In quel giorno a Karlsbad, un bravo violinista che stava girando l’Europa a dare concerti fu chiamato a eseguire, per beneficenza, una sonata giovanile di Beethoven. Al pianoforte sedeva lo stesso compositore. Non dovette essere un grande avvenimento, anzi fu sicuramente un concerto di routine, se in una lettera all’editore Breitkopf Beethoven parlò di un «povero concerto per i poveri», in cui era accompagnato dal «signor Polledrone, che ha suonato bene dopo aver superato il suo abituale nervosismo». Il «signor Polledrone» era in realtà Giovanni Battista Polledro, violinista nato a Piovà, oggi Piovà Massaia, in provincia di Asti, nel 1781.
Polledro fu un musicista importante, un violinista di rango e anche un buon compositore, benché oggi le sue composizioni siano raramente eseguite. Ad Asti una via ne ricorda il nome. Fu lui l’ultimo rappresentante di spicco della grande scuola violinistica piemontese dell’Ottocento, quella che ebbe nel torinese Gaetano Pugnani (1731-1798) il maggior esponente e tra i nomi di spicco quelli di G.B. Somis, anch’egli torinese (1686-1763), e G.B. Viotti, di Fontanetto Po (1755-1824).
Nato nel 1781 da un’agiata famiglia di commercianti, Giovan Battista Polledro compì i primi studi musicali ad Asti e poi a Torino, dove probabilmente fu allievo, seppur per un breve periodo, proprio di Gaetano Pugnani. Le prime notizie della sua attività di musicista risalgono al 1797, quando Polledro entrò a far parte dell’Orchestra del Teatro Regio. A Torino vi erano due realtà musicali importanti, la Cappella Regia e il Teatro Regio. La Cappella (l’orchestra che accompagnava musicalmente tutti i grandi avvenimenti della corte torinese), che aveva acquisito il titolo di Regia nel 1714, vantava già una tradizione ultrasecolare, al punto che molti viaggiatori stranieri che ebbero modo di ascoltarla a Torino la giudicarono tra le migliori d’Europa. Il Teatro Regio, opera dell’architetto Benedetto Alfieri, era stato inaugurato il 26 dicembre del 1740 con l’opera Arsace di Francesco Feo.
Nella sala di piazza Castello si ascoltavano le migliori opere in circolazione, mentre negli altri teatri cittadini, quali il Carignano, la programmazione alternava serate di prosa ad altre di lirica, in modo meno ufficiale di quanto avvenisse al Regio. Ma poco dopo l’ingresso di Polledro nell’orchestra torinese, nel dicembre del 1798, il Piemonte fu occupato dalle armate francesi e Carlo Emanuele IV si rifugiò in Sardegna. Tra le conseguenze di questi avvenimenti storico-politici, vi furono anche lo scioglimento della Cappella Regia e la chiusura del Teatro Regio, che addirittura fu utilizzato come deposito di granaglie (seguendo i trionfi napoleonici tornerà successivamente alle sue funzioni per assumere prima il nome di Teatro Nazionale, poi quello di Grand Théâtre e infine di Théâtre Impérial).
Decaduta la vita musicale torinese in seguito ai fatti sopra citati, per i musicisti nacque la necessità di continuare altrove la professione. Il giovane violinista di Piovà lasciò Torino alla volta della Lombardia. Sappiamo che Polledro fece parte dell’orchestra del Teatro di Bergamo e che tra il 1803 e il 1804 occupò il ruolo di «primo de’ secondi violini» nell’orchestra del Teatro Carcano di Milano; poi se ne andò all’estero e dal 1805 al 1810 fu a servizio del principe Taticev a Mosca e al seguito del principe ebbe modo di esibirsi anche a San Pietroburgo e a Varsavia. Successivamente Polledro viaggiò per tutta l’Europa per una lunga serie di concerti – tra cui anche quello già ricordato con Beethoven – che lo consacrarono violinista di fama internazionale. La sua attività di quegli anni è ben documentata dalla rivista Allgemeine musikalische Zeitung, che recensì le esibizioni di Polledro a Bratislava, Varsavia, Praga, Lipsia, Vienna, Monaco di Baviera e Berlino. A Praga, afferma la pubblicazione, riscosse «un successo di cui nessun musicista oltre a Mozart può vantarsi», ben rispecchiato dal guadagno eccezionale di 7000 gulden.
Mentre in Europa stava declinando l’epopea napoleonica, Polledro accettò la nomina di Konzertmeister (primo violino) alla Cappella della corte di Sassonia a Dresda, dove rimase dal 1814 al 1823, al servizio di Federico Augusto III (il futuro re di Sassonia col nome di Federico Augusto I). Qui infuriava, e Polledro ne fu certo testimone, la disputa tra i sostenitori del primato dell’opera italiana, con in testa il perugino Francesco Morlacchi, e quelli che sostenevano la supremazia nascente dell’opera tedesca, soprattutto grazie a Karl Maria von Weber.
Polledro fu in buoni rapporti anche con Niccolò Paganini, di cui fu amico e pure, seppur indirettamente, allievo. Al punto che nel 1829, quando per motivi di salute Paganini fu costretto a interrompere in Germania la tournée che avrebbe dovuto portarlo anche in Inghilterra, il grande violinista si fece sostituire da Polledro, incoraggiandolo e autorizzandolo a presentarsi sul manifesto come suo allievo dicendogli in una lettera: «…a me non dispiace, ed a voi non sarà svantaggioso: fatevi e fatemi onore». Caduto Napoleone e tornati nel maggio 1814 i Savoia dal loro esilio in Sardegna, il nuovo re, Vittorio Emanuele I, da poco subentrato al fratello, abrogò tutte le leggi e i provvedimenti messi in vigore dal governo francese, restaurando in tutto e per tutto la situazione precedente all’occupazione dello stato sabaudo.
E ciò valse anche per la musica. Il Regio tuttavia visse stagioni difficili, con produzioni di secondo piano, mentre la Cappella Regia rimase ai margini di un sistema produttivo che non le permise di risollevarsi. Soltanto sotto a Carlo Felice, a partire dal 1821, anche la Cappella Regia venne riorganizzata, e fu questa a fornire la maggior parte degli strumentisti all’orchestra del Teatro Regio. E a quel punto Polledro decise di ritornare a Torino, dove gli furono affidati compiti importanti. Nel 1823 fu nominato «primo violino e primo virtuoso della Cappella e Camera e direttore generale della musica istrumentale» – titolo un tempo attribuito a Pugnani – il che significava essere anche direttore dell’orchestra del Teatro Regio, e si dedicò alla riorganizzazione tanto dell’orchestra di corte quanto di quella del Regio.
Grazie all’esperienza maturata all’estero, Polledro in questa ultima fase della carriera introdusse nel repertorio delle orchestre a lui affidate numerose sinfonie di Haydn, Mozart e Beethoven e, portando a conoscenza del pubblico sabaudo la musica strumentale dei grandi compositori austro-tedeschi, pose le basi di un interesse destinato a caratterizzare in modo indelebile la vita musicale di Torino, la città italiana in cui forse più che in ogni altra fu apprezzata la musica d’oltralpe, basti pensare alla definizione di città wagneriana che ha caratterizzato in seguito il capoluogo subalpino.
Polledro rimase al Regio sino al 1844. Dopo quella data, condizionato da motivi di salute, si ritirò a vita privata, tornando nel suo paese natale, Piovà, dove morì nel 1853.
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