martedì 6 Maggio, 2025
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Quei primi sopralluoghi tra le cassette di patate alla scoperta della cripta

La testimonianza di chi ha seguito i primi lavori di recupero e restauro

Fino alla fine degli Anni ’70 erano pochi, anzi pochissimi, gli astigiani che sapevano
dell’esistenza della cripta di Sant’Anastasio nei sotterranei del Liceo classico in corso Alfieri.

Qualche allievo incuriosito, pochi insegnanti e gli appassionati di storia locale. Io e mia moglie Daniela facevamo parte del Gruppo Ricerche Astigiane costituitosi nel ’71 all’Archivio
di Stato e nei primi Anni ‘70 ponemmo l’attenzione sul complesso di Sant’Anastasio, sul monastero e soprattutto sulla cripta ancora esistente, uno dei più antichi e importanti monumenti della città, che poi si rivelò una vera sorpresa, un gioiello.

All’epoca, la visita era piuttosto difficoltosa, quasi impossibile. Bisognava sottostare alla disponibilità del custode del liceo, e poi ci si arrivava attraverso cantine pressoché buie, facendo attenzione a non inciampare in cassette di patate e di cipolle.

La cripta era stata usata per decenni come cantina. Come funzionario responsabile dell’Ufficio Patrimonio del Comune e con Daniela decidemmo di intraprendere una “crociata” per liberare quel tesoro dall’oblio.

Coinvolgemmo Adriana Fissore Solaro, studiosa di storia dell’arte con importanti conoscenze alla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte, e Laurana Lajolo che all’epoca era assessore comunale alla cultura.

Un’immagine del primo sopralluogo alla cripta di sant’Anastasio. da sinistra, il soprintendente Umberto Chierici, l’ispettore onorario della soprintendenza Luigi Baudoin, e il sindaco Guglielmo Berzano.

 

Iniziammo scrivendo una lettera, nel gennaio 1972, al Soprintendente Umberto Chierici illustrandogli la situazione e prospettandogli la possibilità di rendere agibile il luogo, sollecitando un sopralluogo.

Chierici si rese disponibile a far visita alla cripta di Sant’Anastasio in tempi brevi. Dopo essere riusciti a organizzare un sopralluogo congiunto, non ci volle molto per mettere d’accordo gli amministratori comunali con i responsabili della Soprintendenza.

Seguendo le direttive dei funzionari torinesi, redassi io stesso, da modesto geometra, un primo progetto per recuperare il sito e renderlo visitabile. I soldi a disposizione erano piuttosto scarsi, ma bastarono per garantire la fruibilità dei locali.

La prima necessità fu provvedere a un accesso indipendente e diretto alla cripta. Così fu realizzata un’apertura verso il cortile del liceo, vicina al suo imbocco da via Goltieri, con una scala per accedere al seminterrato. Si pensò anche di utilizzare i locali adiacenti la cripta per realizzare un museo lapidario, per raccogliere ed esporre lapidi, capitelli e frammenti architettonici provenienti da diversi siti.

Dalla “passeggiata archeologica” sotto le mura, tra piazza Lugano e il Circolo Tennis, vennero accuratamente rimossi (e sottratti all’azione degradante delle intemperie) i capitelli della chiesa romanica di Sant’Anastasio che – dopo essere stati liberati dalle muffe e ripuliti – tornarono nel loro luogo d’origine, insieme ad altri reperti lapidei fino ad allora custoditi al Battistero di San Pietro.

Tutti gli ambienti del seminterrato, che erano niente più che cantine, furono ripuliti con la “sabbiatura” delle volte e dei muri, vennero spostati i tubi del riscaldamento del liceo che attraversavano quei locali e fu realizzato un impianto di illuminazione.

Il nucleo centrale della cripta di sant’Anastasio prima dei restauri

In un primo momento si pensò di coprire la terra battuta con un pavimento in coccio pesto
e malta di calce idraulica, ma poi si scelse di spandere solo uno strato di pietrisco bianco di
piccola pezzatura, in modo da non precludere, e rendere così più difficoltose, eventuali successive indagini di scavo archeologico nei locali adiacenti la cripta.

Decisione che poi si rivelò saggia, quando a fine Anni ’90 vennero eseguiti i successivi interventi. Per esporre i capitelli e tutti gli altri reperti architettonici che andavano a costituire il primo nucleo del nuovo museo lapidario,  furono seguite le direttive della
Soprintendenza e realizzati muretti di diversa altezza sui quali furono appoggiati i vari elementi.

A lavori ultimati e a conti fatti, furono spesi circa 24 milioni di lire in tutto, una somma più che modesta. Voglio anche ricordare la professionalità e la disponibilità dell’impresa Vandero di Montechiaro d’Asti, che si aggiudicò l’appalto e che capì il tipo di intervento e la delicatezza che richiedeva il lavoro, specialmente quello di recuperare e di maneggiare quella antiche “pietre”.

Così, sabato 7 novembre 1981 alle ore 18 venne inaugurato il Museo Lapidario-Pietre e storia dall’VIII al XVI secolo. Con il nuovo ingresso da via Goltieri 3, un sempre crescente numero di astigiani – ma anche di turisti – iniziò a conoscere e ad apprezzare quel “nuovo” tesoro della città, cui l’anno seguente venne dedicata persino la copertina dell’elenco telefonico della Sip.

Sono contento che, con il passare degli anni, la Cripta di Sant’Anastasio sia sempre più
conosciuta, fotografata e citata su depliant e guide turistiche. Un tassello importante e prezioso per raccontare la storia di Asti.

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Pippo Sacco

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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