Il gettone telefonico è stato evocato dal premier Renzi in una recente polemica con i sindacati che, secondo lui, “pensano all’antica” e «cercano la fessura dove infilare il gettone dentro i telefonini». Una battuta e una metafora che i più giovani avranno faticato a capire visto che i gettoni telefonici sono spariti dalla circolazione da almeno 15 anni, di pari passo con la scomparsa della cabine telefoniche pubbliche. Eppure c’è stato un tempo in cui nelle tasche degli italiani i gettoni erano consueti e anzi non c’era genitore premuroso che non chiedesse ai figli prima di uscire “hai gettoni?”, indispensabili per cercare di comunicare in caso di necessità. La storia di questo tondino di metallo ottonato è relativamente breve. Il gettone telefonico fece la sua prima comparsa in Italia nel 1927 quando la Stipel, società concessionaria delle linee telefoniche in Piemonte e Lombardia, lo ideò in occasione della Fiera Campionaria di Milano. Si trattava di una “moneta” realizzata in una lega di zinco, nichel e rame che poteva essere utilizzata unicamente per le chiamate dai telefoni posti all’interno della fiera. Passarono gli anni e, nel dopoguerra, si diffusero le cabine telefoniche e la Teti produsse gettoni utilizzabili in tutte le postazioni di telefonia pubblica. Nel 1959 nacque l’ultima generazione di gettoni (quelli a tre scanalature) che vennero utilizzati fino al 31 dicembre 2001, quando la Sip li tolse definitivamente dalla circolazione, ma in realtà non erano più coniati dal 1980. Una curiosità: le quattro cifre presenti sotto la dicitura “gettone telefonico” indicavano l’anno e il mese di conio (per esempio: 7901 indicano gennaio 1979). Il valore del gettone cambiò negli anni: si passò dalle trenta lire del 1959 alle 200 lire del 1984. In quegli anni furono anche al centro di voci che ne davano per imminente un raddoppio di valore, causando un accaparramento da parte di molti speranzosi speculatori che si sarebbero così ritrovati con un bel guadagno in tasca. I gettoni erano infatti pari alla moneta corrente.
Il loro utilizzo corrispondeva a tre scatti telefonici, l’equivalente di circa tre minuti di conversazione. Ma bisognava fare i conti con la distanza dell’utente in arrivo e le fasce orarie di chiamata diverse, di sera ad esempio le extraurbane costavano meno, quindi era più facile incontrare coda di “innamorati” alle cabine telefoniche: tutti muniti di manciate di gettoni telefonici, per i quali questo piccolo oggetto metallico costituiva il magico veicolo per comunicare con chi era lontano. I gettoni furono via via abbandonati con l’arrivo degli apparecchi telefonici pubblici che funzionavano anche con le monete generiche e con le tessere telefoniche magnetiche. Oggi sono diventati un piccolo cimelio da collezione e i primi modelli “fior di conio” possono anche superare i cento euro di valore. Sono oggetto di collezionismo anche i fatidici “miniassegni” che per un certo periodo negli Anni Settanta supplirono alla mancanza di monetine. Erano veri e propri assegni circolari di dimensione ridotta. Emessi inizialmente dall’Istituto San Paolo, furono presto diffusi da altre banche e poi da grandi magazzini, club e associazioni. Avevano il valore equivalente a 50, 100, 150, 200, 250, 300. Non mancarono i falsari di miniassegni.