Parlare con Laura Pesce è come aprire una cassaforte. Laura è sommelier, insegnante alla scuola alberghiera Colline Astigiane e per i nicesi è la figlia di Italo e Adriana, del ristorante “Da Italo”, ma in realtà è soprattutto attenta custode della storia della gastronomia, del vino, del territorio. Pioniera tra le donne, in un campo che fino agli Anni ’70 (e anche oltre), era appannaggio solo maschile. Stupisce ad esempio rendersi conto che quegli “eventi”, oggi merce e pane quotidiano per ogni azienda vinicola e agenzia pubblicitaria, vennero anticipati da lei almeno vent’anni fa, quando, tra le tante cose che faceva, si inventò il ruolo di pubbliche relazioni per cantine come la Bersano. Con la geniale intuizione che non bastava presentare i vini, ma occorreva “vendere” insieme il territorio, l’arte, le chiese, i musei e affascinare i turisti con vecchie storie contadine. Un mix che oggi è più consueto, ma a quei tempi era cosa rara. Per riassumere il bagaglio di esperienze che porta con sé, proviamo a trovare un filo conduttore… «Ho avuto grandi maestri, a partire dalla mia famiglia, e ho cercato di trasmettere agli altri il mio sapere. Con curiosità, passione e affetto. Ho avuto una vita ricca che mi permette ora di ritrovarmi depositaria di conoscenze sedimentate attraverso tre generazioni, che nella ristorazione e nell’accoglienza a Nizza hanno “fatto storia”. Mi piace ricordare una frase che mi insegnò un sacerdote, tanti anni fa: “La parola è un suono, l’esempio un tuono”. Mi sembra di essere diventata il “distillato” degli insegnamenti professionali ed etici ricevuti e che spero di averlo tramandato a mia figlia, ai nipoti e ai tantissimi allievi della scuola alberghiera, che hanno fatto carriere straordinarie».
Partiamo dal ristorante dei suoi genitori.
«Come abbiamo scritto con Antonella Saracco nel libro pubblicato due anni fa, ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia geniale, a partire dal nonno, Marco Pesce detto Fitaura, non solo ristoratore, ma fabbricante di birra con il famoso Boringhieri di Torino. Fu anche un pioniere della coltivazione del cardo gobbo, e pure impresario teatrale, cui si deve l’oggi scomparsa Arena Pio Corsi, costruita nel 1905. Nella conduzione del ristorante gli succedette mio padre: oltre alla bravura nel gestire il locale, a lui si deve una promozione ante litteram del territorio. Per esempio ai clienti (in certe domeniche c’erano pranzi da oltre 600 persone), venivano date confezioni di vino e d’uva con la scritta “Viva Nizza principato del Barbera”. E poi mia mamma, di cui quest’anno cade il centenario della nascita, diventata cuoca per amore, studiava continuamente come mettere a punto i piatti, s’inventò il cardo con la fonduta, poi perfezionato da Lidia Alciati. Ricordo quando faceva le prove, dopo aver letto un ricettario francese, per fare il “coq au vin” con la Barbera. Ci riuscì con un’eleganza e leggerezza che ancora in tanti ricordano. Si chiamava “Gal al Barbera”. Non si vide mai, nella nostra cucina, un’impastatrice meccanica. Neppure quando si preparavano pranzi per cinquecento persone. C’erano due donne al lavoro solo per impastare farina e uova, tutto a mano».
Come irruppe nella sua famiglia lo Skatting ball?
«Nella sala da ballo che mio padre fece costruire con lungimiranza, sempre in piazza Garibaldi, passarono l’orchestra di Cinico Angelini con Gino Latilla, il Duo Fasano, Carla Boni e la regina della canzone, Nilla Pizzi. Poche la auto, in quegli anni, ma la gente si arrangiava. Arrivavano da Alessandria in Lambretta o con il trattore. C’era un tal Giuliano di Castellazzo Bormida che caricava gli amici sul carro dell’impresa di pompe funebri del padre, per portarli fino a Nizza a ballare. In questa sala, sotto l’occhio vigile delle madri, cariche dei cappotti delle figlie, sono nati amori spesso sfociati in matrimoni e lo testimoniano i menù del ristorante, stampati apposta per il banchetto di nozze. Poi ci furono gli anni dei veglioni e dei concerti. Allora andavano i nomi all’americana e allo Skatting sono passati Nicola Arigliano, Fred Buscaglione, Johnny Dorelli, Giorgio Gaber ed Edoardo Vianello. Tante le serate a tema, per ricreare l’atmosfera latinoamericana o quella del far west. Sul palco si alternavano grandi nomi e orchestre locali. Dal complesso Benasso, al gruppo Gianfi, fino ai tempi più recenti con i Golden Boys di Luigino Rampone, dove si esibiva un giovanissimo Carletto Rosa al basso, oppure I Semiassi di Bruno Bersano. Il tutto fino agli Anni ’70: il locale era stato rinnovato per l’ultima volta dai fratelli Pesce junior, con l’aggiunta di salottini e con le prime luci psichedeliche. Ma a mio papà quell’atmosfera nuova e aggressiva non piaceva più. E lo Skatting Ball, nel ’73, chiuse per sempre i battenti. Era finita un’era».
Parliamo della carriera da sommelier…
«Non so se fui la prima donna in assoluto a superare tutti i livelli e diplomarmi, non mi interessa il primato, ma il fatto certo è che so di essere stata un’apripista femminile in quel campo allora tutto maschile. Ero intimorita, ma sicura di me. Poi venne il lavoro impegnativo da fiduciario Ais di Piemonte e Valle d’Aosta e poi di consigliere nazionale. Anni bellissimi, in cui si prendevano anche decisioni scomode, perché credevo fermamente nella nostra professione. Stavo fianco a fianco con personaggi come il presidente Rinaldo Pozzi del Savini di Milano, poi c’erano gli astigiani Mario Bigliani del Salera, il mio indimenticabile tutor Franco Delprino del Savona di Nizza. Nel ’75 organizzai il congresso ad Alba, e ricordo che venne il ministro Sarti. C’era il mitico Renato Ratti, il mondo del vino assumeva sempre più importanza. Intanto ad Asti, grazie al compianto professor Occhionero, la scuola agraria ospitò corsi da sommelier e c’erano talenti come Franca Moretti, Aldo Merlone, Nino Bronda, per citarne alcuni. Quando fui eletta nel consiglio nazionale, la rivista Gourmet club mi dedicò l’omaggio più bello, una copertina con il titolo “Laura Pesce: può dare dei punti agli uomini”. Poi entrai nella giunta esecutiva, per occuparmi di formazione e scoprii la vocazione all’insegnamento. Si viaggiava per il mondo in quegli anni, e come una spugna assorbivo suggerimenti ed esempi. Nel ’79 poi, con la morte di papà dovetti lasciare quegli impegni così pressanti. A Nizza ho fatto l’impiegata alla Elf di Beppe Cavelli. Mi piace dire che in una ditta di carburanti, io, sommelier, fui dipendente di un grande imprenditore, peraltro diplomato in enologia».
Una straordinaria esperienza didattica con i giovani
Poi vennero l’impegno alla Sinergo e alla scuola alberghiera.
«All’inizio degli Anni ’90 divenni socia della cooperativa Sinergo, fondata da Livio Manera con la figlia Paola. Un servizio a tutto tondo per le cantine, in cui ricavai uno spazio per me ideale. Quello della cura delle pubbliche relazioni, oltre che di sommelier. Nacque la sezione “eventi” e lavorai per tanti anni alla Bersano, dove il grande Arturo aveva lasciato impronte indelebili. Con le aziende vinicole cercavamo di dare ai clienti e ai turisti un ritratto completo dei vini e del nostro territorio. Una chiave di lettura che piaceva, in cui mettevo a frutto, mescolandole, le esperienze della mia vita. Le stesse che ho trasmesso e ancora offro agli studenti dell’agenzia di formazione professionale di Agliano. Oggi chi si occupa di vendere il vino, girando il mondo trova nei migliori alberghi i nostri ragazzi: da Tiziano Rota responsabile del Food &Beverage della catena Rocco Forte, a Valerio Arione che adesso ha aperto “I Rebbi” a la Morra ma si è formato da Armani a Milano, a Londra, al Gambero rosso di San Vincenzo, a Diego Bongiovanni, chef ospite fisso della “Prova del cuoco”, a tanti altri, di cui seguo a distanza con soddisfazione le carriere. Con orgoglio ricordo che insieme a Lucia Barbarino demmo vita al corso di Marketing enoturistico, che formava esperti a tutto tondo. Una figura professionale che oggi sarebbe richiestissima, ma quel corso, ahimè, non ce l’hanno più finanziato. Tra i miei primi allievi c’erano Giovanni Bocchino oggi da Michele Chiarlo, Cristiano Baldi, Elena Olivieri, la viticoltrice Nadia Verrua. Tutti bravissimi».
La Scheda