superiori. Poi potrà fare il garzone per la felicità di nonno Dino. «L’anno scorso sono stato operato di un tumore – rivela il pasticciere – e non ho più l’energia di prima, ma questo laboratorio è la mia vita. Vorrei che qualcuno in famiglia continuasse l’attività». Altri tre futuri garzoni stanno crescendo nella famiglia Rissone: sono Cristiana, 15 anni, sorella di Alex, Mattia,10, e Camilla, 8, figli di Luca. Chissà se qualcuno e chi seguirà le orme di nonno Dino. Per ora tutti e quattro sono i suoi migliori “consulenti di bignole”. Poi si vedrà.