Nella distesa calma di questo luogo d’incanto, così Giuseppe Ungaretti, descriveva Canelli all’inviato de “La Stampa”, Carlo Sartori che lo aveva raggiunto e intervistato nel settembre del 1968, mentre il poeta stava trascorrendo una vacanza tra i vigneti di moscato. A raccontare oggi ad Astigiani quei giorni canellesi di “Ungà”, come era chiamato dagli amici l’autore dei famosi e folgoranti versi di “San Martino del Carso” e di “Mattina” (“M’illumino d’immenso”), è Gabriella Conti Bianco, commercialista e moglie di Ugo Conti, enologo ed ex manager della Riccadonna. La coppia ha due figli ormai grandi, il primogenito Andrea, economista a Milano, e Annalisa, anche lei commercialista che è stata vicesindaco di Canelli e assessore provinciale. «Ungaretti – ricorda Gabriella Conti Bianco – arrivò a Canelli per la prima volta nel marzo del 1968. Aveva da poco compiuto 80 anni, o “quattro volte venti” come amava ripetere lui scherzando. Io ero già incinta di Andrea e con mio marito, che lavorava alla Riccadonna, abitavo in viale Risorgimento. Conoscevamo Giuseppe Ungaretti non solo per le poesie e gli articoli sui giornali, ma anche per le lettere di mia cugina Bruna Bianco che dal Brasile, dove era andata a vivere giovanissima con la sua famiglia (il padre era dirigente della ditta vinicola Luigi Bosca che a San Paolo aveva uno stabilimento ndr) ci scriveva di questo grande vecchio con l’anima di un ragazzo».
L’incontro tra Bruna e Ungaretti era avvenuto tempo prima all’Università di San Paolo. Tra loro crebbe un’amicizia profonda: il maestro e la discepola. E lei parlò tanto di Canelli al vecchio poeta che egli decise di accogliere l’invito a venire a visitare la capitale dello spumante. Era reduce dai festeggiamenti romani per i suoi 80 anni. A Palazzo Chigi ci fu un ricevimento, con l’allora presidente del Consiglio Aldo Moro e i “colleghi” Quasimodo e Montale. Era stato festeggiato anche dal suo editore Arnoldo Mondadori. Ungaretti a Canelli cercava un po’ di quiete, lontano dalla mondanità letteraria. Era rimasto vedovo da cinque anni e l’amicizia con la giovane poetessa lo rincuorava. «Vennero a stare da me – ricorda la signora Gabriella – A Ungaretti piaceva la tranquillità di Canelli. Faceva lunghe passeggiate. Si svegliava presto e, dopo colazione, usciva con Bruna. Andavano verso la campagna. Salivano al borgo di Villanuova percorrendo la vecchia Sternia, il viottolo acciottolato che collega il centro storico di Canelli con la collina che domina la città. Poi tornavano a casa per il pranzo. Al poeta piaceva la nostra cucina piemontese: i tajarin, le raviole fatte in casa, l’arrosto, la “tirà” dolce e il vino, Moscato e Asti spumante in testa, ma anche Barbera e Dolcetto con il Barolo e il Barbaresco che arrivavano dall’Albese, la terra d’origine di mio marito». Le passeggiate tra i filari toccavano profondamente l’animo del poeta.
«Aveva l’abitudine di venirmi incontro con una mano nella tasca – ricorda Gabriella Bianco -. “Guarda cos’ho trovato” esclamava e mi mostrava dei sassi levigati. “Senti che belle storie raccontano” diceva strofinandoli tra le dita. Io naturalmente non sentivo nulla. A lui, invece, brillavano gli occhi. “Io li sento parlare” sussurrava. Poi prendeva appunti con la sua immancabile penna stilografica dall’inchiostro verde, il suo “marchio di fabbrica”». Scriveva dediche alla famiglia che lo ospitava e agli amici canellesi. A cominciare dalla padrona di casa, in “dolce attesa”, alla quale regalò una sua foto con questa dedica: “Per Gabri che illumina questi miei giorni di Canelli della luce di due occhiettini futuri che rallegreranno presto anche il mio futuro”. Andrea, il primogenito di Gabriella e Ugo sarebbe nato proprio quell’anno, a settembre, e Ungaretti ne fu orgoglioso padrino di battesimo, con una cerimonia sobria e intima. La presenza di Ungaretti a Canelli non passò inosservata. Era anche famoso per le sue apparizioni televisive di quegli anni: quel suo intenso recitare i versi dell’Odissea, gesticolando assorto ad occhi semichiusi, lo aveva reso popolare e perfino imitato da Alighiero Noschese.
In municipio e alla Riccadonna
Il poeta fu ricevuto in municipio dal sindaco, Alfeo Gozzellino. Una foto di gruppo scattata a Palazzo Anfossi testimonia l’incontro. Si riconoscono vari protagonisti della vita politica canellese di quegli anni: tra gli altri Pierino Testore, del Pci, che sarà anche sindaco della città a fine degli Anni Settanta; Giuseppe Aimasso, tipografo e segretario storico della Dc; Aldo Cugnasco manager vinicolo ed esponente del Psdi. Ungaretti sorridente è seduto alla sinistra del sindaco Gozzellino, con lui anche Bruna Bianco. Il poeta visitò anche la Riccadonna. Lo incuriosì la produzione di spumanti e vermouth. Gli fece da guida lo stesso Ugo Conti. Ungaretti aveva frequentato, durante un suo soggiorno in Brasile, un altro uomo del vino piemontese. Lo ricorda Ugo Conti: «Qualche anno prima di venire a Canelli aveva conosciuto Renato Ratti, allora giovane enologo che si trovava a San Paolo per conto della Cinzano». Ratti, sarebbe poi divenuto direttore del Consorzio dell’Asti.» Il poeta tornò a Canelli più volte quell’anno. A settembre fu raggiunto dall’inviato de “La Stampa” che gli dedicò un lungo articolo sulla poesia. «Ricorda agli uomini – disse Ungaretti – che non c’è solo la materia, che il mondo ha origini imperscrutabili ma spirituali».
Il poeta negò l’esistenza della poesia “impegnata”, «Non è mai esistita», e immaginò il futuro dell’umanità affidato alla tecnologia e alle macchine, «Quando avranno raggiunto una stadio di perfezione maggiore, l’uomo sarà più libero. Potrà tornare a pensare, a immergersi nelle profondità del suo spirito». Dopo quel settembre 1968 il poeta non tornò più a Canelli. preso dalle sue conferenze in giro per il mondo. Nel 1970 partì per gli Stati Uniti per ricevere un premio dall’Università dell’Oklahoma. Ma a New York si ammalò di broncopolmonite. Rientrò in Italia e andò a curasi a Salsomaggiore. Morì all’improvviso a Milano nella notte tra il primo e il 2 giugno. Ricorda Gabriella Conti Bianco: «Eravamo in Liguria. Apprendemmo la notizia dai giornali. Fu un giorno triste. E non potei non ricordare alcuni dei suoi versi più famosi: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”». Bruna Bianco, la giovane poetessa italo-brasiliana con cui Ungaretti scrisse “Dialogo”, raccolta di poesie epistolari, proseguì la carriera da avvocato, si sposò ebbe figli. Oggi è nonna. Ogni tanto torna dal Brasile a Canelli che al “suo” Ungaretti ha intitolato una via nella parte nuova della città verso Nizza Monferrato, nella stessa zona dove ci sono le strade dedicate a Eugenio Montale, Grazia Deledda, Augusto Monti, Carlo Levi. Uomini e donne che, come Ungaretti, credevano fermamente nell’origine spirituale del mondo. La sola possibile.
Le schede
Giuseppe Ungaretti
Nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi. Trascorre in Africa il periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel 1912 si trasferisce a Parigi, frequenta i caffè letterari:conosce gli artisti delle avanguardie da Picasso a De Chirico, da Modigliani ad Apollinaire. Frequenta i futuristi e collabora con Palazzeschi, Papini, Soffici. Tornato in Italia nel 1914, per insegnare francese, scoppia la guerra ed è chiamato al fronte come soldato semplice di fanteria. Un’esperienza che lo segnerà profondamente. Nel 1917 il suo tenente edita in 80 copie la prima raccolta poetica, “Il porto sepolto”; segue, nel 1919, “Allegria di naufragi”. Dopo aver lavorato come corrispondente da Parigi del “Popolo d’Italia”, nel 1933 pubblica “Sentimento del tempo”. Nel 1936 si stabilisce in Brasile, insegna all’università. Nel 1939 muore il figlio Antonietto di 9 anni: da questa dolorosa esperienza, nasceranno le liriche de “Il dolore”. Nel ‘42 è nuovamente in Italia: ove ottiene la cattedra di letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. In seguito pubblica le raccolte de “La terra promessa” (1950), “Un grido e paesaggi” (1952), “Il taccuino del vecchio” (1960); nel ‘61, appare il volume di prose “Il deserto e dopo”. Tra il 1966 e il 1968 ecco la raccolta “Dialogo” con poesie in forma di poetico epistolare firmate da Ungaretti e Bruna Bianco, sua giovane allieva italo-brasiliana. Uscì nel 1968, in edizione fuori commercio, per i tipi di Fogola, Torino. Ungaretti morì a Milano nel 1970.