sabato 27 Luglio, 2024
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Insegne senza Ruggine

“Il legno parla bisogna saperlo ascoltare”

L’ultimo falegname restauratore di Refrancore
"Laboratorio di restauro", un mondo magico pieno di fascino. La prima ad accogliere è Micia, una gatta grigia, con un miao da padrona di casa. Marco è indaffarato a incollare due vecchie assi.

È un portone antico, di legno scuro, con vetri piccoli che d’inverno si appannano per il contrasto tra il freddo e il caldo della stufa. Verrebbe da fare il gesto di pulire con la mano per aprirsi un oblò e sbirciare dentro come faceva il vecchio Ebenezer Scrooge in Canto di Natale per vedere il passato e la sua sorte futura. Non fosse per l’insegna che già racconta cosa si troverà in quelle stanze rimaste ferme in un altro mondo: “Laboratorio di restauro”. La prima ad accogliere è Micia, una gatta grigia, con un miao da padrona di casa. Marco è indaffarato a incollare due vecchie assi. Con un gesto lento, riposa il pennello in un barattolo di rame sulla stufa accesa: «Lo usava già il Pietrino: serve per far sciogliere la colla» spiega anticipando la curiosità di chi entra. Siamo a Refrancore, in via Asti, poco prima di raggiungere la piazza del Campanile. Millecinquecento anime e un solo falegname. «Prima della guerra a Refrancore c’erano dodici falegnami: ora sono rimasto l’ultimo»

In piemontese li chiamavano mez-da-bosch, i mastri del legno. Gente che con il legno sapeva fare tutto: porte finestre, mobili, attrezzi da lavoro, altari e banchi da chiesa. Marco Filippo Gandolfo “abita” quella bottega ormai da più di vent’anni: «Ufficialmente sono qui dal 1993 – racconta – in realtà è da quando ero bambino che vivo nel mondo dei falegnami. I miei migliori amici, figli di pasticceri, lavoravano in pasticceria a produrre i finocchini, io qui. Pulivo, carteggiavo, stuccavo. Sbuffavo tanto ma alla fine quelle estati passate qui dentro mi hanno fatto imparare un mestiere»

Restaura antichi strumenti musicali

 

In bottega mai prima delle 9,30: “Ho i miei tempi”

 

Finito il servizio militare, Marco fu assunto alla Morando come perito elettrotecnico. «Orari e padroni sono gli scogli più grandi della mia vita – confessa il restauratore. Forse ho perso delle occasioni importanti nella vita, ma bisogna scegliere. Arrivavo sempre in ritardo. Io, al mattino, non ce la faccio. La vita per me comincia dopo le 9,30. Non sono un dormiglione, ma al mattino mi piace prendermela comoda. Sono come i vecchi motori diesel di una volta, ci vuole un po’ a scaldarmi per rendere al massimo, ma poi non mollo». Per qualche anno, Marco ha lavorato anche in teatro: «Curavo le scenografie per le compagnie di danza. Era un lavoro che mi piaceva. Si andava a letto tardi e non si lavorava al mattino». 

Dal 2000 il laboratorio è tra le eccellenze artigiane della Regione Piemonte

 

Pinin e il figlio Pietrino Stradella

Ha ereditato il mestiere degli Stradella

 

Finché un giorno ha scelto di restare nel suo paese e di portare avanti quella bottega aperta nel 1903 da Giuseppe Stradella, per tutti il Pinin. Sigaro in bocca, baffetti, un uomo molto pacato. Sono in pochi a ricordarselo a Refrancore, ma qualcuno c’è ancora come Dino Piana, il trombonista, che era grande amico del figlio, il Pietrino. Quando negli Anni ’60 Pinin morì, Pietrino ereditò mestiere e bottega. Gli piaceva raccontare: «Il tavolo era più alto di me. Dovevo saltare su e giù per vedere. Allora papà Pinin mi costruì uno sgabello. Erano gli Anni 30. Non avevo ancora dieci anni. Cominciai così, da garzone in bottega, la mia carriera tra i legni». Pietrino se ne andò a 89 anni, nell’agosto del 2012. Era molto conosciuto non solo a Refrancore, il suo paese, e non solo per il suo mestiere. L’altra sua grande passione, la musica, lo aveva portato da giovane a girare feste e balere del Monferrato e della Liguria. Il suo primo strumento, una batteria, se l’era costruita lui. Esordì nella Scala d’oro, un’orchestra la cui fama ancora oggi echeggia tra l’Astigiano e l’Alessandrino. Non foss’altro perché l’anima della band era il jazzista Dino Piana, oggi celebre musicista, all’epoca un ragazzotto magro, già innamorato del trombone. Per Pietrino, Dino era più di un amico, come fosse un fratello. Pietrino fu anche per alcuni anni il maestro della banda musicale di Refrancore. Pietrino aveva sposato in seconde nozze Mirella che per tanti anni ha gestito un’edicola cartoleria a Refrancore. La donna era rimasta vedova di Sergio, morto a Genova, quando loro figlio Marco aveva 4 anni. Tra il bambino e il nuovo papà è nato un legame intenso.

Così è Marco a continuare il mestiere della famiglia Stradella: «Ho avuto un rapporto vivo e a volte conflittuale con Pietrino, ma mi ha insegnato il mestiere. Lui amava di più costruire, tirar fuori qualcosa di nuovo da un pezzo di legno. Io preferisco restaurare. Lui era un appassionato di rovere. A me piace il mogano. Questione di dettagli e di gusti, alla fine». Dal 2000, il Laboratorio di restauro di Refrancore è tra le Eccellenze artigiane della Regione Piemonte. Già negli Anni 70 aveva ricevuto un premio come bottega storica dell’Astigiano. «Quando ho iniziato, c’era ancora la bottega da falegname di Ernesto Brusasco sulla piazza. Ora sono rimasto l’ultimo. Avevo aperto anche una piccola vetrina ad Alessandria dal 2000 al 2005, poi è iniziata la crisi». «Nel mio lavoro c’è sempre qualcosa da imparare o da riscoprire È il bello del mestiere. Uso solo prodotti antichi, faccio riferimento alle aziende che lavorano per le Belle Arti. Come la colla calda scaldata sulla stufa a bagnomaria, la usavano già gli egizi. O la vernice a base di gommalacca. Anche la cera la faccio io con le vecchie ricette. Tutti prodotti naturali, niente vernici chimiche». La sua “bibbia” è il Libro dell’Arte scritto dal Cennino nel 1400: «Sto provando le ricette del Cennino. È balordo da leggere. Molti prodotti non li trovo più». Altri hanno nomi evocativi: Fegato di zolfo, Damar (Batavia), Polvere di Tripoli, Sangue di Drago. «Sono resine e servono per le dorature. Restaurare significa tirare fuori l’anima di un mobile, la sua storia, il suo vissuto». 

 

 

«Ho restaurato di tutto: armadi, sedie, madie, tavoli, porte. Persino un cassettone della Scuola del Maggiolini. Ora voglio provare a fare restauro di strumenti musicali. Il legno parla e canta, bisogna saperlo ascoltare». Ha comprato due vecchi e malandati violoncelli in un mercatino dell’antiquariato e ha passato l’inverno a capire dove si nasconde l’anima degli strumenti musicali. Quella bottega che, da sempre, odora di musica e legno, è il posto giusto per trovarla. La storia ritorna. 

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