C’è anche un San Secondo su bellissimo cavallo bianco tra i dipinti proposti nella mostra “Asti nel Seicento” che nel sottotitolo “artisti e committenti di una città di frontiera” richiama il carattere antologico della rassegna ospitata a Palazzo Mazzetti dalla metà di aprile a tutto settembre.
Un viaggio nel secolo “manzoniano” ricco di sfaccettature e intrecci che la mostra racconta dal punto di vista non solo artistico e della memoria storica. Dopo l’intensa esperienza delle mostre sugli Etruschi e quella della Rinascita, le sale di Palazzo Mazzetti diventano luogo d’incontro e di sorprese, arricchito di grafici e tavole divulgative.
Lo sguardo sul Seicento astigiano documenta le vicende figurative di un territorio dalla complessa fisionomia, presentando una selezione di opere, restaurate per l’occasione, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti. La mostra, che si inaugurerà a metà aprile, si configura come una rassegna-dossier, nata dalla collaborazione tra la direzione del Museo e i docenti e gli studenti del corso magistrale di Storia dell’Arte dell’Università di Torino.
La situazione del patrimonio artistico astigiano del Seicento va oltre la fisionomia amministrativa nata nel 1935 con l’istituzione della Provincia e tocca territori che nel XVII secolo erano amministrativamente parte dello Stato di Milano, sotto la Spagna, dell’antico ducato del Monferrato, oltre che del Piemonte sabaudo.
È una stratificazione che si riflette sulla realtà figurativa, che appare eterogenea e ricca di arrivi “esterni”. Ecco dunque il concetto di frontiera artistica. Accanto ad artisti “locali” saranno presentate opere di provenienza extraregionale (è il caso del lucchese Pietro Paolini, o del trentino Andrea Pozzo).
Un particolare approfondimento sarà dedicato, in mostra e nel catalogo, alle opere lombarde e genovesi, censite nel corso della ricerca, e strettamente connesse alle vicende di storia politica e religiosa, nonché a ragioni di traffici commerciali, che hanno reso il territorio dell’attuale provincia di Asti uno dei crocevia fondamentali per comprendere le interferenze e i legami tra Piemonte, Liguria e Lombardia.
La lettura di questa complessa geografia artistica e amministrativa costituisce uno dei punti di approfondimento della mostra e del catalogo: partendo dall’attuale cartina della provincia, delineata nel 1935, sarà evidenziato l’intreccio delle diocesi (Asti, Acqui, Torino, Casale, Alba) e dei poteri politici, per arrivare a focalizzare l’attenzione sulla città di Asti, attraverso la veduta seicentesca fornita dal Theatrum Sabaudiae (1682), che ritrae un tessuto urbano costellato di chiese e conventi, profondamente modificato dal passare del tempo.
Nel salone d’onore, al piano nobile, saranno esposti alcuni dipinti che illustrano l’eterogeneità della cultura figurativa astigiana nel XVII secolo, tra artisti “locali” e provenienze extraregionali, strettamente legate a particolari figure di committenti, come nel caso del pittore trentino Andrea Pozzo, celebre per gli effetti prospettici eseguiti nelle chiese di Sant’Ignazio a Roma e della Missione a Mondovì, autore della Morte di San Francesco Saverio per la parrocchiale di Grazzano, opera ricca di contrasti luministici.
Per gli altari della chiesa di Montegrosso, già di patronato dell’illustre famiglia Roero, la scelta del Vescovo di Asti Paolo Vincenzo (dal 1655 al 1665) cade su uno dei pittori torinesi già attivi per Cristina di Francia, Giovanni Bartolomeo Caravoglia. Si potranno ammirare, fra l’altro, due tra le più maestose pale d’altare astigiane raffiguranti, rispettivamente, la Madonna del Rosario della chiesa di San Paolo di Asti, ma proveniente dalla chiesa dei Domenicani della Maddalena, demolita dopo la soppressione napoleonica e, da Villafranca, la Beata Vergine d’Oropa con i SS. Elena, ed Eusebio e il committente Giacomo Goria.
La presenza della Madonna d’Oropa in questo dipinto è legata all’opera intrapresa da Goria nella valorizzazione del santuario biellese, caro ai duchi di Savoia. L’opera fu dipinta intorno al 1650 dal pittore caravaggesco Pietro Paolini di Lucca.
Nella sala dei Lombardi si potranno ammirare per la prima volta la tela che era nella chiesa dei Savi a Villanova con San Secondo a cavallo, dipinta nella prima metà del ‘600 dal legnanese Giovanni Francesco Lampugnani (1588-1651): un inedito che arricchisce il patrimonio d’immagini del santo patrono della città, raffigurato su uno scalpitante cavallo bianco, mentre nell’angolo di sinistra in piccolo si osserva la scena in cui san Secondo, nella tradizione del suo martirio, viene decapitato all’esterno delle mura cittadine.
C’è anche un piccolo mistero legato a questo dipinto. Esiste infatti un elemento che differisce con le altre rappresentazioni del Santo, ed è il vessillo bianco crociato di rosso, quindi non identificabile con stendardo astigiano che è invece a croce bianca su fondo rosso, ma riferibile a quello portato dai martiri della Legione Tebea. Dalla fine del Cinquecento infatti il santo viene rappresentato con la corazza che gli conferiva un’identità di soldato romano e con lo stendardo che era un richiamo alla croce dei Savoia. Per molti astigiani sarà una visione inedita del loro Patrono.
Per la sezione dedicata ai pittori genovesi saranno esposte le spettacolari tele con Il Trionfo dell’Eucarestia sull’idolatria e Il Trionfo dell’Eucarestia sull’ignoranza e l’accecamento eseguiti nell’ottavo decennio del XVII secolo dal genovese Giovanni Battista Carlone (Genova 1603 – m. dopo il 1676), due soggetti che derivano da quelli realizzati da Pietro Paolo Rubens per la sorella di Filippo II di Spagna, l’infanta Isabella, per il monastero de Las Descalzas Reales a Madrid.
La mostra è stata sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici del Piemonte e la Diocesi della provincia di Asti.