mercoledì 19 Febbraio, 2025
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Lingua madre

In ogni stagione attenti ai fafiuché

La neve protagonista di molti e divertenti modi di dire

 

White Christmas, la canzone scritta da Irving Berlin e incisa nel 1942 da Bing Crosby, ha venduto 50 milioni di copie ed è stata interpretata successivamente da parecchi cantanti e gruppi musicali. “Natale bianco” è diventato un augurio, perchè nei Paesi più freddi pare che senza la neve a questa festività manchi qualcosa.

Oggi la neve da molti è considerata un elemento coreografico, ma un tempo – quando nelle campagne si viveva grazie a quanto regalava la terra – era molto importante per il buon andamento della stagione.

Se ‘s va a messa ‘d mesaneut al s-ciandur da lün-a, chi ha du vachi na venda ün-a, se si va alla messa di mezzanotte (a Natale) al chiaro di luna, chi ha due mucche ne venda una: ossia, se a fine dicembre è tutto sereno e non ha ancora nevicato, il fieno sarà scarso e quindi non si riuscirà a mantenere tutti gli animali nella stalla.

Perchè la neve era essenziale non soltanto per i prati, ma soprattutto per il grano: manteneva i piccoli germogli protetti dal gelo e li nutriva con quel poco di acqua che ogni giorno penetrava nel terreno.

Non per niente si diceva “Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”.

E le nevicate, fino alla metà del Novecento, erano di solito molto abbondanti a partire da inizio dicembre, accolte dai contadini come una benedizione: si faceva un piccolo camminamento per arrivare fino al portico e al gabinetto, e per andare dalla stalla – che veniva pulita ogni mattina – alla beusia ‘dl’aliàm, la concimaia. In casa c’era sempre farina sufficiente per la polenta, na ciapa ‘d lard (un pezzo di lardo), patate, uova e qualche burnìa (barattolo) riempita e messa via durante l’estate.

Si poteva sopravvivere senza problemi aspettando che passasse la lesa, lo spartineve, tirato da buoi o da cavalli. La sera nelle stalle si raccontavano storie e ci si misurava a buru, un gioco a carte simile a sette e mezzo, oppure a nusètti, una sfida in cui ci si batteva nocche contro nocche fino a quando uno dei due contendenti si ritirava.

Nulla di molto intellettuale, ma sempre meglio del Grande Fratello.

In ogni caso, non ci si affannava più di tanto per sgomberare i cortili dalla neve, visto che quella civiltà si regolava sul vecchio detto Gavè a fioca, supatè ‘l nus, masè a gent e lavej a testa a ij asu è temp pers, togliere la neve (visto che comunque prima o poi si scioglie), scuotere i noci (perchè le noci quando sono mature cadono da sole), uccidere le persone (tanto muoiono quando arriva la loro ora) e lavare la testa agli asini (in quanto non apprezzerebbero) è tempo perso.

Stando in argomento, vale la pena di spendere qualche parola sull’appellativo fafiuchè (per gli angolofoni, snowmaker), che indica uno non troppo sveglio, avventato, inaffidabile oppure fanfarone: insomma, un individuo che si comporta i modo talmente strano da far nevicare.

Un buon Natale bianco a tutti i lettori.

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Paolo Raviola

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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