Il 9 settembre 1855, dopo undici mesi di assedio, cadde la fortezza di Sebastopoli, principale base navale russa del Mar Nero, un episodio che influenzò in modo determinante l’esito della guerra di Crimea per il controllo delle vie di accesso navale e terreste dal Mar Nero al Mediterraneo. Il conflitto tra russi e turchi cominciò nell’ottobre 1853 e nel marzo dell’anno successivo francesi e inglesi scesero in campo a fianco degli ottomani.
Camillo Cavour, all’epoca primo ministro del Regno di Sardegna, sollecitato a intervenire da Francia e Gran Bretagna, colse la palla al balzo, con la speranza di usare in futuro questa chance per ottenere appoggi sulla questione del Lombardo-Veneto, soggetto all’Austria. Il corpo di spedizione piemontese partì da Genova il 25 aprile 1855. Era formato da due divisioni, per un totale di 18 058 uomini e 3496 cavalli, ossia 3000 uomini in più del convenuto. Comandava il corpo di spedizione il generale Alfonso La Marmora; le due divisioni erano agli ordini del generale Giovanni Durando e del generale Alessandro La Marmora, fratello di Alfonso e fondatore dei Bersaglieri.
Dopo una breve sosta a Costantinopoli (Istanbul), ai primi di maggio i piemontesi sbarcarono a Balaklava e rimasero nella penisola di Crimea fino al termine del conflitto, il 1° febbraio 1856. Questo breve prologo era indispensabile per introdurre la spiegazione di un vecchio modo di dire piemontese che trae origine proprio da questi fatti. È s-ciudij na Cernaia. La traduzione letterale “si è schiusa una Cernaia” va intesa come “è successo il finimondo, una gran confusione” e risale a quella battaglia combattuta sul fiume omonimo il 16 agosto 1855, che segnò una svolta nella guerra e nella quale le truppe piemontesi ebbero un ruolo decisivo.
I russi, tra i quali c’era un giovane ufficiale destinato a diventare famoso, Lev Tolstoj, non riuscirono a rompere l’assedio a Sebastopoli e i Bersaglieri si comportarono con tanto valore da suscitare l’ammirazione degli Zuavi, reparti speciali del corpo di spedizione francese, che offrirono ai “fanti piumati” il loro caratteristico copricapo, il fez, tuttora in dotazione al Corpo: è rosso, con una nappa azzurra, chiamata “la ricciolina”, che dondola da una spalla all’altra attaccata a un cordoncino.
La leggenda vuole che per festeggiare la vittoria i piemontesi offrirono agli alleati una bagna cauda preparata nelle cucine da campo. Dopo la pace di Parigi del 1856 il governo sabaudo volle ricordare quella spedizione: ancora oggi troviamo a Torino corso Crimea, corso Sebastopoli, via Cernaia e la caserma Cernaia. Il nome è stato italianizzato per evitare imbarazzanti riferimenti. Infatti quel fiume lungo appena 35 chilometri sulle cui rive si svolse il combattimento si chiama “piccolo fiume nero”, in russo si pronuncia “ciòrgna rièchka”, e già durante la loro permanenza in zona di operazioni i soldati piemontesi avevano ricamato su quel nome, come dire, evocativo. Si decise di ignorare la pronuncia esatta e di adottare la versione “Cernaia”. L’espressione riferita alla gran confusione si ritrova anche nel modo di dire “È successo un quarantotto”, in questo caso riferito ai moti rivoluzionari del 1848 che coinvolsero e infiammarono numerosi stati europei, Piemonte compreso.