sabato 27 Luglio, 2024
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1921

Sci, picozze e mazzolin di fiori

Da 95 anni gli appassionati di montagna si ritrovano al CAI di Asti
Il CAI è nato nel 1863 con la prima scalata italiana del Monviso, ma è stato nel primo dopoguerra che gli italiani hanno iniziato a scoprire le loro montagne. Da quelle esperienze, il 10 marzo 1921 ottantun astigiani hanno dato vita alla sezione di Asti del club, inizialmente presieduta da Alessandro Gai. La prima escursione al Pian del Re, dove nasce il Po, per dare il via ad una lunga serie di iniziative che hanno spinto gli alpinisti astigiani a scoprire anche vette di altre regioni e, in alcuni casi, di altre nazioni. Scalate che diventavano man mano più impegnative, effettuate con attrezzature sempre più sofisticate. Sotto la quarantennale presidenza di Fulvio Ercole, la sezione astigiana è cresciuta per arrivare al 2004, quando è stata inaugurata l’attuale sede di corso Palestro e, subito dopo, la contigua palestra di arrampicata, mantenendo comunque lo spirito di sempre.

Quella scalata del 1358 al Rocciamelone di Bonifacio Rotario

 

Anni difficili, quelli subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. L’Italia riprendeva con fatica a vivere e grazie all’avvento della prima motorizzazione e allo sviluppo dei trasporti pubblici, specialmente delle ferrovie, gli italiani iniziavano a scoprire un poco alla volta il loro Paese. Nasceva il turismo, non certo ancora di massa, ma in grado di muovere un numero crescente di persone. Anche le montagne, fino ad allora quasi esclusivamente ammirate dalla pianura o dalla collina, e vissute dai montanari, diventarono in breve, come si usava dire, il”terreno di gioco” per un numero sempre crescente di persone.
Il CAI, Club Alpino Italiano, era già nato nel 1863 dopo la prima salita italiana del Monviso grazie a un’intuizione del Ministro delle Finanze del Regno, il biellese Quintino Sella, e subito si erano costituite le prime sezioni a Torino, Aosta e nelle principali città pedemontane.
Asti, che fino ad allora non aveva alle spalle una grande tradizione alpina, ma forniva leve di soldati alle truppe alpine, poteva tuttavia vantare di essere il luogo di origine di Bonifacio Rotario, il leggendario conquistatore del Rocciamelone, salito in cima a quella montagna per sciogliere un voto nel lontanissimo 1358, con un’impresa considerata da sempre la pietra miliare della storia dell’alpinismo.
Bonifacio Rotario (Roero) era un crociato partito per la conquista del Santo Sepolcro. Catturato dai Turchi, aveva fatto voto che, se avesse riguadagnato la libertà, avrebbe portato su quella che, allora, era ritenuta la più alta vetta alpina, un’effigie raffigurante la Vergine. Mantenne il voto e il famoso trittico in bronzo, realizzato a Bruges, nelle Fiandre, dopo essere rimasto sulla vetta per oltre tre secoli, è visibile nel museo diocesano di Susa. E inoltre, ancora oggi, un rifugio poco sotto la vetta del Rocciamelone, la Ca’ d’Asti, ricorda il primo salitore e, in qualche modo, la sua città d’origine.
Torniamo alla storia del Club alpino italiano. Il 10 marzo del 1921 il rag. Guido Passerini inoltrò la domanda alla Sede centrale di Torino per la costituzione di una Sezione del CAI in Asti, forte del supporto di 81 soci promotori, firmatari di una esplicita richiesta. Di lì a poco venne autorizzata la fondazione e si istituì la prima sede nei locali di uno stabile in via XX Settembre angolo via Solari, nel centro storico. Presidente fu nominato Alessandro Gai, che restò in carica fino al 1923.

 

La locandina della prima gita sociale della sezione di Asti: era il 1921

 

Si scia sulle colline dell’astigiano grazie ad un’abbondante nevicata nel 1930.

1921: gli astigiani vanno al Pian del Re alle sorgenti del Po

 

La prima escursione collettiva si svolse al Pian del Re alle sorgenti del Po: la numerosa comitiva venne accolta dai soci del CAI di Saluzzo, che vollero così, da perfetti padroni di casa, dare il benvenuto alla giovane sezione astigiana.

 

Negli anni Trenta si ebbe anche la prima vittima in montagna: Corrado Barbero al quale fu dedicata la scuola di roccia

 

In quei tempi di alpinisti “veri”, quelli con corda e piccozza, se ne contavano pochi, e quasi esclusivamente nelle grandi città, dove iniziavano a formarsi le prime Scuole di Alpinismo.
I primi soci del CAI astigiano, per favorire un crescente proselitismo, puntarono soprattutto su iniziative popolari: gite sociali escursionistiche sulle Alpi piemontesi e vacanze sulla neve, denominate “Carnevale in Montagna”, dove per lo più si apprendevano i primi rudimenti sciistici, con sci solo di legno, con la tecnica del telemark e del cristiania. Si facevano anche uscite con le racchette (non si chiamavano ancora ciaspole), con gli sci da fondo e, per i più spericolati, con le pelli di foca .
Negli stessi anni la neonata sezione ideò il “Soggiorno estivo”, un’attività che nei primi tempi portò molti astigiani a scoprire la località di Fiery, in Val d’Ayas, e che da allora è proseguita fino ai giorni nostri, anche se talvolta con forme diverse.
Tra le attività del sodalizio anche il mitico “accantonamento” in rifugi d’alta quota, esperienza che ha permesso a molti astigiani di conoscere ogni angolo delle Alpi e di salire su cime impervie con l’aiuto di guide provette.
Fu soprattutto negli Anni ’30 che si videro all’opera i primi “veri”alpinisti astigiani. In quel periodo un nucleo di temerari salì le principali vette alpine, anche con itinerari di un certo impegno: uno dei più valorosi, il dottor Corrado Barbero, avvocato, ufficiale degli Alpini, Istruttore di Scuole di roccia del Gruppo del Sella e di Entreves, perse la vita, ventinovenne, nel 1935 in un tragico incidente sulle Aiguilles Rouges del Triolet, nel massiccio del Monte Bianco. Lo scalatore astigiano fu colpito da una scarica di sassi.
La passione, nonostante tutto, cresceva e tra gli iscritti ormai non ci si limitava più alle montagne di casa: si scoprivano le Dolomiti e si partecipava ai raid sci alpinistici sulle Alpi lombarde; gli sciatori più bravi, appartenenti allo Sci Club Asti, che aveva visto la luce nel 1931, si allenavano allo Stelvio e gareggiavano con successo anche in competizioni nazionali.
La seconda Guerra mondiale rallentò, ma non fermò l’attività alpinistica: nel 1942 Fulvio Ercole, futuro Presidente per 40 anni, salì sul Cervino, primo di una lunga fila di concittadini che successivamente raggiungeranno la vetta della Gran Becca.
La sede, che nel frattempo si era trasferita in via Cesare Battisti, vide la nascita nel 1950 del coro “Amici della Montagna”, che otterrà nei decenni successivi numerosi successi in Italia e all’estero e che proprio in questi anni è ritornato a far parte della famiglia del CAI.
Con il boom economico degli Anni ’60 si organizzarono gite sociali anche di più giorni e le prime traversate delle Alpi con gli  sci (le cosiddette Hautes Routes). E furono compiute anche scalate sempre più impegnative. In sezione circolavano piccozze e materiali da arrampicata sempre più sofisticati, anche se oggi farebbero sorridere qualunque giovane climber.
Si affrontavano centinaia di chilometri sui torpedoni spartani che la ditta Franchini metteva a disposizione del sodalizio. Talvolta si rientrava a casa il lunedì mattina all’alba, dopo escursioni trasformatesi in vere e proprie tragicommedie causa maltempo, perdita dell’itinerario o contrattempi fortunatamente risolti con poderose lavate di capo da parte delle mogli rimaste in apprensione per il ritardo fuori programma. Allora non c’erano i cellulari per avvisare.
Già, le famiglie… Affermare che il CAI è una grande famiglia non è solo un simpatico modo di dire. La vita sociale ha messo in contatto numerosi giovani ed era inevitabile che nascessero simpatie e amori. Molti “filarini” sono nati timidamente durante qualche escursione e si sono perfezionati in parete o sul ghiacciaio stando legati a una corda, galeotta anticipatrice del perpetuo (o quasi) vincolo matrimoniale.

 

L’astigiana Ercolina Ercole durante una scalata in Valtournanche nel 1941

 

Gite di ieri e di oggi: pausa durante una gita in Valle Stura nel 1925

Ad Asti arrivano i grandi nomi dell’alpinismo

 

Gli Anni ’50 e ’60 videro un grande impulso oltre che dell’attività propriamente sportiva anche di quella culturale: Asti ospitò il fior fiore dell’alpinismo italiano e internazionale, con la presenza di Achille Compagnoni, Cesare Maestri, Walter Bonatti e Kurt Diemberger (Messner arriverà poco tempo dopo), che tennero conferenze accompagnate da bellissime diapositive e filmati sulle loro imprese.

 

Celebrati i 50 anni del Cai astigiano con una ascesa al Monte Bianco

 

Il CAI si era nel frattempo trasferito in viale alla Vittoria, in una sede un po’ più grande, e che fino al 2004 sarà la “casa “ degli alpinisti astigiani. Proprio in quei locali nasceranno, nel 1968, la scuola di Alpinismo Corrado Barbero, intitolata alla prima vittima astigiana della montagna, diretta dall’istruttore nazionale Franco Gentile (la scuola è dedicata anche a lui dopo la sua scomparsa nel 2010).
Sono nati nel frattempo lo Speleo Club Tanaro e il corso di sci alpinismo “Gianni Amerio”, allargando sempre di più il campo di specializzazione e permettendo a tanti astigiani di svolgere le attività alpine preferite in compagnia di esperti istruttori.
Nel 1971, per ricordare i 50 anni dalla fondazione, venne portata dalla scuola di alpinismo in vetta alla Tour Ronde, nel cuore del massiccio del Monte Bianco, la statua della Madonnina che in quel settembre fu inaugurata con una messa officiata, a 3800 metri di quota, da Don Binello, alla presenza di numerosi alpinisti e dell’allora Prefetto di Asti, De Marchi. Altri soci, rimasti alla base della montagna, parteciparono alla messa trasmessa via radio.

A Elva, in Val Maira, durante il corso di escursionismo

 

 

La spedizione del 1981 nelle Ande peruviane

 

Nel 1981 i sessant’anni della sezione furono celebrati dalla scuola “Barbero” con una spedizione nelle Ande peruviane che sancì definitivamente l’elevato livello raggiunto dagli alpinisti astigiani distintisi, soprattutto grazie a Franco e Luigina Gentile, in alcune salite prestigiose nonostante le proibitive condizioni meteorologiche.

Severino Scassa prova la parete attrezzata

 

 

Brilla la stella di Severino Scassa nell’arrampicata sportiva

 

Nel contempo, a partire soprattutto dagli Anni ’90, le attività della sezione si sono arricchite sempre di più grazie alle nuove tendenze sportive. Alcuni soci si sono aggregati a spedizioni o si sono organizzati individualmente esplorando montagne di altri Continenti, dall’Annapurna, al Kilimangiaro, alle Ande.
L’arrampicata sportiva ha visto brillare la stella di Severino Scassa, campione italiano ed europeo di arrampicata libera.
Tra le novità degli ultimi decenni le cascate di ghiaccio, nuovo terreno di scoperta durante la stagione invernale, lungo itinerari sempre più vertiginosi ed estremi percorribili grazie a tecniche e a materiali innovativi.
Sull’onda dei gemellaggi cittadini è stato siglato nel 1986 il gemellaggio con la sezione del DAV di Biberach, con la quale da trent’anni si sono instaurati rapporti fraterni che culminano in due raduni annuali sulle montagne del Piemonte o del Tirolo.
Siamo ormai arrivati ai nostri giorni.
Nel 2004 sono inaugurate l’attuale sede di corso Palestro, nell’area delle ex Ferriere Ercole, e poco tempo dopo la contigua palestra sportiva di arrampicata, un vero fiore all’occhiello ammirato e anche un po’ invidiato da tante sezioni più blasonate. Per chi arriva oggi in sezione il menu è tra i più vari: intorno al tavolo si può parlare di sentieristica del Monferrato e di come tracciare e valorizzare percorsi turistici tra le nostre colline, si può sentire qualche giovane rampante raccontare la sua ultima scalata alla via Bonatti al Capucin, ci si può iscrivere al prossimo gemellaggio sci alpinistico con i “tedeschi” o prenotarsi per la gita di domenica al Gran Paradiso o, in alternativa, programmare un’uscita in mountain bike al colle dell’Assietta e magari, in sala proiezioni, assistere all’originale presentazione di un audiovisivo sul Nepal. E poi, per i meno sedentari, c’è sempre la palestra indoor per una tosta arrampicata sportiva…
In quasi un secolo di storia il CAI astigiano è stato una fucina che non solo ha forgiato validi alpinisti e sciatori, ma ha soprattutto saputo costruire valori indelebili di solidarietà e di amicizia, senza tenere conto delle differenze sociali e culturali, in uno spirito di vero servizio. Dall’arrampicata impegnativa per atleti alla gita sui sentieri di montagna per tutti con castagnata finale. Lo spirito è lo stesso. E al ritorno la stanchezza si vince cantando: da “Quel mazzolin di fiori” a tutto il repertorio alpino e non.
L’Amministrazione comunale di Asti nel 2013 ha riconosciuto questo ruolo di motore sociale attribuendo alla sezione il prestigioso “Ordine di San Secondo”.
Professionisti affermati, cittadini di ogni ceto, giovani e meno giovani, sindaci e vescovi, almeno una volta sono venuti a condividere con il CAI le bellezze e le meraviglie della montagna.
Verrebbe da chiedersi il perchè di tutto ciò. La risposta perfetta è quella che diede il grande alpinista inglese George Mallory, a chi gli domandava che cosa lo spingeva a salire, nel lontano 1924, sull’Everest: «Perché è là…»    

 

Le Schede

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

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