Imprevedibili quanto indecifrabili sono sovente i percorsi che presiedono alla creazione di storie, tradizioni, comportamenti, miti. Emblematico, a questo proposito, quello che portò settant’anni or sono a Moncalvo lo sconosciuto, all’epoca, hockey su prato. Non è infatti fuori luogo chiedersi come sia stato possibile che, a Moncalvo, quattromila abitanti mal contati nella “città più piccola d’Italia”, da sempre famosa per i ristoranti, le carni “piemontesi”, i tartufi e, sul versante sportivo, i tradizionali tamburello e pallone elastico, sia nato, cresciuto, morto e risorto l’hockey su prato. La soluzione del mistero, se così vogliamo considerarlo, è presto trovata e ha un nome, quello del dottor Umberto Micco. Un personaggio che, fedele ai princìpi fondanti della disciplina, considerata sport “da veri gentiluomini” per caratteristiche morali e comportamentali, ma soprattutto per doti proprie, è stato un grande “signore di sport e di vita”. Lo è stato in campo, dove giocò fino a età piuttosto avanzata, e fuori di esso, come medico, Presidente del Panathlon Club Asti e del Comitato Provinciale del Coni e sindaco della sua “città” nella seconda metà degli Anni ’70.
Ma torniamo all’imprevedibilità delle umane cose. Davvero curioso è il percorso che ha caratterizzato la vita di Micco: si comincia da Boston dove il nostro nasce nel 1916, figlio di Pio e Palmina, entrambi di origine monferrina. Pio abita negli Stati Uniti perché di mestiere fa il barman sulle grandi navi (lo fece anche sul mitico transatlantico Rex) ma poi, quando si stanno addensando le nubi della guerra, torna in Italia con la famiglia. Non in Piemonte però, ma a Genova, dove ha lavoro e conoscenti. Ed è proprio a Genova, culla per l’Italia del calcio e anche del quasi neonato hockey su prato, che il giovane Micco, in quegli anni iscritto alla Facoltà di Medicina, si appassiona a questo “strano” gioco – bastone e pallina – di antiche origini ma solo da un secolo codificato dai “soliti” inglesi. Ben presto diventa fortissimo tanto da vincere, con il Guf Genova, quattro campionati italiani (’38, ’40, ’41 e ’42). La guerra interrompe questa magnifica striscia e Umberto, ufficiale medico, in Garfagnana conosce nel 1944 Annamaria che sposerà a conflitto concluso. Il matrimonio non ferma però la sua voglia di hockey. Continua a giocare, tanto da totalizzare tredici convocazioni in Nazionale, culminate con la partecipazione alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952, in cui l’Italia fu eliminata dalla Francia nei quarti di finale. Intanto, aggiudicandosi la condotta medica di Moncalvo, torna nella terra degli avi, chiudendo così il lungo e tortuoso percorso Monferrato-Boston-Genova-Monferrato, ma aprendo al tempo stesso l’era, tuttora in corso, dell’hockey su prato non solo a Moncalvo, ma in Piemonte. Fu infatti proprio Micco a portare, nel 1946, quel gioco nella nostra regione, ben prima che trovasse piccole e altre gloriose patrie a Bra e Torino.
Fonda in quegli anni, insieme a un gruppo di amici, l’Unione Sportiva Moncalvo che giocherà, in compartecipazione con la squadra di calcio, sul campo di strada Casale da cui fu sfrattata a metà degli Anni ’50 per far posto alla Cantina Sociale. La squadra si sciolse, ma il seme non fu disperso. Mentre Micco veniva chiamato nel 1970, per le sue riconosciute doti di sportivo e dirigente, a succedere a Leonardo Cendola alla guida del Coni astigiano, proseguendo e completando l’opera del suo predecessore tesa a dotare Asti di impianti sportivi al passo con i tempi (è di quegli anni l’apertura della piscina di via Gerbi), il “dottore” stava infatti lavorando per far diventare realtà una specie di sogno impossibile: il “villaggio dello sport” della Valletta a Moncalvo. Palestra, campi di calcio e di tennis, piscina e, guarda caso, un terreno per giocare a hockey. È così che nell’anno memorabile 1974, insieme all’inaugurazione della Valletta, nasce la Moncalvese hockey delle “furie rosse” che ancora oggi gioca su quel campo nel suo incancellabile ricordo.
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