L’utilità del grande calderone (oggi ancora presente solo per figura nei caminetti o trasformato addirittura in fioriera appeso ai portici) è svanita nella metà del Novecento con l’arrivo delle pentole in alluminio, ferro e più di recente acciaio inossidabile, destinate ai fornelli “pipigas”, dotati di bombole. Cambiava ed è cambiato il modo di cucinare.
Le caudere avevano bisogno di un grande fuoco alimentato con cura. L’arte dei costruttori di pentole ha radici antiche e in Piemonte la tradizione in cucina ha sempre visto principalmente l’utilizzo sia della terracotta che del rame.
Le pentole in terracotta, utilizzate sin dai tempi più antichi e dalle nostre parti chiamate diàn, hanno dato origine a piatti simbolo della tradizione, in primis ricordiamo bagna cauda, fricandò e quajette.
Le cotture nella terracotta dovevano e devono avvenire a fuoco lento o addirittura a bagno maria, per evitare che i cibi aderiscano al fondo (trasmettendo un sapore affumicato o bruciacchiato alle pietanze). Ancora oggi la terracotta è facilmente reperibile e la produzione avviene in località dove storicamente è nota la lavorazione della ceramica; Albissola superiore in Liguria, ad esempio, era la patria del fujòt (la padellina in terracotta con il fornetto per la bagna cauda), ma purtroppo, alcuni anni fa, ha chiuso l’ultima fabbrica che li produceva e oggi sul mercato se ne trovano di produzione spagnola o cinese.
Con l’arrivo del ferro e del rame abbiamo assistito alla nascita di piatti conviviali che hanno fortemente caratterizzato la cucina monferrina e astigiana, tra cui il bollito misto, la lepre al sivè e la polenta.
Le pentole in rame hanno un alto potere di conducibilità termica. La parte interna dei calderoni veniva stagnata per evitare che con la cottura dei cibi contenenti acidità organica favorisse la cessione di ioni di rame da parte della pentola.
Erano i “magnin” gli specialisti della laccatura in stagno delle pentole, esperti calderai itineranti. La storia narra che nel 1571 a Ponti, un comune dell’acquese, un gruppo di calderai provenienti da Dipiniano (paese del cosentino), ospitati dal Marchese Cristoforo del Carretto per una settimana, in cambio della riparazione di un enorme calderone in rame ottennero una grande quantità di farina di mais che seppero trasformare in un polentone conviviale, dando così il via ai tradizionali polentoni della valle Bormida che ancora oggi ogni anno, in primavera, coinvolgono migliaia di partecipanti.
Mario Soldati nella sua trasmissione Rai del 1957 “Alla ricerca dei cibi genuini – viaggio nella Valle del Po” realizzò un servizio televisivo sul polentone di Ponti.
L’uso delle caudere nelle nostre campagne si può ancora incontrare sull’aia di qualche cascina per la cottura a bagno maria per la sterilizzazione dei barattoli della conserva di pomodoro e delle marmellate.
Una bella batteria di caudere in azione si può vedere ogni anno il 2 gennaio alla festa dei coscritti di Castiglione, la frazione di Asti, dove per antica tradizione (vedi Astigiani n. 2 del dicembre 2012), vengono distribuiti fagioli e ceci cotti appunto nei pentoloni di rame.
La Proloco ne possiede forse la dotazione più ampia ancora attiva del Monferrato.