C’è una piccola lapide, seminascosta sulla facciata di una casa in una stretta via del centro storico. Al numero 48 di via Garetti – a metà del tratto da via Balbo a via San Martino – sopra il portone d’ingresso è murata una pietra grigia di piccole dimensioni con l’iscrizione in latino: PRO ICTU PESTIS CRUCEM ADEPTAM / HIC MAGIS INFIGI DOMUS ISTA / P: MAIORI MUNIMINE QUAM DELERI / IN SUA LIBERATIONE CURAVIT / MDCXXX. Trascritta, significa: Questa casa fece in modo che la croce innalzata come baluardo contro la peste fosse scolpita in questo luogo come ulteriore protezione piuttosto che essere distrutta… in seguito alla liberazione (dalla peste)/1630. In sostanza, quella casa di via Garetti (anticamente Contrada Zoya) sembra che sia stata l’unica, o comunque l’unica di cui si ha notizia e testimonianza certa, risparmiata dalla peste del 1630. La tremenda epidemia, di manzoniana memoria, colpì soprattutto il Piemonte e la Lombardia, estendendosi poi al resto della penisola. In pochi mesi la peste causò 8000 morti a Torino su 11 000 abitanti, e anche Asti, come quasi tutte le altre località, fu decimata dal morbo. Quando la peste arrivò in Asti, la città era già stremata da una carestia assai prolungata, dovuta a una serie di tristi annate agricole, e la pestilenza iniziò a mietere nuove vittime. La moria, gravissima, continuò per tutto il 1631.
In molte località gli abitanti furono decimati e a poco valsero le misure prese dalle autorità per fermare il morbo che causava atroci tormenti e incredibili devastazioni del corpo. Felice Daneo (che a fine 800 scrisse sulla storia di San Damiano) riporta notizia che la peste in quel comune durò ben 18 mesi e causò circa 200 morti. Serafino Grassi, nella sua Storia della Città di Asti, dice che «molto ne ebbe a soffrire la città, che il convento degli Zoccolanti (i Frati Minori del convento di San Bernardino in piazza Roma) è ben attaccato e vi è già morta la maggior parte dei frati». Moltissimi religiosi, infatti, portando i sacramenti agli appestati furono contagiati. La valle di Borgomale prese quel nome perché vi si era stabilito il lazzaretto degli appestati. Cessata l’epidemia, la Società dei Mercanti vi eresse la chiesetta dedicata alla Vergine, tuttora esistente. «Ancora oggi – scrive Gabiani nel 1892 – sotto l’atrio della chiesuola di Borgomale si legge una iscrizione per la grazia ottenuta». Così come la località di Viatosto, nella vulgata popolare, riconduce il toponimo al “morbo che appena apparso tosto scomparve”. Anche se forse la verità storica fa invece risalire a “adiuva cito” (aiuta tosto), come appellativo di un’antica chiesa dedicata a Santa Maria. La peste che ha colpito queste zone si riflette nella pagine de I promessi sposi. Anche ad Asti agirono gli “untori”, fu allestito un lazzaretto, ci furono i miracoli e gli ex-voto. E la piccola lapide nascosta in via Garetti ne è un’interessante e unica testimonianza.