Il 17 dicembre 1932 si firma l’atto costitutivo in municipio ad Asti
Brindarono, ma forse non si preoccuparono di immortalare il momento con una fotografia. E così la nascita del “Consorzio per la difesa dei vini tipici Moscato d’Asti e Spumante” non ha la sua foto ufficiale, o perlomeno non è pervenuta ai posteri. Era sabato 17 dicembre 1932. Meno di dieci giorni a Natale e in municipio ad Asti arrivarono una trentina di esponenti di primo piano del mondo enologico piemontese. C’erano i rappresentanti delle grandi Case spumantiere, titolari di aziende più piccole, proprietari terrieri e agricoltori, da Canelli a Mango, da Trezzo Tinella a Santo Stefano. Li aspettava l’avvocato Angelo Conte, regio notaro, pronto a stilare l’atto che avrebbe fatto nascere il Consorzio. Una curiosità, si erano ritrovati in municipio in piazza San Secondo e non nello studio notarile di corso Dante numero 18, (dove dopo qualche anno si sarebbero aggirati due fratellini Paolo e Giorgio) , perché il podestà Vincenzo Buronzo voleva dare a quelle firme il tono di un evento importante per l’intera città. Con la nascita del sodalizio Asti (“quattro sole lettere facili da ricordare” si annotava già allora) legava una volta di più il proprio nome alle sorti del vino spumante ottenuto da uve moscato. Non senza contrasti. Da Canelli a Strevi, da Santo Stefano Belbo ad Acqui, già ottant’anni fa, c’era chi avrebbe voluto chiamare lo spumante in altro modo, ma la scelta soprattutto degli industriali canellesi, fu di insistere su Asti, non disdegnando fin dall’Ottocento di aggiungere sulle etichette al nome della città la parola Champagne. Un richiamo al famoso spumante francese che risale al 1865 e al riuscito esperimento di quel Carlo Gancia che, dopo un periodo di lavoro nelle cantine, proprio dello Champagne, tornò in Piemonte con l’idea di mettersi in proprio. Prima a Chivasso nel 1850 e poi a Canelli provò e riprovò a produrre il primo spumante italiano. Ci riuscì usando l’uva moscato come base, non senza difficoltà, visto che quel vino dolce faceva “esplodere” le bottiglie. Lo testimoniano le foto dei reparti di imbottigliamento con operai e operaie protetti da pesanti grembiuli in cuoio e maschere tipo quelle da scherma. Erano coloro che a Canelli e dintorni chiamavano gli “champagnisti”.
Carlo Gancia e gli altri pionieri dell’800
Grazie agli studi di enologi come Arnaldo Strucchi e successivamente del casalese Federico Martinotti, si riuscì nel tempo a stabilizzare lo spumante da uve moscato. Il successo commerciale fu immediato. Gancia ebbe la prima commessa all’estero già nel 1866. In pochi anni nella zona si svilupparono altre imprese di pionieri dell’enologia
Il Consorzio nasce a seguito della legge sui vini tipici approvata nel 1930
degli spumanti come la fratelli Cora a Costigliole, la Francesco Cinzano a Santo Stefano Belbo e Santa Vittoria d’Alba, la Martini&Rossi che aprì la prima sede a Montechiaro d’Asti, lungo la strada per Chivasso e poi a Pessione, i Beccaro ad Acqui, Contratto, Bosca ed Alessandro Zoppa a Canelli, Baldi a Strevi, Pistone, Soria e Taricco ad Asti, Calissano ad Alba. Un mondo spumeggiante che aveva visto crescere produzione ed esportazioni in maniera persino tumultuosa, solo frenate dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale e dal diffondersi della fillossera. Con il ritorno alla pace e le nuove vigne innestate su piede di vite americana resistente alla malattia, era cresciuta anche la necessità di tutelare la produzione da imitazioni e concorrenze sleali, sia esterne che interne al mondo della spumantistica piemontese, dove tutte le aziende avevano in listino vari tipi di vini e vermouth. Il ministero dell’Agricoltura, che con l’avvento del Fascismo era retto dal barone Giacomo Acerbo ed aveva come sottosegretario il piemontese Arturo Marescalchi, elaborò una legge all’avanguardia per quei tempi per favorire la nascita di consorzi legati ai vini tipici, definiti “genuini, pregevoli e speciali” e soprattutto legati ad un delimitato territorio di produzione. La legge fu approvata nel luglio del 1930. Era composta da 16 articoli, indicava finalità e nascita dei consorzi in una visione corporativa favorita dal Regime.
Il Consorzio dell’Asti fu il primo a costituirsi due anni dopo; seguirono nel giro di pochi mesi le costituzioni di altri consorzi nel Lazio a Marino, il veronese Valpollicella, il Chianti.
Prima di costituire il Consorzio astigiano si era discusso sul delimitare la zona di origine (la legge sulle doc sarebbe arrivata solo negli Anni Sessanta). Il primo territorio individuato comprendeva 45 comuni delle sole di province di Cuneo e Alessandria (Asti fu riconosciuta provincia dal 1935) e che costituirono il nucleo originario. Nel 1967 si sono aggiunti Rocchetta Palafea, parte del territorio di Alba, Santa Vittoria d’Alba, Serralunga d’Alba. Nel 1976 un’altra aggiunta con Castino, Perletto, San Giorgio Scarampi. E’ degli ultimi anni la querelle, che pare essersi risolta, di comprendere nella zona nel frattempo divenuta a Docg (denominazione di origine controllata e garantita) anche il comune di Asti, passando così da 52 a 53 comuni interessati.
Nel 1932 Asti non aveva significative vigne di moscato, ma fu comunque scelta come sede del neonato Consorzio che, come riferiscono i giornali dell’epoca, come primo atto vide l’elezione alla presidenza “per acclamazione” del podestà Buronzo. Una scelta di equilibrio considerando che fin dall’inizio si discusse sui criteri di pariteticità tra parte industriale e agricoltori.
Il marchio disegnato da Ottavio Baussano
La prima uscita promozionale fu a Siena nel 1933
Fu Buronzo ad affidare al pittore astigiano Ottavio Baussano lo studio e la realizzazione del marchio del Consorzio che, pur con le successive elaborazioni grafiche, è rimasto sostanzialmente lo stesso nei decenni: un San Secondo a cavallo che porta in mano la città di Asti. Nella versione del 1932 lo stile medioevaleggiante tenendo conto dello spirito del tempo e della ripresa del Palio che aveva fatto affrescare a Baussano anche l’androne e lo scalone del muncipio. E a proposito di Palio è curioso scoprire cha la prima uscita –oggi diremmo promozionale – del Consorzio è del 1933, esattamente dal 3 al 18 agosto a Siena per la prima Mostra nazionale dei vini tipici. L’Asti spumante vi partecipò con un allestimento affidato allo stesso Baussano: una grande coppa decorata da striscioni gialli e azzurri. Durante la fiera era stata prevista l’”ora dell’Asti” antesignana dell’anglosassone happy hour che prevedeva degustazioni gratuite per i visitatori, offerte dal Consorzio. Non si è invece più ripetuta – e meriterebbe di essere ripensata e ripresa – un’altra iniziativa pubblicitaria molto particolare: l’autotreno nazionale del vino. Nel 1934 fu organizzata una carovana di camion con rimorchi
allestiti a mo’ di enoteca viaggiante che contenevano bottiglie e spazi di degustazione dei migliori vini tipici italiani, compreso l’Asti spumante. Il tour partì da Padova il 28 ottobre 1934 e toccò tutte le principali città italiane. Arrivò ad Asti l’8 dicembre e sostò in piazza Alfieri destando “viva curiosità e festoso interesse” come riferì “Il Cittadino”. Il Consorzio intanto si organizza. A direttore del nuovo organismo è chiamato Ercole Garrone, enotecnico diplomato ad Alba, che coprirà il ruolo dal 1934 al 1971, superando il delicato periodo bellico quando come si immaginerà c’era ben poco da brindare e i commerci internazionali erano semiparalizzati.
Nel 1966 il Consorzio ha sede nel palazzo Liberty di piazza Roma
Agli inizi del 1936 gli iscritti al Consorzio erano 65 e con la nascita della nuova provincia di Asti si stabilitì che nel consiglio di amministrazione ci dovevano essere 5 astigiani, 4 alessandrini e 4 cuneesi.
Il periodo pre bellico vede contrasti sui sistemi dei controlli con l’istituzione di una nuova legge a favore dei “vini protetti”. Nel 1940 diventa presidente quell’Arturo Marescalchi che resterà fino al 1956 quando a guidare il Consorzio con un compito di rappresentanza anche parlamentare fu Vittorio Badini Confalonieri, torinese, liberale che rimase in carica fino al 1972 e divenne proprio in quell’anno ministro del Turismo con il governo Andreotti. Dopo i due mandati alla presidenza ricoperti dall’ex direttore Ercole Garrone, nel 1976 fu chiamato alla guida tecnica del Consorzio un giovane enologo della Langhe, produttore di Barolo, ma con una già vasta esperienza in Sud America come direttore tecnico di stabilimenti enologici del gruppo Cinzano: Renato Ratti. La sua direzione rilancia con vigore il ruolo del Consorzio che dal 1977 vede applicata la regola dell’alternanza al vertice tra rappresentanti della parte industriale e agricola. Sono anni di crescita produttiva, anche spinta in Italia dai “Caroselli” televisivi delle più note marche. Si superano i venti milioni di bottiglie prodotte, per un decimo esportate. Ma non mancano le tensioni che fin dagli Anni ’60 contrapposero la componente industriale ai produttori di uva. Era nel frattempo arrivato prima il Mec (Mercato comune europeo) e poi la Cee e con la spinta del senatore casalese Andrea Desana si era giunti alla legge sulle doc nel 1963. In quegli anni le tensioni sui prezzi delle uve sfociarono in quella che fu definita “la guerra del moscato” con manifestazioni e blocchi stradali da parte dei contadini, già in fibrillazione per il sostegno al fondo di solidarietà contro la grandine. Il Consorzio aveva nel frattempo cambiato sede lasciando i vecchi uffici di corso Alfieri per approdare nel 1966 nelle prestigiose sale di palazzo Gastaldi, in piazza Roma. Si discute di marchi, difesa del’immagine all’estero e di una sola bottiglia consortile. Nel 1967 arriva la doc e sul marchio compare una fascetta rossa con la scritta “per la tutela”. Le esportazioni sono raddoppiate ed è la Francia il primo mercato estero con 1,5 milioni di bottiglie. Bisognerà aspettare l’aprile del 1979 per vedere firmare il primo accodo interprofessionale tra le parti che garantisce rese per ettaro e prezzo di base della uve. Una svolta storica favorita e mediata dall’assessore regionale Bruno Ferraris, aglianese, esponente di primo piano del movimento contadino legato al Pci. Questa volta le foto furono fatte e testimoniano il mutamento di un’epoca.
Aprile 1979 la storica firma del primo accordo interprofessionale
Il prezzo delle uve moscato, con alti e bassi (come il tonfo del 1982) è andato in crescita e oggi garantisce ai produttori un reddito di circa 11 mila euro ad ettaro. Le produzioni sono salite nettamente superando negli ultimi anni i 107 milioni di bottiglie (per l’85% all’estero) con lo sviluppo anche del Moscato d’Asti a docg prodotto soprattutto dai piccoli “moscatisti”. C’è comunque aperta la questione del prezzo finale delle bottiglie e dell’immagine dell’Asti spumante che negli anni è andata in ribasso. Per sostenerla sono state avviate numerose campagne promozionali con slogan più o meno di successo, affiancate con l’arrivo nel 1992 del nuovo direttore Ezio Pelissetti da una forte azione di sviluppo dei controlli sulla tracciabilità e dei laboratori di analisi che porterà anche alla nuova sede nella piana di Isola d’Asti. La piramide di cemento a forma di A come Asti, progettata dall’architetto Salva Garipoli fece discutere a lungo, si dimostrò poco funzionale e ha poi indotto il Consorzio a mantenervi solo i laboratori e magazzini tornando nel bel palazzi Liberty di piazza Roma. A ottant’anni dalla nascita con i nuovi compiti “erga omnes” previsti dalla legge, il Consorzio allarga le competenze a tutta la filiera e dovrà tutelare e promuovere le denominazioni Asti docg e Moscato d’Asti docg anche tra i non associati. La storia dei “signori dei brindisi” continua.
Per saperne di più
Storia del Consorzio per la Tutela dell’Asti – a cura di Giusi Mainardi, 2008
L’Asti, Renato Ratti, 1985