Il gatto, sinonimo di velocità e furbizia, trova posto in parecchie espressioni dialettali astigiane.
Possiamo cominciare con la colorita definizione gat rustì, gatto arrostito: viene chiamato così chi non ha un fisico prestante, ma soprattutto chi non ha carattere, spina dorsale, insomma un uomo da poco.
Alla fine degli anni Settanta ad Asti, in via Balbo, Loris Alasia (sorella dell’indimenticabile Cesarìn) e Luciana Berruti diedero vita all’osteria “El gat rustì”, che rimase in attività per qualche tempo. Da alcuni anni il Comitato Palio del rione San Paolo ha rispolverato questa denominazione per il locale di via Bonzanigo che apre in concomitanza con gli spettacoli di Asti Teatro nei cortili del centro storico: ai tavoli allestiti sulla via si possono degustare piatti tipici (agnolotti, acciughe e bagnét, trippa, salumi, formaggi) e vini del territorio.
Se il gatto è sul fuoco il pranzo o la cena sono lontani
Uno dei detti più usati è mustrèj ai gat a rampignèsi, insegnare ai gatti ad arrampicarsi, cioè spiegare a qualcuno una cosa che conosce benissimo. Invece, se a i-è ‘l gat an s’el feu, c’è il gatto sul fuoco, vuol dire che il pranzo (o la cena) non è ancora pronto, altrimenti il gatto non sarebbe accovacciato sul camino o sulla stufa. Un posto tra le citazioni merita anche la frase stè con l’aurij driti pej d’el gat, tenere le orecchie diritte, stare attento come il gatto.
Bellissima l’espressione ha mai rubaij na piüma a ‘n gat, non ha mai portato via una piuma a un gatto: si usa per ironizzare su chi non è mai stato troppo onesto. La femmina è protagonista del detto amnè la gata al mas-c, portare la gatta al maschio; significa perdere tempo, girare intorno, fare qualcosa di inutile, perchè la gatta sa trovarsi da sola i corteggiatori.
Girè pej ‘d na gata lurda, andare in giro come una gatta che ha il capogiro, indica una persona che non conclude nulla, perde tempo. Si trova questa espressione con ugual significato anche nella versione “oca lurda”.
E vale la pena di citare anche parent per via dla gata, che l’è ‘ndaja a fè ‘ns la sò cassin-a, parenti da parte della gatta, che è andata a partorire sul suo fienile: quando una parentela è talmente lontana che non si ricorda neanche più da chi abbia origine. Si usa questa scappatoia, un po’ come parent pirchè me pari e sò pari j’eru dui pari. E ancora compare in i è nen u lard da dèij a la gata, non c’è il lardo da dare alla gatta, per intendere che non ci si può permettere di scialare, esattamente il contrario di avèj ij pà carià ‘d sausìssa, avere i pali (della vigna) carichi di salsiccia, oppure avèj a biava che ‘t fura ‘l buèli, avere la biada che ti esce dalle budella, ossia vivere nell’abbondanza.
C’è anche la definizione gata d’agùst, gatta d’agosto, in quanto si ritiene che i gatti, e in particolare le femmine, nati ad agosto siano particolarmente noiosi.
Femmine e maschietti sono infine coinvolti nel termine gatorgna. Andè ‘n gatorgna significa essere innamorati ed evoca appunto quel periodo in cui gatte e gatti tengono sveglio il vicinato con i loro miagolii, richiami amorosi e zuffe tra i pretendenti.