Piercarlo Grimaldi aveva già pubblicato nel 2002 il diario di Giovanni Bussi, detto Gasan, che partecipò all’ultimo anno della Grande Guerra. Nel centesimo anniversario Grimaldi lo ripropone perché “Il diario di Gasan, come un vangelo apocrifo, ci parla di un sentire comune […] di un’oralità che è specchio della coscienza del prezzo pagato […] forse anche fonte di verità, che la politica e la storia hanno calpestato”.
Giovanni Bussi nasce a Cossano Belbo nel 1898, fa le elementari fino alla quarta. La mamma poi lo porta a Torino, a 13 anni, per imparare l’arte della sartoria. Lo accoglie il sarto Cerri. Nella sua bottega Giovanni studia per diventare maestro tagliatore. Con il suo padrone va a ballare la domenica, va alla Camera del Lavoro, legge L’Avanti, si forma alla lettura quale mezzo di riscatto politico e sociale. È chiamato alla guerra nel ’17, a neanche diciannove anni.
Sul fronte di guerra Gasan scrive il suo diario, con un sistema stenografico, che poi trascrive su un quaderno nascosto. La prosa del Diario non è né retorica né patetica, è un racconto oggettivo e intelligente. Uomo della complessità, lo definisce Grimaldi. È dotato di un’intelligenza precoce, nutrita dagli accadimenti della sua vita, fra la guerra e la pace, la morte e la vita, la tradizione e la modernità, l’oralità, la gestualità e la scrittura colta. Valore aggiunto del libro l’app sulla quarta di copertina che permette di ascoltare le interviste fatte al sarto nei suoi ultimi anni.