Là dentro hanno tutto e più di tutto. Aglio, dentifricio, limoni, castagne, farina, ceci, lucida scarpe, pasta, sementi, detersivi, fagioli, lacca, naftalina, riso, grissini. E così tanto altro da non credere. Hanno persino il tempo. è quasi una sensazione fisica. Scorre un po’ più lento in quel labirinto di corridoi e stanze invasi da mille scatoloni. Siamo a Canelli, nella bottega dei fratelli Pistone. Arrivando da Asti, subito dopo il ponte, il primo caseggiato a sinistra. Quattro vetrate senza insegne. Le serrande ora sono di nuovo su. Sono rimaste chiuse per qualche giorno, a metà novembre. Un lutto. Giovanni, il secondo dei fratelli Pistone, se n’è andato all’improvviso, vittima di un incidente assurdo: investito dall’improvvido conducente di una di quelle macchinette che si guidano senza patente. Giovanni si era diplomato geometra, ma da sempre bottegaio, aveva 77 anni. L’ultima foto lo ritrae accanto ai fratelli Marcello e Piero. Un’istantanea preziosa. Manca Mariuccia, la più giovane. Tutte e tre con i “bunet” e i grembiali beige d’ordinanza, la loro divisa da così tanti anni. Il primogenito, classe 1933, Marcello è l’uomo del retrobottega. Adesso che Giovanni non c’è più, Pietro è solo al banco. Le abitudini, però, non cambiano. Ogni tanto sparisce. Uno, cinque, dieci minuti. Chi aspetta, di solito, sorride. Torna solo dopo aver trovato quel che il cliente aveva chiesto, anche le cose più strane. Mariuccia ha studiato da ragioniera. Oggi tiene i conti, prepara da mangiare, lava e stira. Non si vede più giù in bottega. Esce solo per la messa della domenica. I “ragazzi” Pistone sono cresciuti a pane e commercio. Iniziò l’attività nonno Carlo all’inizio del Novecento, quando aprì un emporio agrario in via Roma. All’epoca la famiglia Pistone possedeva anche una sede distaccata a Santo Stefano Belbo.
“Si vendevano anche letame e paglia” ricordano. Consuetudine che durò anche quando l’eredità passò a papà Luigi. Fu lui a spostare la bottega in corso Libertà. Da quei tempi, giurano i canellesi, non è cambiato granché. C’è ancora il bancone in legno, lo stesso del nonno. Non si vende più il letame, ma i conti si fanno ancora a matita su vecchia carta paglia, quella che utilizzano per incartare farina e legumi. Anche il libro dei prezzi è scritto rigorosamente a mano. I fratelli Pistone non temono i supermercati: “Loro fanno il loro lavoro, noi il nostro”. La loro non è solo una bottega: è un po’ un salotto. Ci s’incontra, si chiacchiera, si vengono a sapere le ultime di Canelli e della Valle Belbo. Da sempre, poi, vige la politica della spesa a domicilio. Alla sera, chiusa bottega, si carica il Daily e via: casa per casa, i Pistone fanno le consegne fino a tardi. Il giorno dopo, si ricomincia. Così passano i giorni. L’unico svago è quella cascina in regione Secco, dove si respira la campagna e l’orto. I fratelli Pistone si rifugiano lì la domenica, dopo la messa. La loro vita, però, è la bottega. “In tanti anni di lavoro, non abbiamo mai bisticciato”. Una confessione che la dice lunga. Nessuno dei quattro s’è sposato. “Dicevamo sempre: c’è tempo, c’è tempo. Poi il tempo è passato”. Marcello alza le braccia in un gesto di semplice rassegnazione. “Cosa vuole, alla fine, siamo stati bene lo stesso”.