Dice Alessandro: «In cucina più cresci professionalmente più capisci che a guidarti sono l’istinto e la creatività. È riduttiva l’immagine del grande chef burbero o ignorante. I grandi cuochi sono molto più informati di quanto si pensi: traggono ispirazione dalla filosofia, dall’arte, dalla musica. Ogni piatto rappresenta un’esperienza».
Alessandro Bartoli, 24 anni, dal febbraio 2017 lavora a Marbella nella cucina di Dani Garcia, uno dei più famosi chef stellati della Spagna: innovatore (utilizza con grande successo l’azoto liquido), contemporaneo, una forte attenzione per l’Andalusia, sia in termini di tradizione culinaria sia per la scelta delle materie prime.
Alessandro è uno degli 11 cuochi che affiancano il Master Chef. Lo intervistiamo ad Asti in uno dei pochi momenti di pausa estiva. Quattro giorni di sosta in città per seguire l’amatissimo Palio con la divisa del rione che ha nel cuore: Santa Maria Nuova. «È una passione che coltivo fin da bambino e che condivido con gli amici d’infanzia», confessa
Alessandro, la cui cadenza risente della lunga permanenza in Spagna.

Domenica 1° settembre era in tribuna, come sempre. Ha tifato a squarciagola per Santa Maria Nuova e sofferto per il risultato della batteria. Ha condiviso le lacrime di gioia delle amiche del cuore Pia e Federica che hanno trionfato con la Cattedrale. Quarantotto ore dopo, completamente afono, è ripartito per Marbella dove lo attendevano i ritmi frenetici della cucina di Dani Garcia.
Nel dicembre scorso ha vissuto con lo chef il momento più alto nella vita di un ristorante:
la terza stella Michelin. E poche settimane dopo anche l’annuncio clamoroso del pluripremiato cuoco, ovvero la decisione di dare l’addio alla haute cuisine a fine novembre, per dedicarsi a nuove sfide: Emirati Arabi, New York, Londra con formule gastronomiche diverse.
Alessandro lo seguirà?
«Ho tante idee ma per ora nessuna certezza», commenta il giovane astigiano, «vivo intensamente questa stagione che si concluderà con il banchetto del 19 novembre».
Alessandro è addetto alla preparazione delle carni che si trasformano nei grandi piatti del
menu “Madre”. Vere e proprie opere d’arte che prendono forma nella cucina a vista, davanti agli occhi stupiti dei clienti. Trenta artigiani e operai in cucina (inclusi una ventina di stagisti e chef ospiti) per 58 commensali che siedono attorniati da pareti verdi.
La magia è servita per 300 euro a testa, vini e caffè inclusi. Prima di incontrare Dani Garcia, Alessandro Bartoli ha lavorato in stage al Dinner di Heston Bluemental, il ristorante due stelle Michelin di Londra. Quest’anno ha anche avuto l’opportunità di fare uno stage con René Redzepi, chef del Noma di Copenaghen, un mito, il secondo ristorante al mondo nella classifica “The world’s 50 best restaurants” stilata dalla rivista inglese Restaurant,
Che aria si respira tra i fornelli della haute cuisine? Nevrosi o divertimento?
«Tra di noi ci definiamo pazzi, siamo tutti un po’ egocentrici e presuntuosi, anche per difenderci perché l’ambiente è così competitivo che devi per forza tirare fuori il “carattere”. Durante il servizio l’adrenalina, lo stress e la pressione sono al massimo. Noi italiani in genere benediciamo i santi… Io per concentrarmi canto.
Il rigore, la precisione e la concentrazione sono essenziali: se non fai così ti bruci, ti tagli, ti fai del male. Ogni tanto si sentono dei colpi, volano le cose… si piange, io stesso ho pianto tantissimo. Non è un lavoro per tutti, 16 ore al giorno tirate e se va bene 20 minuti per mangiare. Però io non cambierei vita, mi piace.».
Quante colleghe possono condividere questi ritmi?
«In Italia e Spagna non sono tantissime, nel Nord Europa, dove la cultura è più aperta,
direi che sono almeno il 30% delle brigate di cucina. E sovente sono “cattivissime”…».
L’origine italiana, la cultura del cibo che fa parte della nostra storia, è un passe partout per essere ammessi nelle grandi cucine? Nella tua esperienza è stato un valore aggiunto?
«Il dogma che la cucina italiana e quella francese sono le migliori del mondo non esiste più. La formazione conta, ma contano soprattutto le mani e il carattere. Io ho lavato tante padelle e pelato tante patate. Nelle grandi cucine l’umiltà è la prima cosa che impari, e le altre cose che contano sono pulizia, ordine e organizzazione».

È difficile entrare nel circuito dei ristoranti stellati?
«La prima volta sono entrato in stage, poi ho mandato mail con lettere di referenze. Il
nostro è un mondo chiuso e vale il tam tam, la selezione vera si fa nel periodo di prova».
Da una stella all’altra, Alessandro non può tuttavia dimenticare la sua musa in cucina, mamma Paola. «Per me è la cuoca n.1, la passione è nata standole vicino mentre cucinava i miei piatti preferiti: vitello tonnato, agnolotti al plin e risotti».
Mamma Paola, a sua volta, ricorda Alessandro a 5-6 anni con le mani in pasta: il sabato pomeriggio. «Si divertiva a fare la pizza con il papà, impastava felice per ore. L’ingrediente
principale che ha fatto crescere Alessandro è la curiosità, un grande merito va alle maestre Carla e Luisa che gli hanno insegnato ad andare “oltre”».
Alessandro è legatissimo ad Asti, alle sue tradizioni e ai prodotti di queste colline: «Amo la Barbera d’Asti non solo come vino, ma anche come tocco speciale per i risotti – prosegue il
giovane chef – e amo le bollicine piemontesi, in particolare il Metodo Classico Alta Langa».
Le tue prossime mete?
«Qualche settimana fa ho scritto su un foglio un elenco di ristoranti – per lo più 2-3 stelle Michelin – in Spagna, Italia, Francia e Cile. Non posso dire di più, un po’ per scaramanzia, un po’ perché domani potrei cambiare idea…».

Quali sono i tuoi sogni nel cassetto? Un ristorante tuo in Italia o magari proprio ad Asti?
«Un ristorante mio ad Asti nell’orizzonte temporale di 5 anni. Ho già individuato due location nel centro città. Vorrei portare qui qualcosa di nuovo, un po’ dell’avanguardia che vedo girando il mondo. Ci sono stili e ingredienti che oggi sono in fase di sperimentazione ma che nel giro di qualche anno potrebbero affermarsi anche per ragioni legate ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità. A Copenaghen ad esempio ho imparato a cucinare le formiche, quelle danesi che hanno sentori limonini e quelle messicane che producono il miele. Le frontiere della cucina sono sorprendenti!».
Il mondo della cucina è diventato molto popolare negli ultimi anni e tantissimi giovani
lo vedono come sbocco professionale.
Quali consigli daresti a chi vuole iniziare la tua stessa carriera? Tre cose importanti da sapere e da fare…
«Il primo consiglio è imparare a essere umili e imparare a stare zitti quando il momento lo
richiede. L’altro consiglio è viaggiare tanto per conoscere nuovi sapori, assaggiare, leggere e studiare. Infine, se proprio vi piace la cucina in TV, invece di MasterChef guardate ChefTable su Netfix che vi insegna qualcosa di utile».




