Più che una vetrina o un’insegna, quella bottega è un’abitudine. Lo è per gli abitanti di località Castelnuovo. Lo è per quelli di San Giulio. Lo è per chi vive a San Damiano. E lo è anche per chi, tutti i giorni, guida sulla statale verso Ferrere. La panetteria Canta è lì da oltre un secolo. Dal 1914. Vive per un gioco di passaparola. Altroché Facebook. L’idea è di essere a un bel passo prima dei social. Anche nello stile di vita.
C’è Antonio Canta che si alza alle 2 di notte e aspetta l’alba lavorando al forno. C’è Renata, la sorella. Grembiule bianco e un lieve profumo di vaniglia. C’è Delfina, la mamma. Da sessant’anni, ogni mattina, fa un passo da casa a bottega. C’è Roselda, la commessa. Ascolta e sorride paziente dietro il banco da nove anni. Fu nonno Antonio ad avviare l’attività di famiglia. In quel tormentato inizio di Novecento era solo un forno: «Le donne – ricorda Delfina avendo sentito mille volte i racconti dello suocero – venivano a piedi; chi abitava più lontano con carro e cavallo. Tutte avevano con sé l’alvà, la pasta già lievitata, solo da reimpastare e far cuocere. Alcune si portavano le fascine delle viti potate per alimentare il fuoco e risparmiare quelle poche lire sulla cottura del pane». Il capostipite partì per la guerra. Nonna Giuseppina restò sola. Sei lunghi anni in cui tenne aperto il forno con la tenacia di una donna contadina d’altri tempi.
Fu il figlio Giuseppe a ereditare mestiere e forno. Negli Anni ’50 rinnovò il forno e volle l’insegna di quella bottega che è ancora lì. Con Antonio e Renata, è arrivata la modernità, un po’ di tecnologia con le impastatrici e un altro forno ancora, ma l’arte del pane è ancora quella del nonno: «Ho iniziato nell’80 dopo il militare – dice il panettiere. Ho frequentato la scuola di arte bianca, ma a fare il pane mi ha insegnato papà. Ancora oggi lo faccio come lo faceva mio nonno un secolo fa». Da tre generazioni, la specialità della panetteria Canta è il gressiot, la grissia monferrina di pasta dura. Tanta crosta, poca mollica e una lievitazione lenta e naturale: «Utilizzo sempre lo stesso lievito madre, la chiamiamo la “biga” – spiega Antonio – ha l’età della bottega: l’impasto viene fatto alla sera prima perché bisogna dare il tempo alla pasta di fare la “levata”. È il segreto di un buon pane artigianale». Antonio è scrupoloso. Quasi pignolo. Lo sa bene Renata, che sorride di questa precisione del fratello. Nel forno tutto brilla, anche il pavimento. Guai a toccare una volta in più i grissini appena sfornati o le paste di meliga o i turcet, tutte specialità della famiglia Canta. “Poche cose, fatte bene” per riassumere la filosofia.
Pane, grissini, focaccia e biscotti si vendono in bottega. C’è di tutto. Un supermarket concentrato in neanche 30 metri quadrati di profumi e colori. La panetteria, ma anche il banco salumi e formaggi, l’angolo della pasta, il reparto detersivi, la sezione olio, aceti, sale, salse. E quello che nei market difficilmente trovi: le ginevrine colorate nelle burnie di vetro, la pasta al cioccolato bianco-nero Ghana da tagliare a fette, la mitica magnesia Tortoroglio. «Ma soprattutto una cosa non si trova al supermercato: qualcuno che ti ascolti» dice Renata. «Oltre alla qualità del pane, tanti nostri clienti vogliono scambiare due parole. E non solo gli anziani!».
Grissini per gli chef e occasioni di lavoro aperte ai più giovani
Le specialità dei Canta non si fermano nei confini di San Damiano: i grissini volano ogni settimana a Barcellona e sono i preferiti da molti chef stellati tra l’Astigiano e le Langhe. «Ci sarebbe tanto lavoro e un futuro per i giovani ma più nessuno vuole fare il panettiere: è un lavoro faticoso, sa, non si dorme la notte!» aggiunge l’uomo del forno di San Giulio. «Quando abbiamo cominciato noi c’erano 12 forni a San Damiano, tra il centro e le frazioni. Oggi siamo rimasti in due». Renata e il marito Beppe, dipendente Saclà, non hanno figli. Antonio sperava in quel suo ragazzo, ma Mauro ha scelto un’altra strada: si è fatto prete. Ha 28 anni ed è il vice parroco di San Pietro ad Asti città.
“Ho insegnato ai bambini dell’oratorio come si fa il pane”
«All’inizio sono stato un po’ spiazzato: è una scelta importante – ammette Antonio – ma l’ho visto deciso. Oggi sono contento e orgoglioso di lui». Don Mauro partecipa alla vita della famiglia e della bottega portando ogni tanto i bambini dell’oratorio a fare il pane. Impastano, ridono, inventano. Una volta è venuto anche il vescovo Francesco Ravinale. «A Natale mi ha anche portato a vedere la Terra Santa» dice papà Antonio. Zia Renata non l’ha convinta: lei, in aereo, non vuol saperne di salire. Antonio, invece, è curioso. Ama il suo forno, ma gli piace anche vedere il mondo. «A Gerusalemme sono entrato in una panetteria e ho comprato un po’ di pane. Volevo vedere come lo facevano anche là». Strizza l’occhio. Sorride. Alza le spalle. Sembra pensare: «È più lavoro o passione?» Chissà.