sabato 27 Luglio, 2024
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Da Mongardino il cronista delle vigne

Sono passati quarant’anni dalla morte del giornalista e scrittore Gigi Monticone

Era il 14 gennaio del 1973. All’ospedale San Martino di Genova si spegneva, a soli 48 anni, Gigi Monticone. Nato a Mongardino il 31 marzo del 1925, era figlio di contadini e aveva conosciuto la vita grama della gente di collina. Fino a vent’anni ha alternato il lavoro tra i filari allo studio. Siamo stati insieme giovani partigiani nella formazione autonoma del comandante Leo (Giuseppe Gerbi) che operava tra Rocca d’Arazzo e Montegrosso.

Diplomato alle magistrali nel primo dopoguerra, fu segretario comunale nella sua Mongardino, poi a Roccaverano, Mombercelli, Canelli e infine a San Remo, dove si trasferì nel 1966. In Liguria vivono la moglie Ada Conti e i figli Bruno, giornalista a La Stampa, e Beppe, preside del liceo di Ventimiglia.

Monticone si impegnò anche sul fronte sindacale per il pubblico impiego, fu consigliere comunale ad Asti per la Dc e redattore per sei anni del settimanale Astisabato, fondato nel 1960, di area democristiana.

Ritratto durante il servizio militare a Orvieto nel 1947
Ritratto durante il servizio militare a Orvieto nel 1947

Il romanzo della fatica contadina

La sua opera più importante è il romanzo La vigna, pubblicato nel 1965 dalle edizioni astigiane Torre Rossa. Ebbe importanti e favorevoli recensioni. Italo Calvino ringraziò per la copia ricevuta e rispose: «Si legge bene, perché lei scrive di un mondo che conosce a fondo, e riesce a scrivere perché ormai ne è distante, ma continua ad essere per lei un’esperienza sofferta. Il suo tono ha una sua forza, un suo timbro. E nel tener vicino il suo linguaggio ai detti popolari, alla parlata familiare lei ha utilizzato bene la lezione stilistica di Pavese».

Anche Mario Soldati diede un giudizio lusinghiero e aggiunse un tocco da regista: «Ho letto il suo libro di un fiato: penso che se ne potrebbe ricavare un film…».

Nuto Revelli, piemontese e grande indagatore del mondo contadino, aggiunse: «Ho letto La vigna in un pomeriggio ed in una sera come si leggono i libri cari: ho trovato tutto l’amore che Lei sente per la sua terra, non poche pagine mi hanno commosso…».

Davide Lajolo non fu da meno: «…ho letto le prime pagine a cuore pieno. Molto belle, scritte con vena e verità, con uno stile giovane, moderno fino a risentire Pavese ed anche gli americani che hanno scritto di contadini…».

Don Alfredo Bianco, padre spirituale del movimento cattolico astigiano, auspicò: «…è un romanzo che salirà certamente sul palcoscenico e certamente cadrà sotto gli occhi di molti lettori. Certe descrizioni – come quella della tempesta – sono degne di antologia…».

La prima edizione de La vigna del 1965 editrice Torre Rossa Asti
La prima edizione de La vigna del 1965 editrice Torre Rossa Asti

Il giornalista Rai Gino Nebiolo, di origini astigiane che aveva condiviso con lui l’esperienza del periodico degli studenti magistrali Il castello, confessava di “invidiare” Monticone «per la partecipazione intensa e costante al suo mondo. Guardate le figure raccontate nel romanzo, trasportatele di peso nei campi, nei cascinali, nelle lunghe sere di fantasticherie e di magone: sono figure che vivono, appena inghiottita la loro aria. Vivono con la loro semplicità e la loro retorica, sono diventate reali…».

La Vigna fu tra i finalisti del premio Asti d’appello del 1966. Il volume è stato ristampato nel 1990 per le edizioni Gribaudo per iniziativa della Coldiretti. Già nel 1981, in occasione di un convegno organizzato dalla Provincia, furono pubblicati scritti di Gigi Monticone con il titolo Il mio tempo erano le stagioni.

Nel progetto di ricerca e valorizzazione di fonti letterarie del territorio astigiano e monferrino, avviato lo scorso anno dall’Associazione “Gente & Paesi”, rientra anche l’opera dello scrittore nato a Mongardino. Per ricordare Monticone saranno quest’anno coinvolti i comuni dove Monticone è stato segretario.

Dopo l’intervento al Salone del libro di Torino, a Canelli il 9 giugno, nella biblioteca a lui dedicata è previsto un convegno e si discuterà anche del romanzo Il bastardo, rimasto inedito.

Il mondo contadino è sempre stato al centro dell’attenzione di Monticone. Lo conosceva intensamente e non si concedeva a facili sentimentalismi.

In una lettera del marzo 1945, quando si vivevano ancora giorni di paura ma già si sognavano grandi ideali per l’ormai prossima primavera di liberazione e la fine della guerra, Gigi mi aveva scritto: «Siamo figli di poveri contadini, uno più povero dell’altro, dobbiamo impegnarci perché la nostra giovane democrazia non si dimentichi dei contadini. Bisogna fondare un giornale che faccia sentire anche la voce della nostra gente».

Foto del matrimonio tra Gigi Monticone e Ada Conti il 4 aprile 1948
Foto del matrimonio tra Gigi Monticone e Ada Conti il 4 aprile 1948

Schiavi della collina e della grandine

]«Mio padre è proprietario di un paio di vigne, il tuo è schiavandario, lavorano entrambi sudando sangue per darci un’istruzione, affinché noi possiamo, un giorno, dire con voce autorevole a chi comanda di ricordarsi di coloro che sono schiavi di queste colline, schiavi che scioperano solo quando cade quella grandine bastarda che brucia tutto, che bestemmiano solo quando porta via il grano per i cristiani, il fieno per le bestie ed il vino per comprare l’occorrente per vivere». Su Astisabato ogni settimana, al piede della prima pagina, c’era il suo “Formichiere”. Molti compravano il giornale per leggere quelle poche righe, a volte pungenti, a volte commoventi, spesso polemiche. In un “Formichiere” con il titolo “Soraya moglie dello Scià di Persia va in vacanza dopo un periodo di riposo a St. Moritz”, Gigi commentò: «Anche nostra madre si riposa. Si riposa ogni domenica mattina quando, ancora buio, va alla prima messa e sta seduta nel banco a sentire la predica; va in vacanza quando al mercoledì corre al mercato di Asti per vendere mezza dozzina di uova ed una coppia di polli per comprare gli zoccoli per l’inverno. Non dobbiamo invidiare i ricchi, perché forse sono più infelici di noi, però se dalla tavola del ricco Epulone non cadessero solo briciole, ma anche qualche pezzo di pane, sarebbe giusto». Un altro ricordo personalissimo.

Quel viaggio a Berlino prima del muro

Verso la fine degli Anni Cinquanta partecipammo a viaggi per giornalisti in Olanda e poi a Berlino. Io ero inviato de Il Popolo Nuovo che si stampava a Torino e Gigi Monticone partecipò per il periodico nazionale della Coldiretti. Si scriveva di agricoltura e non solo. Arrivammo a Berlino poco tempo prima della costruzione del “Muro”, ma nessuno lo poteva ancora sapere. Era un periodo di “guerra fredda”, anzi “freddissima”. Spesso le Vopo, le “guardie rosse”, all’improvviso chiudevano l’unico corridoio autostradale tra Hannover e Berlino e i collegamenti con l’ex capitale erano possibili solo con mezzi aerei. La città era ancora divisa in quattro settori (tre sotto giurisdizione degli Alleati occidentali – americani, inglesi e francesi – e una sotto giurisdizione russa). I settori occidentali erano in pieno sviluppo, la parte di città controllata dai sovietici presentava invece scorci che parevano appena usciti dalla guerra. Per non essere fermati e controllati dalla polizia comunista agli occidentali veniva raccomandato di non stare mai in gruppo, al massimo a coppie.

Con Luigi Garrone durante un viaggio in Olanda
Con Luigi Garrone durante un viaggio in Olanda

Abbiamo deciso di tentare l’avventura usando la metropolitana, dove c’erano meno controlli. Partenza al mattino presto. Io e Gigi ci siamo accordati con un giornalista belga che era con la moglie. Nel camminare dovevamo tenere una distanza tale da controllarci a vicenda. Ricordo che si doveva fare cambio valuta. Ufficialmente un marco del governo di Bonn veniva cambiato alla pari con quello orientale, ma al mercato libero la valuta dell’Ovest valeva tre volte quella della Germania Est. Per ostacolare il mercato nero delle valute, a Berlino Est potevano chiedere al turista la documentazione attestante la provenienza delle banconote. Gigi voleva portare a casa un paio di bottiglie di vodka a ricordo di quel viaggio. Per non indurre il commerciante a chiedere la provenienza del nostro denaro era meglio parlare tedesco. Me la cavai con tre sole parole: «Zwei flasche vodka». Quella vodka finì nella casa di Asti di Monticone e ogni volta che ne offriva un bicchierino raccontava la nostra avventura berlinese prima che fosse costruito il Muro. Scherzavamo anche con Pierino Testore, allora corrispondente de L’Unità dall’Astigiano e futuro sindaco di Canelli per il Pci, che non lo ammise mai ma era rimasto scosso dalla visita oltre quella che Winston Churchill aveva definito la Cortina di ferro.

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