Squilla il telefono. Ore 22,30. «Pronto?». A rispondere è Lorenzo Saracco. È assonnato. Fa il panettiere e va a dormire presto. «Buonasera, volevo ordinare il pane per domani…». «Mi scusi, ma stavo dormendo: sa mi devo alzare all’una di notte per fare il pane! Piuttosto chiami dopo l’una!». Ore 1.30 del mattino. Squilla il telefono. «Sono quello di prima: volevo ordinare il pane per domani…». Lorenzo scuote la testa e ride ancora raccontando quell’episodio. In 35 anni ne ha viste e sentite tante in quella sua bottega all’ingresso di Calamandrana.
L’insegna storica “Pasticceria Panetteria Saracco” ha accompagnato crescita e sfrecciare delle auto sulla provinciale tra Nizza e Canelli. Qui vivono poco più di 1800 abitanti. Paese di contadini e di gente “dròla”, originale. Lo sanno bene Lorenzo e sua moglie Liliana, lui panettiere, lei che serve in bottega.
I prodotti dei Saracco vanno ben oltre l’Astigiano e l’Acquese. Quando è stagione dal forno di Calamandrana escono oltre 32 quintali di panettoni e colombe: «Sono 96 chili al giorno. Ho imparato da solo, affinando la ricetta» dice. Il segreto? Tanta passione e un lievito madre speciale che ha più di 50 anni. Me lo diede un mastro pasticciere di Aosta che aveva già oltre 20 anni. Mi disse: “È come un figlio se tu lo allevi bene ti darà grandi soddisfazioni”». Ed è stato proprio così: «Ogni 10 giorni lo riattivo e gli dò da mangiare aggiungendo farina. E poi ogni giorno ne prendo un pezzo per attivare la lievitazione dell’impasto per il pane e tutto il resto. Va tenuto con cura in frigorifero».
Qualità delle materie prime e lavorazione lenta fanno dei panettoni e delle colombe dei Saracco una specialità riconosciuta.
Tra i clienti famosi dei panettoni artigianali della bottega anche gente come Lucio Dalla. Oggi se li fa spedire a casa Jerry Scotti e passano dal negozio anche Aldo, Giovanni e Giacomo.
Com’è nata la passione? «Avevo 15 anni e sono andato a pulire le pentole in una pasticceria, mi pagava poco e allora ho cambiato. Volevo fare il pasticciere ad Alessandria ma ero orfano di papà e mia madre mi mandò a fare il litografo. Eppure sentivo che dovevo lavorare con la farina. Nel 1980 ho sposato Liliana, due anni dopo abbiamo preso questo forno». Era il 7 gennaio 1982. I coniugi Saracco lo rilevarono dal vecchio panettiere del paese, Massimo Rebuffa. «Qui, durante l’alluvione del 1948, esondò il Belbo e c’era l’acqua alta un metro: all’epoca c’era un forno sotterraneo a legna, ora smantellato».
Ogni sera nasce la “biga” per la lievitazione lenta del pane
Un tempo i Saracco producevano anche pasticceria fresca e «il giorno del ramo d’ulivo, la domenica delle Palme, c’era la fila fuori». Altri tempi. «Al bancone c’era mia mamma Olga, che oggi ha 82 anni. Io e mia moglie facevamo pasticceria fresca: abbiamo fatto certe torte da spose alte fino a sette piani. Abbiamo smesso alla fine degli anni ‘90 per concentrarci su pane e panettoni».
Il signor Lorenzo parla e sfiora con il dito le pagine di un quaderno scritte fitte fitte: «Qui ci sono tutte le mie ricette raccolte negli anni. Per il pane, faccio ancora la biga – un primo impasto di dieci chili di farina – la sera; poi reimpasto all’alba».
I grissini, invece, non li fa quasi più: l’impasto e il taglio richiedono una posizione che non si concilia con un fastidioso mal di schiena professionale.
«Tra i tanti venne a comprarli Michele Placido: faceva teatro a Canelli e gli consigliarono di venire da noi per avere qualche specialità. Andò via con la torta di nocciole, gli amaretti e i grissini».
La notorietà della piccola pasticceria di Calamandrana ben si racconta con un aneddoto noto in zona: «Un ragazzo della Valle San Giovanni, tra Calamandrana e Nizza, era a un concerto a Bologna e si mise a parlare con un gruppo di persone. Quando disse di essere di un piccolo paese astigiano, Calamandrana, gli risposero: “Ah dove fanno i panettoni buoni!”. Venne il giorno dopo a raccontarcelo».
La gente del posto, se deve dare una definizione di quel negozio, dice: «È il posto dove chiami, ti aprono e trovi tutto». E infatti, non è solo pasticceria, ma una piccola bottega di paese con la filosofia del “c’è un po’ di tutto”che caratterizzava i negozi di commestibili di un tempo. Non solo pane ma anche riso, olio, latte, caffè.
Alla postazione di lavoro di Lorenzo, sono appese le foto di Zeus, un cagnone nero, e di Pippo detto Tripolesi per la sua predisposizione a far la lotta. A giorni ci sarà anche quella di Lamentina detta Tina, una gattina di famiglia appena scomparsa. Sono stati compagni di vita e di lavoro. Ora si affaccia in bottega Yogurt dalle Ombre Silenti detto Poldo, un gattone bianco e simpatico.
«Eravamo sempre aperti. Adesso quando posso chiudo tra sabato e domenica». La coppia ha un figlio, Igor, 32 anni, che lavora in un supermercato di Canelli e non porterà avanti l’attività di famiglia a meno che non cambi idea: «Tra due anni chiudo definitivamente: sono stanco – confessa Lorenzo – vorrei trovare un garzone che continuasse e gli lascerei in eredità anche il mio lievito madre. Ci vogliono tre qualità: aver voglia, passione autentica e non aver paura di affrontare i sacrifici». L’appello è lanciato. «Ah ancora una cosa: non fatemi pubblicità eh! Io voglio lavorare di meno!».