«Saper conoscere la natura con l’amore e l’intima tensione spirituale dell’appassionato della montagna, vuol dire saper portare un contributo importante alla realizzazione di più giusti modi di vivere». Parole di Fulvio Ercole che ben ne tratteggiano la figura, il temperamento, la passione e l’anima. Se ne è andato, novantasettenne, senza far troppo rumore, come
era sua abitudine, interprete, nel migliore e più autentico dei modi, dello spirito che deve (o dovrebbe) animare chi fa sport.
Andare in montagna, arrampicare, conquistare vette, sciare, fare scialpinismo – la “specialità” forse più amata – raramente si sintetizzano in primati e record di cui fare un albo d’oro. Certo, ci sono le eventuali vie aperte verso questa o quella cima, il numero
di vette raggiunte, talvolta i tempi impiegati a fare una salita, ma, almeno fino a quando non sono arrivati quei matti di francesi e similari a fare della montagna una sorta di autodromo ad altitudine variabile, sono state tutte imprese difficilmente omologabili
a quelle delle altre discipline sportive. In montagna la parola agonismo ha significati, ad eccezione dello sci, sostanzialmente diversi da quelli che si è soliti attribuirgli. Vuol dire sì preparazione, capacità, tecnica e intelligenza, ma non tanto per superare un
avversario, bensì per confrontarsi con la natura e con se stessi.
In questo senso Fulvio Ercole, classe 1914, erede di una famiglia (il padre Michele e il fratello Marte erano “quelli delle Ferriere” e lui stesso ha lavorato a lungo in azienda) che ha avuto un ruolo significativo nella storia economica astigiana, è stato un agonista.
Schivo e riservato, passo lieve ma deciso, volontà di ferro, grande resistenza alla fatica, e la naturale modestia di chi ha maturato la consapevolezza di essere in possesso di qualità, umane e sportive, non comuni, ma proprio per questo di doverle utilizzare non per fare passerella, ma per essere al servizio degli altri e della propria passione. La passione: quando sposa, nel 1949, Silvia Pogliani, astigiana anche lei ma conosciuta, guarda caso, a Courmayeur, è chiaro: «Mettiamo su famiglia, ma io la montagna non la lascio». La giovane Silvia la prese quasi come una battuta, ma con il tempo dovette ricredersi.
Arrivato prestissimo alla montagna e alla pratica dello sci, sulle orme di una grande passione di famiglia (nonno e papà, soprattutto), Fulvio è stato il testimone-protagonista di quasi tutti i 92 anni di vita della sezione astigiana del Club Alpino Italiano, seguendone
passo passo lo sviluppo, sia nell’attività di arrampicata, sia in tutte le altre di cui il Cai è stato fautore: sci, scialpinismo, scuola di alpinismo, soggiorni estivi, Coro Amici della Montagna ecc. Già campione provinciale junior alessandrino – Asti in quegli anni
non era ancora provincia – di sci di fondo nel 1932 (il titolo senior era andato a un altro astigiano, Aldo Bettuzzi), Ercole si è distinto negli anni in tutte le specialità, con particolare riferimento allo scialpinismo e all’arrampicata (mitiche furono le sue tre salite al Cervino dal 3 al 18 agosto del 1942), ma soprattutto rivelò in pieno tutte le sue doti di rigore e di organizzatore in veste di dirigente (quarant’anni ininterrotti alla presidenza del Cai Asti, dal 1948 al 1988). Fu per tanti un “maestro” della montagna, incontrò e fece conoscere ad Asti i grandi alpinisti italiani del Novecento: Toni Gobbi, Walter Bonatti, Cesare Maestri, Achille Compagnoni e Franco Garda tra gli altri.
Da non dimenticare la sua straordinaria attività di fotografo di montagna e di “conservatore” delle testimonianze delle imprese degli scalatori astigiani (non poche né di poco conto, dalla spedizione alle Ande Peruviane nel 1981 per i sessant’anni della sezione Cai astigiana, alle imprese, sempre sulle Ande, di Franco e Luigina Gentile).
Quando lo sport è davvero maestro di vita, o viceversa.