giovedì 28 Marzo, 2024
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Mamma Maria, nove figli e le mani in pasta

Una donna storica protagonista del pastificio Rey di San Damiano
Il pastificio Rey, da piccola azienda famigliare è diventata una grande realtà in espansione e adesso i suoi prodotti sono venduti anche fuori dai confini nazionali. Ma c'è un sogno che anima ancora i discendenti di Maria Rey: quello di realizzare un formato di pasta tutto astigiano. Una pasta che abbia il carattere che ha contraddistinto in tutti questi anni l’azienda di famiglia, l’equilibrio tra tradizione e innovazione.

Una donna tenace che ha saputo mettere le mani in pasta e i suoi figli che ne mantengono la memoria e l’impegno imprenditoriale. Quella del pastificio Rey è la storia di un’impresa e di una famiglia che ha profonde radici a San Damiano d’Asti.  I fratelli Damiano e Giuseppe Rey iniziarono la loro attività di mastri pastai e panificatori, rilevando la bottega dei cugini Rinaldi nel centro storico di San Damiano, attiva fin dal 1851, nella casa di famiglia al civico 3 di via Vercellone. 

Il grande libro delle matricole del pastificio Rey, conservato gelosamente dai fratelli Toso che sono oggi i proprietari dell’azienda, rappresenta una traccia preziosa di quegli anni. Tra i pochi cimeli del passato sopravvissuti insieme a una dozzina di trafile in bronzo all’incendio che verso la fine degli anni Sessanta danneggiò la sede, il registro riporta sulle pagine ingiallite i nomi dei tanti lavoranti, come il giovanissimo Vittorio Balsamo, ricordato tra le “colonne” della Sandamianese, che apprese il mestiere dall’età di 12 anni in cambio di una piccola paga e del pranzo. Le “foglie di salice” furono le prime specialità della casa: un formato particolare ricavato da una sfoglia impastata in un rotolo da cui si tagliavano a mano uno a uno dei dischetti che venivano schiacciati per assumere la caratteristica forma a foglia, adatta a minestre e minestroni. 

A guidare l’azienda dal 1951 troviamo una donna, Maria Rey, classe 1922. Non ha ancora trent’anni. La sua unica sorella era morta giovanissima e lei si è ritrovata come unica erede di Damiano e Giuseppe. Maria era una bella signora, abituata già da ragazza a non piegare la testa davanti a nessuno. Durante gli anni della guerra aveva ospitato e protetto ebrei e partigiani e si era sempre rifiutata di rinunciare a quella “y” finale nel cognome e nel marchio che i fascisti avrebbero voluto italianizzare. Per fare qualche esempio si era arrivati a imporre di chiamare i cocktail “coda di gallo”, il tennis diventò pallacorda, Louis Armstrong citato sui giornali come Luigi Braccioforte e Courmayeur diventò sui cartelli stradali Cormaiore.

Orgogliosamente Maria Rey prese le redini dell’azienda e dimostrò la sua stoffa umana e imprenditoriale. Con il marito Giovanni Toso mise al mondo nove figli e allo stesso tempo traghettò il pastificio verso lo sviluppo e il successo: se si pensa che alla fine della guerra in Italia esistevano circa 6000 pastifici e che oggi ne sopravvivono appena 160 si può capire il reale valore del lavoro di questa donna straordinaria. Oggi in azienda ricordano, sfogliando il libro dei clienti dove si annotavano i conti quotidiani, che negli anni Cinquanta erano ben 3700 le famiglie che si servivano in via Vercellone, dove nei giorni di mercato si vendevano fino a 130 quintali di pasta, con quattro persone impiegate al banco per servire tutti velocemente. 

Il negozio apriva alle 6 del mattino e chiudeva la sera alle 20, ma anche dopo l’orario di chiusura c’era sempre qualcuno che suonava il campanello e veniva servito lo stesso. I clienti potevano scegliere tra molti formati: maccaroni, spaghetti e spaghettini, linguine, casarecce, filini, tagliatelle. Allora la pasta si vendeva ancora sfusa, veniva pesata e venduta in sacchetti di carta bianca. In quegli anni Maria Rey scelse di chiudere la linea del panificio e di specializzarsi nella produzione di pasta. L’impresa si ingrandì trasferendosi, alla fine degli anni Sessanta, in un capannone di Regione San Vincenzo, poco fuori da San Damiano verso Canale. Dai 2500 metri iniziali si passò anno dopo anno a più di 15 mila con nuove linee di produzione.

Da azienda familiare il Pastificio Rey è diventato prima società in nome collettivo e poi società a responsabilità limitata. Fino al 1985 la dimensione è rimasta artigianale, con le matassine fatte ancora a mano, lo spaghetto quadrato lavorato al taglierino come una volta e la pasta lasciata a lungo a essiccare nelle celle. Maria Rey è rimasta in attività fino alla morte che l’ha colta a 92 anni. Ha seguito sempre il lavoro dei figli che nel frattempo sono entrati in azienda. Quattro di loro lavorano al pastificio. Domenico, nato nel 1949, si occupa di amministrazione, Franco, tre anni più giovane, segue le esportazioni e Pierluigi, del 1954, è il responsabile della produzione, insieme a Carla, la più giovane, che segue il magazzino.

«Mia mamma era già avanti con gli anni ma voleva ancora lavorare a mano le matassine di capellini d’angelo, velocemente e con grazia. Vederla era pura poesia. Ha dedicato la sua vita al lavoro e alla famiglia», racconta col sorriso Domenico Toso. Da mamma Maria, i fratelli Toso hanno ereditato un profondo senso etico che li ha portati a concepire il lavoro come un impegno e una missione e ha dato loro le risorse necessarie per far crescere ulteriormente l’azienda quando tanti cedevano alla crisi e chiudevano. Il marchio del Pastificio Rey è conosciuto più all’estero che in Italia. La quota di esportazione si avvicina al 95%. Da San Damiano i pacchi di pasta raggiungono tutto il mondo. Nel 2013 i Toso hanno acquisito, creando una filiera tutta nazionale, uno storico mulino nel Ferrarese, a Pontelagoscuro: oggi le farine arrivano quasi tutte da lì, dalla società che hanno voluto chiamare “Mulino del Po”. 

 

Il primo logo del Pastificio Rey di San Damiano

 

Tipi di pasta prodotti a San Damiano da uno storico catalogo del Pastificio Rey

Il 95% della pasta Rey va all’estero acquisito uno storico mulino nel Ferrarese

 

Nelle pianure attorno al mulino sono stati seminati ben 10 mila ettari di terreno con diverse varietà di grano che, miscelate, compongono gli impasti per i 35 formati di pasta Rey attualmente sul mercato. L’accordo con le aziende agricole ha rilanciato lo storico impianto estense salvandolo dalla chiusura definitiva e dato nuovo slancio e futuro alla produzione agricola locale, inserendola in un circuito di tracciabilità. Si è già arrivati a 40 mila tonnellate di grano duro “made in Emilia”, lavorate a Pontelagoscuro, le cui farine sono utilizzate nello stabilimento di San Damiano. Un mondo complesso dove, oltre alla logistica, occorre aggiornare anche gli impianti e la ricerca.

Da quando a metà degli anni Ottanta sono arrivate le nuove macchine al pastificio, la tecnologia ha cambiato tutto e allo stesso tempo non ha cambiato nulla, perché, sentenzia Domenico Toso, «nella pasta non si inventa mai niente». Oggi come tanto tempo fa insomma, le regole restano sempre le stesse: rispettare al massimo la materia prima, quel “Triticum Dorum” – questo il nome latino della semola di grano duro – che quando è di ottima qualità dà una pasta di buon sapore e contenuto proteico; mantenerne intatto il gusto; fare in modo che la pasta tenga al meglio la cottura e che sia digeribile. 

I Toso hanno collaborato con il gruppo svizzero Buhler per personalizzare le proprie linee e fare in modo che con l’aiuto dei macchinari e dell’elettronica il loro prodotto, seppur in quantità industriale, conservi caratteristiche artigianali. “Rey da oltre 160 anni” è lo slogan in cui il pastificio racchiude i concetti di “qualità, tradizione, innovazione” e importanti reti di relazioni commerciali con i partner strategici della Grande distribuzione estera (Edeka, Rewe, Aldi, CJ e tanti altri). La grande vocazione verso i mercati stranieri non fa dimenticare ai Toso il territorio di origine. 

 

Domenico, Franco e Pierluigi Toso lavorano nell’azienda di famiglia insieme alla sorella Carla.

 

Sponsor e sostenitori dell’Adunata alpina per non dimenticare il territorio

 

Il Pastificio Rey è stato tra gli sponsor della grande Adunata degli Alpini ad Asti nel maggio scorso e ha fornito decine di quintali di prodotto per il “Pasta party” (la ristorazione nei grandi spazi di Campo del Palio) che ha contribuito a finanziare la crescita dell’Ospedale da campo della Fondazione Ana Onlus, una struttura dell’Associazione nazionale alpini che dal terremoto del Friuli del 1976 a quello del Centro Italia dell’estate scorsa è stata impegnata ogni volta in prima linea nelle catastrofi naturali e nelle emergenze umanitarie. 

“Noi siamo una famiglia di alpini e ci è sembrato giusto che questa nostra pasta partecipasse alla festa dell’Adunata”, confermano i Toso. E mentre una nuova generazione di figli e nipoti inizia a occupare posizioni in azienda, tra il marketing e l’amministrazione, un sogno anima ancora i discendenti di Maria Rey: quello di realizzare un formato di pasta tutto astigiano. Una pasta che abbia il carattere che ha contraddistinto in tutti questi anni l’azienda di famiglia, l’equilibrio tra tradizione e innovazione. E questa è l’amministrazione, ma c’è un sogno che anima ancora i discendenti di Maria Rey: quello di realizzare un formato di pasta tutto astigiano. Una pasta che abbia il carattere che ha contraddistinto in tutti questi anni l’azienda di famiglia, l’equilibrio tra tradizione e innovazione.

 

Le Schede

 

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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